Non solo Riace: ecco i Bronzi di Porticello, tra i tesori del Museo archeologico di Reggio Calabria
Quando si parla del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, restaurato di recente anche grazie ai fondi regionali europei, la mente vola subito ai due Bronzi di Riace, le statue bronzee di due uomini completamente nudi che rappresentano una delle testimonianze più importanti, e soprattutto meglio conservate, dell'arte classica. Ma non sono le uniche bellezze che si possono ammirare nel polo della città calabrese: oltre a centinaia di reperti della Magna Grecia, ci sono anche i Bronzi di Porticello, due teste di bronzo, esposte nella sala di Palazzo Piacentini dedicata ai bronzi da ritrovamento subacqueo, proprio accanto a quelli di Riace. Anche in questo caso, le teorie sull'origine e il significato delle due opere restano avvolte dal mistero, il che le rende ancora più affascinanti agli occhi dei visitatori rapiti dalla loro grandezza. "Messi insieme, questi capolavori fanno della sala del nostro Museo in cui sono ospitati la più grande collezione di bronzistica greca del V secolo a.C. in tutto il mondo", spiega il direttore Carmelo Malacrino, che sottolinea come "questo percorso espositivo faccia scoprire la grandezza della Calabria, regione tra le più importanti della Magna Grecia".
La testa del filosofo: è Esopo o Pitagora?
Come per i Bronzi di Riace, anche per quelli di Porticello gli studiosi hanno elaborato varie ipotesi circa l'identificazione di questi personaggi. Una delle due state è stata ribattezzata "la testa del filosofo": alcuni, infatti, vi riconoscono il ritratto di un filosofo cinico, come Paribeni o Giuliano, altri lo hanno identificato con Esopo, grande letterato e autore di favole, e con Pitagora. Tuttavia, la teoria più accreditata al momento è quella che colloca la sua origine tra il 460 e il 440 a.C. Il suo volto presenta tratti molto marcati, occhi piccoli, anche se manca il sinistro che è stato danneggiato, e folti baffi. Per questo si tratterebbe di un uomo maturo. La barba è molto lunga e le sue ciocche sono lavorate separatamente, così come i riccioli della capigliatura. L'opera è stata recuperata dal relitto di una nave, chiamato per l'appunto relitto Porticello, rinvenuta nel 1969 da alcuni pescatori di Villa San Giovanni. L'imbarcazione era affondata sui fondali della costa nei pressi di Reggio Calabria e molto probabilmente trasportava altre statue provenienti dal saccheggio di una delle città greche della Sicilia da parte dei conquistatori punici, tra il VI e il V secolo a.C.
Perché la testa di Basilea si chiama così
Insieme alla testa del filosofo, all'intero dello stesso relitto è stata rinvenuta anche la cosiddetta testa di Basilea, caratterizzata da una fitta barba e da una benda tra i riccioli dei capelli, databile sempre alla metà del V secolo a.C. per i richiami allo stile di Fidia. Il suo nome deriva dal fatto che, dopo essere stata scoperta nelle acque di Porticello, fu trafugata e immessa sul mercato antiquario, giungendo all’Antikenmuseum di Basilea, senza però essere mai esposta. Grazie a un identikit realizzato dalla Polizia sulla base di testimoni che avevano visto l’opera subito dopo il ritrovamento, il reperto è stato poi riconosciuto e formalmente restituito dal museo svizzero allo Stato Italiano nel 1993. Fino ad oggi è stata, così, esposta e conosciuta come Testa di Basilea. È probabile che fu amputata dal busto di una statua a causa di violenti colpi che hanno provocato anche la perdita di entrambi gli occhi ed il danneggiamento della radice, del naso, dell'occhio e dell'orecchio sinistro. Entrambi i bronzi era forse destinati alla fusione, come fa pensare la loro frammentarietà e il fatto che la testa di Porticello fu divelta la statua a colpi di martello.