Esattamente quindici anni fa, il 26 giugno del 2001, ci lasciava a 95 anni, dopo una vita lunga e intensa, Lalla Romano. Poetessa, pittrice, narratrice, traduttrice, appassionata di musica a tal punto da definirla "la base di tutte le arti". Piemontese d'origine, milanese d'adozione, nipote del matematico Giuseppe Peano. Una delle grandi scrittrici del nostro novecento. Per alcuni decenni, in particolare tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, fu sulla cresta dell'onda del dibattito culturale, complice il successo dei suoi libri, da "Tetto murato" del 1957 a "La penombra che abbiamo attraversato" del 1964, a "Le parole tra noi leggere" del 1969 che le valse la vittoria premio Strega.
Ma ci fu di più, molto di più nella sua vita. È stata figlia, madre, moglie, compagna. Poi la vecchiaia, la cecità, la malattia. Fino all'ultimo dei suoi giorni le è rimasto accanto Antonio Ria, fotografo e giornalista, per oltre quindici anni compagno di vita e di lavoro, da quando Lalla era rimasta vedova del marito, Innocenzo Monti, dirigente di primo piano della Banca Commerciale Italiana.
Da allora Ria è rimasto ad abitare nella casa di via Brera, a Milano, oggi sede della Associazione "Amici di Lalla Romano" che vanta centinaia di soci e in cui sono custoditi oltre dodicimila volumi, tra manoscritti personali, libri (compresi quelli che studiava quand'era una giovane studentessa all'Università di Torino) e decine di faldoni contenenti le corrispondenze che intratteneva con illustri esponenti della cultura italiana, tra cui Italo Calvino, Cesare Pavese e Giulio Einaudi. A completare il prezioso corredo, in parte già trasferito alla vicina Biblioteca Nazionale Braidense, ci sono i grandi fogli che la scrittrice piemontese utilizzava, ormai cieca, per scrivere.
"La sua grande dannazione era non poter scrivere" – ci dice Ria, che per l'occasione abbiamo raggiunto al telefono – Gli ultimi furono anni drammatici a causa della cecità. A un certo punto ebbi l'intuizione di darle dei fogli molto grandi che lei utilizzava e che adesso costituiscono una parte importante del tesoro che l'associazione gestisce."
Da quel triste giorno di quindici anni fa, infatti, la più grande preoccupazione di Antonio Ria è fare in modo che l'opera di Lalla Romano non scompaia. "Dopo la sepoltura a Demonte, piccolo paese in provincia di Cuneo dove era nata, sono tornato a dormire nello stesso letto in cui avevamo vissuto. I miei ricordi personali valgono molto, ma restano, appunto, personali. Molto più importante è il ricordo pubblico. Per questo il mio compito è far rivivere Lalla fuori da questa casa – mi riferisce preoccupato – Oggi viviamo in una società delle immagini che corre troppo in fretta. E anche se per i suoi lettori e per le persone che l'hanno conosciuta lei è come se fosse viva, lo stesso non può dirsi per il mondo culturale e mediatico che l'ha completamente dimenticata". In proposito non manca un aneddoto divertente e allo stesso tempo esplicativo del modo in cui la comunicazione ai giorni nostri trituri ogni cosa in fretta. "Quando Lalla era viva, Maurizio Costanzo mi chiamava supplicandomi di aiutarlo a convincerla ad andare in televisione. ‘Se c'è lei Aldo Busi si conterrà' mi ripeteva. Oggi, invece, chi nel sistema televisivo ed editoriale si ricorda di Lalla Romano?".
Una delle cose peggiori che la memoria di un paese può fare è, via via che i testimoni di un'epoca invecchiano e la presenza sulle scene dei protagonisti diminuisce, dimenticare i propri grandi scrittori. Dimenticarne i libri – che uno alla volta finiscono fuori commercio – e il contributo di persone dall'intelligenza vivace, attenta, complessa. Prima di diventare una narratrice di successo, Lalla Romano era stata un'artista ("Si vergognava un po' di far vedere i suoi dipinti – dice Ria – All'inizio riteneva di non dover associare questa passione alla sua immagine di scrittrice") e una poetessa i cui versi Eugenio Montale aveva giudicato positivamente. Nel 1941, infatti, esordì con la raccolta di poesie "Fiore" pubblicate da Frassinelli, dopo il rifiuto della Einaudi, che in seguito avrebbe poi pubblicato tutti i suoi libri. La Romano, a dimostrazione del suo carattere riservato, chiuso ma anche molto determinato, inviò una copia fresca di stampa all'editore Giulio Einaudi, con dedica "a chi non ha voluto stampare questo libro ".
Proprio per sottrarre all'oblio la futura memoria di Lalla Romano, Antonio Ria di recente ha compiuto un passo fondamentale in tal senso: "Ho deciso, insieme ad altri accademici, di realizzare il "Centro studi Lalla Romano", una fondazione che permetterà alla sua opera di penetrare nelle università, attraverso il contributo dei vari dipartimenti, e dare continuità ai suoi libri, vigilando sulle copie in commercio, realizzando studi e approfondimenti critici". E se un giovane di oggi volesse avvicinarsi alle sue opere, quale consiglierebbe l'uomo che le è stato accanto fino alla fine?
"Per Lalla tutti i suoi libri erano importanti e anche per me lo sono. Ho una particolare predilezione per ‘Nei mari estremi', ma in generale non sarei capace di dire qual è il migliore. Ogni lettore ha i suoi. Forse, per avvicinarsi alla sua opera e comprenderne il senso generale, potrebbe essere utile partire da "Vita di Lalla Romano raccontata da lei medesima" (Manni editore), volume scritto con Ernesto Ferrero a cui mi rifaccio sempre quando mi succede di commemorarne la figura in pubblico. Questo libro è una sorta di antologia della sua opera letteraria, accanto a cui coesistono i racconti di vita di Lalla, dalla sua infanzia alla giovinezza e poi fino all'età adulta."