Panorama Olivia di Coca Puma è uno degli album italiani più belli dell’anno: “Volevo fosse pop, non jazz”
Coca Puma, nome d'arte di Costanza Puma, è una delle autrici più interessanti degli ultimi mesi dell'alternative-pop italiano. Classe 1998, proveniente da Roma, la cantante ha pubblicato lo scorso 19 aprile il suo disco d'esordio Panorama Olivia, distribuito da Dischi Sotterranei. Una citazione agli squarci che hanno accompagnato il making of del suo disco, tra Roma e Viterbo, e il nome della sua gatta domestica, Olivia. Dieci brani che hanno dato un assaggio della dimensione "soffice", come la definisce la cantante, della sua musica. Ma non solo, perché negli stessi mesi, Coca Puma ha anche composto la colonna sonora del film Quasi A Casa, diretto da Carolina Pavone: "Amo moltissimo lavorare per il cinema, infatti in questo momento sto lavorando per l'Istituto Luce per alcune pillole d'archivio". Nell'intervista la cantautrice parla anche del suo rapporto con il pubblico, la presenza del cappellino che le copre il volto sul palco e la ricerca musicale, sviluppata dopo gli anni di conservatorio. Qui l'intervista a Coca Puma.
Chi è Costanza e cosa l’ha spinta a diventare Coca Puma?
La musica in realtà c'è sempre stata, ho sempre fatto musica. Poi ovviamente questa cosa ha preso forme e nomi diversi. Prima di questo progetto avevo un gruppo con cui facevo musica in inglese poi ho avuto l'esigenza di scrivere in italiano, il gruppo si è sciolto ed è arrivato tutto in maniera spontanea.
C'è stato qualcosa di particolare che ha segnato il tuo inizio?
Ci sono stati dei luoghi che sono stati significativi, anche se sono state le persone a cambiare il mio modo di ascoltare la musica, il mio gusto. Tra questi viaggi, c'è sicuramente quello a Los Angeles, fatto dopo la fine del Conservatorio, quando mi sono laureata. È stato un momento molto importante, mi innamorai di un negozio di dischi: spero che adesso stiano bene, con la tragedia che sta accadendo.
Cos'è cambiato?
Sicuramente avevo qualche vinile, ma da lì è cominciata la ricerca, sia musicale, sia in termini di nuovi negozi di dischi. Mi ha dato l'opportunità di conoscere cose nuove, di allontanarmi da tutto. Poi c'è Londra, una città che ha sicuramente molto più da offrire rispetto al nostro paese.
Ritornando al Conservatorio, credi che quel tipo di formazione ti abbia messo dei recinti inizialmente?
Il Conservatorio mi ha aiutato a espandere le conoscenze sul jazz tradizionale, ma non direi che mi ha aiutato ad ampliare gli orizzonti. Ricordo che il maestro di composizione mi diceva: ‘Costanza, ti metterò 30 quando mi porterai un brano jazz'. Anche perché già allora ero orientata verso qualcosa di diverso e c'è stato sempre questo gioco tra me e lui.
E questo 30 è arrivato?
Purtroppo no (ride n.d.r).
Ti ha dato fastidio che Panorama Olivia sia stato definito un album jazz?
Hai centrato un po' una questione: non lo definirei in questo modo, non lo trovo corretto e forse mi dà un po' fastidio. Insomma, il jazz è un'influenza come tante altre di questo disco, mi è sembrata un po' una semplificazione, una cosa mirata all'idea del giornalista di scrivere un pezzo in quel modo.
E invece come lo descriveresti tu?
Ti posso dire qual era la mia intenzione iniziale: io volevo fare un disco pop, anche se poi non è proprio andata così. Certamente quando ho incominciato a fare musica, sono spuntate molte delle influenze e degli ascolti avuti in quest'anni. Ma in questo disco ho messo anche un po' di elettronica, un po' di post rock e ho ascoltato anche tanta musica di origine afroamericana, quindi entra anche un po' di soul.
E se dovessi raccontarlo, senza l'utilizzo di un recinto di generi musicali?
Credo che sia un disco sincero, ho cercato di portare avanti un'idea genuina. Ti direi anche soffice, perché mi piacciono i toni caldi e non mix brillanti.
Si avverte un forte senso di fragilità, di protezione anche nei confronti di chi stava scrivendo questo disco, nei testi.
Non c'è un'interpretazione giusta o sbagliata, anzi la forza di quello che ho scritto, soprattutto per la maniera spontanea in cui è avvenuta, è proprio la possibilità di dargli più significati, a cui io magari inizialmente non avevo pensato. Poi, sicuramente, il periodo in cui è stato scritto questo disco è stato estremamente fragile.
Perché?
Per tanti aspetti, soprattutto perché era il mio primo disco. Non sapevo come sarebbe andata, non ero sicura di me stessa.
Qual è stata la difficoltà maggiore?
Trovare le persone che capissero cosa volessi fare e credessero nelle mie idee. Inizialmente ho ascoltato tante persone, con cui neanche condividevo certo idee, che vedendo una ragazzina alle prima armi, non mi davano molto credito. Quindi anche farsi rispettare, far valere le proprie idee in questo tipo di contesto non è mai semplice.
Ti volevo chiedere anche come cambia il processo di produzione musicale, soprattutto nell'ottica della composizione di colonne sonore come per Quasi a casa, rispetto al lavoro di un album come Panorama Olivia.
Sicuramente sono arrivati entrambi in un periodo molto duro. Da una parte non avevo idea di cosa stessi facendo inizialmente, ma immagino che imparare significhi questo. Amo moltissimo lavorare per il cinema, infatti in questo momento sto lavorando per l'Istituto Luce per alcune pillole d'archivio.
Che cosa significa per te il coinvolgimento del pubblico?
È una cosa che sta cambiando un po' nel tempo. Per esempio, io ho iniziato a pensare di esibirmi con un cappellino, anche perché mi sentivo a disagio a stare sul palco. Dovevo trovare la mia dimensione e ovviamente all'inizio il mio rapporto con il pubblico ero un po' segnato da questa cosa. Per esempio, con il mio primo gruppo mi chiedevano determinate cose anche perché ero la frontman e mi ha fatto sempre sentire un po' a disagio. Non mi rappresentava.
Cosa è cambiato?
Che sono arrivate qualcosa come 40 date, ci ho preso la mano e le persone sicuramente mi hanno dato amore. Questo mi ha fatto vincere un po' la paura, il pubblico rompe questa barriera.
Quindi, un giorno, questo cappellino durante le esibizioni potrebbe esser tolto o rimane comunque un segno della tua dimensione artistica?
All'inizio ho giustificato anche così l'utilizzo, per poter continuare a indossarlo. Volevo si creasse la stessa magia di quando ero da sola a casa e mi dicevo che se mi fossi chiusa nella mia bolla, con le tastiere sul palco, ci sarebbero state possibilità maggiori. Anche se poi alla fine questo non è vero. Ho un po' cambiato idea, soprattutto perché ho capito quanto sia importante il pubblico nel successo di un live: col cappellino o senza, l'assenza si farebbe sentire lo stesso.