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Oggi è il compleanno di Kafka

Il grande scrittore praghese celebra oggi il suo compleanno, 131 anni: lo ricordiamo ancora, come uno dei più significativi artisti del secolo scorso e di tutti i tempi. Tormentato, geniale, in grado di aprire baratri nella coscienza e nella percezione.
A cura di Luca Marangolo
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“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.”  Deve essere rimasto subito avvinto, nel 1920, l’amico e biografo di Kafka Max Brod quando ricevette le pagine del manoscritto, destinato a rimanere incompiuto, del Processo.

Franz Kafka, l’autore del processo, una delle figure più importanti della letteratura mondiale, era nato a Praga il tre luglio del 1883, ed oggi avrebbe 131 anni. La vita di Kafka si è svolta fra luoghi simbolici, evocativi della sua vita, ampiamente descritta, nell’immaginario culturale del Novecento e oltre, in tutti i suoi cliché. Un Travet cecoslovacco, schivo, timido, con problemi sentimentali e una sessualità bloccata, che scrive di notte per recarsi al mattino alle “Assicurazioni Generali” dove si siede ad una polverosa scrivania. E tuttavia, anche se i testi che scrive di notte sono destinati a divenire i più osannati capolavori dell’Occidente, Kafka li mostrerà solo a pochi, fidatissimi amici, e morirà, nel ventinove, nella convinzione che andassero tutti bruciati. Kafka è qualcosa di unico: il suo stile è uno stile inimitabile, denso di suggestioni che derivavano dalla religione, dalla letteratura e dalla cultura tradizionale, dalla vita quotidiana, dall’avanguardia, dal cinema e dagli altri nuovi media che nacquero nei primi del Novecento.

“The one Artist that I could feel my brother is Franz Kafka” , ha detto una volta David Lynch, e si capisce perché: La scrittura di Kafka viene prima della cognizione, uno dei segreti della sue capacità stilistiche e di straniamento sta proprio nel portare alla luce tutto un mondo corporeo e immaginativo profondo che accade prima che la parola possa spiegarlo. È per questo che la sua scrittura, in primo luogo dal punto di vista stilistico, è così indissolubilmente legata al Cinema, al visivo, e a tutta l’esplorazione del mondo fantastico che sta fra i sensi e il pensiero. Si pensi alle descrizioni estatiche della camera del padre ne La condanna, alla forza di immedesimazione cognitiva e sensoriale che sta nelle prime pagine della Metamorfosi, o alle reveries liberatorie in cui, l’impiegatuccio frustrato sogna di cavalcare nelle praterie del nord america come un pellerossa.

Non c’è solo questo, ovviamente, ma molto di più: la scrittura di Kafka è imbevuta della cultura mistica ebraica, che ha portato un critico acuto come Luperini a definire l’opera di Franz Kafka  un Allegorismo Vuoto. Come spiegare questa definizione? I racconti di Kafka non sono ermetici, non cercano cioè di essere impenetrabili per fini estetici, non sono modernisti o avanguardisti, perché  la sperimentazione, più che essere un fine, è intrecciata in modo assolutamente inedito con la tradizione.

L’allegorismo vuoto di Kafka consiste nella capacità, che egli ha avuto, di dischiudere la patina della realtà facendola risuonare di senso, di significato, senza che però il lettore potesse comprendere quale, in definitiva, questo significato fosse.  Le descrizioni della città, oscura e metafisica, i gesti irrazionali delle persone che si incontrano, lo sguardo posato per un attimo su un albero abbattuto che giace sulla neve: sono tutti squarci di senso, abissi che si spalancano all’improvviso  agli occhi del lettore incredulo, che cerca di comprendere in cosa consistesse questo significato, senza riuscire a afferrare esattamente da dove deriva questo sconvolgimento.

L’immaginario di Kafka ha plasmato il Novecento: tutti hanno vissuto sulla loro pelle l’angoscia e le sensazioni trasmesse dall’universo kafkiano, e tutti hanno rivissuto, anche se non con la stessa forza estetica con cui Kafka l’ha fatto, questa condizione di smarrimento.

Si tratta di uno dei pochi, veri, grandi classici di massa, che coniugano la assoluta raffinatezza e unicità del testo e dello stile ad una capacità comunicativa universale e trasversale, sia per quanto Kafka ha dato all’uomo del Novecento per immaginarela propria condizione, sia per quanto le sue stesse parole, a 131 anni di distanza, risultano ancora vibranti.

Kafka, si sa, ebbe una vita infelice. Ossessionato dalla figura, dal corpo del padre severo e feroce che ha giganteggiato nel suo immaginario per tutta la vita, non è mai riuscito ad avere una esistenza totalmente appagante: una storia d’amore disastrosa con Felice Bauer, un'altra tormentata e inespressa con Milena Jesenska durata fino al diciassette, vari anni di un odiato lavoro impiegatizio, un talento letterario sempre negato e vissuto in modo problematico e, infine, la malattia: emottisi e ricoveri forzati, i quali però non ne evitarono una scomparsa prematura.

A 131 anni i racconti di Franz Kafka sono ancora quanto di più letto e conosciuto nell’ambito della letteratura. C’è qualcosa di esplosivo che ancora condiziona la vita di moltissimi lungo la loro formazione, ed è una traccia di un’esperienza umana di assoluta preziosità

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