Non è Salvini in sé a farmi paura, ma il Salvini che è in me
Alle 15.45 di un normale pomeriggio da cani, mentre Salvini afferma che il 25 aprile è un derby tra fascisti e comunisti (anche se poi in realtà sappiamo tutti come è finito e da chi è stato vinto il derby del ’45 e forse proprio per questo lui non ama ricordarlo o commemorarlo), Mimmo Lucano viene rinviato a giudizio (perché, dicono, potrebbe essere colpevole di favoreggiamento clandestino) e una piccola barchetta con a bordo 15 persone in cerca di salvezza, viene “rispedita al mittente” (quantunque quelle 15 persone avessero detto più volte che tornare in Libia, per loro, voleva dire morire e che avrebbero preferito affondare in mare piuttosto che tornare su quella terra), io, come quasi tutti i giorni, attraverso trafelato e in ritardo, l’ingresso dell’asilo di via Rizzoli per andare a prendere il mio piccolino grande e la mia piccolina piccola, che mi aspettano seduti con i loro compagnucci e compagnucce, impaziente di riabbracciarli e vederli ridere e sorridere.
Dopo averli rincorsi e pregati infinite volte di mettersi la giacca “perché fuori fa freddo e poi ci si ammala e non si può più giocare al parco”, attraversiamo la strada, ci sediamo sulla nostra panchina, facciamo merenda sotto “l’albero più grande di tutta la città”, e di gran lena ci dirigiamo verso il parchetto vicino all’asilo, dove troviamo tutte le loro amichette e amichetti, con i rispettivi genitori. Senza indugio corrono insieme verso un bellissimo castello di scivoli, scale, corde e ponti in legno, dove giocano a fare i pirati o ad avventurarsi fra le battaglie di Star Wars, che in famiglia amiamo molto (soprattutto per il fatto che i "buoni" fanno parte di un gruppo chiamato "resistenza"!).
Poi d'un tratto mi accorgo con la coda dell'occhio che scoppia un piccolo litigio ma non intervengo perché son bambini ed è giusto che sia così, fin quando però un bimbo spinge il mio piccolino grande, lo spinge sempre più forte fino a farlo a cadere, perché "il castello è mio" dice, e una volta per terra si azzuffano. Azzuffata che a dir la verità dura pochissimo perché son molto piccoli e anche perché noi genitori interveniamo subito. La mamma e il bimbo, che si chiama Yussef, si allontanano sedendosi su di una panchina mentre lei dolcemente ma con fermezza lo rimprovera, io con il mio piccolino grande e gli altri genitori che eran li, restiamo alla nostra panchina. E a questo punto si scatena la fiera delle frasi fatte:
Loro son fatti così, son diversi da noi, sono più portati (giuro che l'hanno detto per davvero) per la violenza, già da bambini
che poi non è vero che siamo razzisti, sono loro che sono chiusi, stan sempre fra di loro, non ci vogliono stare con noi, vedi come ha fatto il bambino?!?
Fino alla più bella di tutte, peraltro pronunciata da una bimba bella, bionda, bianca e benestante:
Papà lo dice sempre di non giocare con quelli perché i “musssulmanni” e i negri ammazzano la gente…
E finalmente cala un bel silenzio, perché noi abitiamo vicino via Padova, e di "musssulmanni e negri" in quel parchetto ce ne sono tanti, e molti sono fra le migliori amichette e amichetti dei miei piccolini nonché della piccola, infernale "wasp" (acronimo usato prevalentemente negli Stati Uniti : white anglosaxon protestant NdA).
Cerco sdegno e disapprovazione negli sguardi e negli occhi degli altri genitori ma leggo solo una mesta e meschina approvazione di quanto appena urlato da quella piccola mostriciattola bionda. Nel mentre mi allontano da loro e i bimbi tornano a giocare.
Dopo pochi minuti Yussef spinge di nuovo il mio piccolino grande, e mentre a passo lesto vado verso di loro per separarli penso " vaffanculo negretto di merda, allora la piccola diavola ha ragione" e mentre lo penso vedo che il mio piccolo sta consolando il suo amico che piange perché la "cosa bionda" gli aveva urlato contro che se ne doveva andare : "noi con te non ci giochiamo perché tu ammazzi la gente…". Ed è in quel momento che mio figlio per l'ennesima volta mi lascia stupefatto (più stupe che fatto come avrebbe detto Little King), rendendo possibile, l'impossibile come solo alle volte i bambini sanno fare. Fa una piccola domanda, semplice semplice ma che mette in crisi la piccola nazista: perché? Perché lui dovrebbe ammazzarci, le chiede.
È soprattutto mi fa molto ridere quando le chiede come, "come fa ad ucciderci se è un bambino, i bambini non hanno le armi vere, hanno quelle di gioco e poi i piccoli non uccidono mai!". La gerarca in miniatura accenna una risposta relativa al fatto che gliel'ha detto il suo papà e poi scoppia a piangere perché non ha la benché minima idea di come rispondere e forse anche perché un po' le dispiace (ma su questo ho dei dubbi).
Dopodiché una vocina urla "facciamo che il castello è di tutti?" e come se nulla fosse tornano a giocar e a immaginare di volare.
Una semplice domanda che dovremmo fare a tutti i razzisti: perché? Perché lasciamo morire 15 persone senza fare nulla? Perché oramai i numeri non fanno più scalpore e se non sono almeno 200 non gridiamo forte? Perché? Da quando lasciar morire le persone è diventata una cosa normale? Forse dovremmo ricominciare tutto da capo, e ricominciare oggi vuol dire farlo dai bambini, dal non insegnar più la nostra morale, inventarne un’altra o forse non inventarne proprio nessuna.
Forse ricominciare oggi vuol dire raccontare ai bambini nuove favole che non parlino più di buoni e cattivi, ma di bontà e cattiveria, perché non esistono buoni e cattivi ma soltanto persone che commettono azioni buone e azioni cattive, perché tutti e tutte possiamo essere buoni e cattivi, e forse ma dico forse, se non fossimo più convinti di essere i buoni staremmo molto più attenti a non essere cattivi, a non diventare cattivi, a non comportarci da cattivi, a non fare cose cattive.
Se non fossimo più convinti di essere noi i buoni, di avere sempre ragione, di rammentare sempre che la ragione non sta mai da una parte sola e “la ragione si dà ai fessi”, forse staremmo molto più attenti a cosa scrivere, postare, fotografare e staremmo molto più attenti a non indicare quei corpi in mare senza più calore, ostentando fieri il nostro sdegno ma senza poi muovere di un centimetro quella mano, rischiando alla fine di fissare il dito e non il mare, ritrovandoci così nostro malgrado a permettere che vengano fatte cose molto cattive, senza avere scuse che ci permettano di dire, con dignità, di essere diversi da chi le fa, quelle cose cattive.
Perché lasciar morire nel mare la gente è una cosa molto cattiva. Far tornare quindici persone nel luogo da dove erano scappate per paure di essere torturate a morte, è una cosa molto, molto cattiva.
Da qualunque punto di vista la si guardi, di qualunque opinione ci si voglia armare, e qualunque sia la soluzione al problema degli sbarchi, mandare verso morte certa quindici persone senza fare nulla, è quanto di più deplorevole si possa fare, anzi più deplorevole ancora è lasciare morire lentamente al largo decine di persone, urlando che i porti sono chiusi. Accusare ed "esiliare” un uomo che ha cercato di aiutare altri uomini e altre donne, un uomo che è divenuto esempio di condotta per altri paesi al di fuori del nostro, è una cosa non solo cattiva ma anche assai stupida.
Ma d’altronde in qualsiasi altro paese, un candidato di nome Rudolf Hitler o Alexander Hitler o Marco Antonio Pinochet o Franky Franco, sarebbe stata una barzelletta, il soggetto di un film se non un’idea impraticabile e stupida, mentre invece nel nostro di paese, un tizio con il doppio nome di due imperatori e il cognome del peggior dittatore – che fuggendo travestito da soldato semplice sulla via della salvezza svizzera imbottito d’oro e danari, lasciava dietro di se morte e macerie – e una vita passata all’estero, viene candidato come fulgido esempio di onestà patriota (Caio Giulio Cesare Mussolini candidato per Fratelli d’Italia NdA).
Così seppur convinto che non esistano per davvero buoni e cattivi, vorrei trovare le giuste parole per spiegare al mio piccolino grande, e alla piccolina piccola quando sarà in grado di comprendere tutto, come sia possibile che ci siano dei bimbi che dicano cose del genere, o ancora meglio, come sia possibile che ci siano persone che pensino e insegnino ai propri figli delle cose del genere.
Perché troppo spesso dimentichiamo che il mestiere di genitore è assai difficile e dovremo insegnare ai nostri figli e alle nostre figlie ad essere migliori di noi e non come noi; dovremmo insegnar loro il mondo per come dovrebbe essere e non a fottere il mondo per come è, perché così son bravi tutti.
E allora accadrà che, mutuando le parole del capitano, “da padre” saprò cosa fare nel giorno “del derby” e porterò i miei figli a manifestare, per mostrare loro che ci sono decine e centinaia di persone che non pensano che Yussef voglia uccidere nessuno, per mostrare loro che ci sono decine di migliaia di persone che non lascerebbero mai morire dei bambini in mare, e che cercano tutti i giorni di impedirlo seppur non abbiano grandi armi a loro disposizione, per mostrare loro che ci sono milioni di persone che sanno – perché hanno studiato, perché letto, perché hanno visto e ascoltato – che il 25 aprile 1945 l’Italia fu liberata dai fascisti, che erano persone che facevano cose molto, molto, molto cattive.
Cose cattive che abbiamo il potere e il dovere di far sì che non accadano più. Ed è per questo che racconterò ai miei piccolini la storia dei partigiani che hanno combattuto contro i fascisti e che alla fine nonostante tutto, nonostante fossero anche molti meno, hanno vinto : “un po' come quando alla fine Luke, Leila e Han Solo sconfiggono l’impero e l’imperatore Palpatine e vincono i buoni…”
Che vabbè che sarà pur vero che buoni e cattivi non esistono, però alle volte è così bello poter dire che i partigiani erano i buoni e i fascisti i cattivi, e anche sti cazzi la coerenza.
Ma cosa vuol dire razzista papone?
Che sei uno stronzo di merda cattivo e fascista… ecco cosa vuol dire razzista!
Ma non si dicono le parolacce papi!
Hai ragione scusami piccolo mio, fascista non lo dico più.
Sono le 17.15 di un normale giovedì pomeriggio da padre, e mi tornano prepotenti in mente le parole del signor G (più o meno) ovvero che non è tanto Salvini in sé a farmi paura ma è il Salvini che è in me che mi fa veramente tanta paura.