Fichte lo diceva nel 1806. Nel 2016 sembra che la sua formula sia più vera che mai e che, anzi, in senso pieno lo sia solo oggi. In questo registro pare potersi iscrivere a pieno titolo la vicenda o, meglio, lo scandalo dei cosiddetti “Panama Papers”: miliardi nei paradisi fiscali, con nomi di potenti e “vip” di tutto il mondo. È quanto emerso dall’inchiesta di un consorzio di 307 giornalisti di 76 Paesi. Si tratta, in particolare, di una immensa massa di denaro dirottata da studi legali internazionali e banche verso paradisi fiscali delocalizzati.
Leader politici, criminali, funzionari d’intelligence e vip dello sport e dello spettacolo ne sono i tristi protagonisti. Al di là dei dati, che pure meritano di essere letti, a stupire è il differenziale di ricchezza sempre più oscenamente marcato che caratterizza quel mondo post-1989, che continua stolidamente a ritenersi “libero”.
L’epoca che si è aperta col 1989 si configura come l’epoca della compiuta disuguaglianza o, con Fichte, della compiuta peccaminosità: una massa sempre più estesa, che non ha di che vivere; e un’èlite sempre più ristretta, che nasconde i suoi patrimoni nei “paradisi fiscali”, ennesima formula che rivela il carattere teologico dell’odierna economia ridisposta nella forma del monoteismo del mercato.“Forbes”, la bibbia illustrata del turbo-capitalismo mondializzato, ci ha ricordato ancora recentemente che l’era pudicamente detta del “declino economico” ha fatto ulteriormente aumentare la concentrazione dei grandi patrimoni: ha reso i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. I “Panama Papers” ce ne restituiscono un triste quadro.
I numeri di “Forbes” parlano chiaro: se nel 2009 i super-miliardari del pianeta erano 793, oggi se ne contano 1645. Tra questi, negli ultimi due anni, i più scaltri sono riusciti ad aumentare le proprie ricchezze di oltre mezzo milione di dollari al minuto! Senza costruire nulla, senza dare lavoro a nessuno. Agendo solo sulle due leve della globalizzazione: finanza e delocalizzazione.
E mentre questa follia regna sotto il cielo sorge, ancora una volta, spontanea la domanda: fino a quando la massa sfruttata, privata di tutto e ridotta a una condizione neoschiavile, sarà disposta ad accettare in silenzio? Fino a quando la compiuta peccaminosità potrà dispiegarsi senza trovare una degna risposta?