Ottantant’anni dalla morte di Fernando Pessoa, il malinconico poeta “fingitore”
“Fernando Pessoa si siede sul divano con un movimento stanco, porta la mano alla fronte come se cercasse di calmare un dolore o allontanare una nube, poi le dita scendono lungo il viso vagando indecise sugli occhi come se cercasse di calmare il dolore o allontanare una nube, poi le dita scendono lungo il viso, vagando indecise sugli occhi, tirando gli angoli della bocca, lisciando i baffi, tastando il mento affilato, gesti che sembra vogliano ricomporre dei lineamenti, restituirli ai loro luoghi di nascita, rifare il disegno, ma l’artista aveva preso la gomma invece della matita, dov’era passato aveva cancellato, un lato della faccia aveva perso il contorno, è naturale, sono quasi sei mesi che Fernando Pessoa è morto”
Siamo a Lisbona e l’anno è il 1936; è l’anno che José Saramago ha scelto per far morire Ricardo Reìs, un distinto medico portoghese e raffinato latinista creato dall’immaginazione di Fernando Pessoa, con il cui nome Pessoa ha scritto i suoi versi più posati e classicheggianti.
Questo distinto professionista un po’ austero cammina per le strade di Lisbona e incontra lo spettro di colui che lo aveva inventato, Fernando Pessoa, di cui appena sei mesi prima, nel 1935, i giornali annunciarono la morte: più esattamente il 30 Novembre del 1935, esattamente otttant’anni fa.
E in quel meraviglioso apologo crepuscolare dal titolo “L’anno della morte di Ricardo Reis” il conterraneo di entrambi Saramago immagina che l’invenzione di Pessoa stesso, il suo eteronimo – così infatti Pessoa chiamava i vari personaggi che, nella finzione letteraria, firmavano le sue poesie- sopravviva al poeta.
Questo espediente letterario permette a Saramago l’opportunità, unica nella storia letteraria, di far dialogare un poeta con la sua poesia, quando Reis incontra appunto Pessoa in persona, come un apparizione spettrale, anche se forse si tratta solo del suo "ortonimo" anch’egli insomma una creazione del poeta stesso, sopravvissuta alla sua morte. Dialogare con la propria poesia da morti è una cosa che in un certo senso si potrebbe dire il sogno di tutti il poeti: non possono non venire in mente, pensando a questa fantasia, i versi di un altro poeta creato da Pessoa, Alvaro de Campos- un eteronimo con cui Pessoa usava creare poesie meno classiche e dall’afflato più metafisico ed esistenziale- dal titolo Tabaccheria. Si taratta di un testo che viene talora considerato fra i più belli mai scritti in Portoghese, in cui de Campos, profondamente alienato dalla città e dal mondo in cui vive, riflette, in un certo senso, sul destino stesso della poesia:
Ma il padrone della Tabaccheria si è fatto sulla porta e lì è rimasto.
Lo guardo con l'incomodo della testa non ben girata
e con l'incomodo dell'anima che non bene intende.
Lui morirà e io morirò,
lui lascerà l'insegna, io lascerò versi,
A un certo momento morirà anche l'insegna e anche i versi.
Dopo un certo tempo morirà la via dove era l'insegna,
e la lingua in cui furono scritti i versi.
Morirà poi il pianeta ruotante in cui tutto questo è accaduto.
In altri satelliti di altri sistemi qualcosa simili a gente
continuerà a fare cose come versi e a vivere sotto cose come insegne
Come si può intuire, la morte, intesa quasi come una sorta di minaccia di non-permanenza storica e metafisica allo stesso tempo, ha probabilmente ossessionato Pessoa e alcune delle personalità letterarie cui ha dato vita: "La morte è soltanto la curva e morire è solo non essere visto”, dice un’altra poesia, questa sì firmata da Fernando Pessoa; e voltata la curva possono rimanere, non si sa esattamente per quanto tempo, i versi del poeta, unico retaggio di un esistenza che il poeta probabilmente non avrebbe potuto far altro che definire miserabile, una biografia “in cui ci sono solo due date: quella di nascita e quella di morte”.
La poesia di Pessoa è stata decadente nella penna di Alvaro de Campos, classica in quella di Ricardo Reis, essenziale in quella di Alberto Caeiro, angosciosa in quella di Bernardo Soares e Pessoa : registri diversi, schegge della personalità di un’artista che, a ben vedere ha fatto della capacità di nascondersi dietro la propria finzione uno degli elementi caratterizzanti e, in generale della capacità di sottrarre, in un certo senso, la propria personalità dall’esistenza comune e dalla cura in cui sono affaccendati tutti gli altri esseri umani, una vera e propria cifra stilistica ed un tratto esistenziale fondamentale.
Eppure Saramago sceglie il più umbratile dei poeti, nel romanzo che abbiamo citato in apertura, per raccontare l’angosciante momento della ascesa di Salazàr in Portogallo: perché di questo parla L’anno della morte di Ricardo Reis; e lo sceglie probabilmente non perché era autore del Mensagem, del Messaggio, un poema in cui la storia Portoghese viene trasfigurata e esaltata; e non solo perché Pessoa rappresenta, senza alcun dubbio, meglio di ogni altro, l’anima poetica di quel paese nel Novecento: forse lo sceglie anche per giocare al gioco del contrasto e creare un'allegoria in cui la poesia del poeta viene affidata ad una posterità decadente e fascista, guerrafondaia, come una sorta di messaggio di salvezza che il futuro può sforzarsi di raccogliere o meno, può far sopravvivere o buttar via come l’insegna della Tabaccheria nei versi che abbiamo citato.
Ecco perché, un anno dopo la morte dell’autore Pessoa, muore anche Ricardo Reis, che in un certo senso rappresenta quello sguardo lucido della creatività intellettuale che Saramago aveva sempre auspicato, ed ecco perché, nell’esigenza di ricordare il poeta in questo importante anniversario, abbiamo scelto le parole di Saramago che, in un certo senso, col suo romanzo dell’84, ci aveva mostrato come fare a non dimenticarlo.