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Orson Welles fa a pezzi Hollywood: ecco le migliori sfuriate verso i suoi colleghi

È appena uscito per Adelphi il libro “A pranzo con Orson”, tre anni di conversazioni registrate a pranzo da Henry Jaglom dove il regista di “Quarto potere” si lascia andare a commenti sferzanti sui divi di Hollywood: “Marlon Brando è senza collo. Sembra un salsiccione”, Katherine Hepburn “si faceva sbattere in camerino da Howard Hughes, ma anche Grace Kelly ci dava dentro”.
A cura di Redazione Cultura
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Il regista e critico cinematografico inglese Henry Jaglom, grande appassionato di Orson Welles, per tre anni, dal 1983 al 1985, ha pranzato ogni giorno con il regista di “Quarto potere” al Ma Maison di Los Angeles dove Welles aveva il suo tavolo, sempre lo stesso, e dove faceva il suo ingresso passando dalla cucina (pare avesse il terrore che i camerieri gli sputassero nel piatto).

La cosa interessante è che Jaglom, con il permesso del regista, aveva con sé nascosto nella borsa un registratore sempre acceso. Dopo più di trent’anni le trascrizioni di quei nastri sono state raccolte in un libro, pubblicato in Italia da Adelphi, con il titolo “A pranzo con Orson” a cura di Peter Biskind.

Il ritratto che ne viene fuori è quello di un genio scorbutico e ossessionato dall’aspetto fisico: “Se per me Bette Davis è inguardabile, non voglio nemmeno vederla recitare, Woody Allen mi ripugna fisicamente, detesto gli uomini fatti in quel modo”. E ancora: “Se penso che una persona sia brutta, non mi sta nemmeno simpatica. Marlon Brando è senza collo. Sembra un salsiccione. Una scarpa fatta di carne”. Odiava anche Elizabeth Taylor per lo stesso motivo: “le orecchie le toccano le spalle” e tre attori come Dustin Hoffman, Robert De Niro e Al Pacino che definisce: “Nani etnici, gente scura con la faccia strana”.

E questo è solo un assaggio delle sue spietate osservazioni sulle star di Hollywood che ciononostante andavano quotidianamente a rendergli omaggio, reverenti e intimidite. Welles però non era semplicemente un osservatore irriverente, ma un uomo geniale e tormentato che parlava di sé peggio di quanto non facesse degli altri: “Sono un ipocrita, io. Un venduto” e riteneva che, in quanto grasso, non avesse il diritto di ridere: “I grassoni non devono ridere. È bruttissimo da vedere”.

E così l’uomo che con “Quarto potere” aveva cambiato per sempre il cinema era persino capace di definirsi razzista e omofobo senza esserlo, uno che avendo vinto e perso tutto, avendo sfidato le Major, non ha più bisogno di niente. Nel libro c’è anche spazio per scurrili pettegolezzi sulle dive dell’epoca, da Rita Hayworth che fu la sua seconda moglie, a Grace Kelly e Katherine Hepburn di cui racconta come “si faceva sbattere in camerino da Howard Hughes”.

Insomma, “A pranzo con Orson” è un libro che offre uno spaccato controverso di uno degli uomini di cinema più singolari e geniali del XX secolo, evidentemente compiaciuto di dare corpo a questo strambo testamento dove alterna basse e talvolta volgari considerazioni ad acute riflessioni sul cinema e sull’arte: “La peculiarità dei divi è quella di generare grandi creazioni cinematografiche. Non li giudichiamo davvero come attori, sono creature di cui a un certo momento ci siamo innamorati. E questo dipende da chi vogliamo come eroi. È impossibile fare una discussione critica seria sugli entusiasmi per i divi del cinema, perché il divo è un pianeta a sé, rispetto alla recitazione, a volte sono grandi attori o attrici, oppure, sono attori o attrici di terz’ordine. Ma fanno innamorare”.

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