Sky Italia ha segnato profondamente la serialità moderna. Prima con "Romanzo Criminale", poi con "Gomorra". Ha sperimentato ed è stata in grado di unire sinergie e risorse internazionali, coinvolgendo talenti e volti dello spettacolo di primo piano. Pensiamo a "The Young Pope" e "The New Pope" di Paolo Sorrentino: sono state le prime co-produzioni italiane con Hbo. Nils Hartmann, EVP Sky Studios Italia, si è sempre trovato in una posizione privilegiata. Perché ha potuto seguire da vicino, in prima persona, lo sviluppo di tantissimi progetti. Per molto tempo, è stato uno dei testimonial più importanti del “glocal”, un valore che tiene insieme la specificità locale con le potenzialità internazionali.
Grazie a Sky Studios, ha prodotto titoli che hanno fatto il giro del mondo e che hanno ottenuto l’attenzione del pubblico americano e inglese. In queste settimane, racconta, sta seguendo le riprese della seconda stagione di "Blocco 181" e il montaggio de "L’arte della gioia" di Valeria Golino e di "Hanno ucciso l’Uomo Ragno" di Sydney Sibilia. Riflette sul successo di "Call my agent – Italia", che a breve tornerà con una seconda stagione, e ci tiene a ribadire l’unicità de "I delitti del BarLume", una serie che ha avuto un impatto considerevole sulla nostra commedia televisiva. Secondo Hartmann, ora è fondamentale ripensare agli investimenti e non dimenticare di sperimentare e di dare spazio ai nuovi autori.
"Dostoevskij" dei fratelli D’Innocenzo si muove esattamente in questa dimensione: non è mai stata immaginata come un prodotto commerciale, per il grande pubblico, ma come una serie ricercata, fortemente autoriale, per un pubblico specializzato. Se fa questo lavoro, confessa Hartmann, è perché ha sempre amato il cinema e la possibilità di raccontare storie. Sky è diventata centrale nella sua carriera e continua a essere un punto di riferimento per l’intero mercato italiano. Questo è il suo Controcampo.
Molti produttori mi hanno detto che le piattaforme streaming stanno cambiando la loro linea editoriale: da serie potenzialmente rivolte al pubblico internazionale si stanno spostando verso serie pensate innanzitutto per gli spettatori italiani. Anche Sky sta facendo la stessa cosa?
Direi di sì. Grazie al nostro hub internazionale, abbiamo fatto dei progetti che partivano da proprietà intellettuali italiane, come "Django", ma che a tutti gli effetti erano delle produzioni internazionali. Oggi abbiamo capito che le cose più efficaci, soprattutto per il nostro pubblico, sono quelle local for local.
Per esempio?
"Petra" e "Call my agent – Italia". Due serie che parlano in maniera mirata agli spettatori italiani. Questo però non esclude che possano esserci delle eccezioni. E anche se si tratta di serie locali, possono avere un successo internazionale. Cito per l’ennesima volta "Gomorra" o, se preferisci, "M. Il figlio del secolo": è in arrivo, ha un protagonista italiano, racconta una storia italiana, ha un regista inglese e ha il potenziale per arrivare ovunque.
Sei sempre stato uno dei più grandi sostenitori del concetto di glocal: progetti forti della loro unicità locale con un potenziale internazionale. Come hai reagito davanti a questa inversione di tendenza?
Secondo me, è stato un passaggio abbastanza naturale. Delle volte, le cose si capiscono solo facendole. Poi, come ti dicevo prima, ci sono sempre delle eccezioni. Le due serie di Paolo Sorrentino, "The Young Pope" e "The New Pope", sono andate molto bene. Oppure pensa anche a "Diavoli", che ha trovato il suo spazio negli Stati Uniti. "Das Boot", la nostra serie tedesca, è stata accolta nel migliore dei modi in tutti i paesi in cui è stata distribuita. L’altro giorno, ho recuperato i dati di alcune misurazioni che abbiamo fatto sul lungo periodo. E su Sky UK la serie più vista continua a essere "Gomorra". È normale provare a sperimentare, ed è altrettanto normale imparare dalle proprie esperienze. Altrimenti non avrebbero senso.
Come Sky, su che cosa state puntando in questo periodo? Ci sono generi che vi interessano di più?
La risposta, secondo me, sta nell’unione di più cose. Dopo anni, abbiamo deciso di lanciarci nell’avventura di immaginare dei prequel di "Romanzo Criminale" e "Gomorra", due dei brand più forti che abbiamo avuto. Ma nel frattempo abbiamo fatto anche altro. "I delitti del BarLume" è una commedia d’autore, che è estremamente riconoscibile per le sue caratteristiche e per la sua impostazione. Potrebbe sembrare un prodotto da free tv, e invece per Sky funziona molto bene. Lo stesso vale per "Call my agent – Italia". Questo non significa spostarsi sulla commedia; significa essere pronti a qualunque tipo di storia e di racconto. Prima ti parlavo di "M.", e quella non è una commedia.
Che cos’è che cercate?
Una cifra e una firma estremamente chiare e uniche. E questo al di là del genere o del linguaggio che si decide di utilizzare.
Continuerete a sperimentare?
Più che di sperimentazione vera e propria, parlerei di scintille. "Un’estate fa" è nata così, con una sua direzione precisa. E alla fine si è tramutata in un buon successo per noi.
E per quanto riguarda, invece, la produzione di film originali? È qualcosa che potrebbe tornare, in futuro?
Dei film, come sai, se ne occupa Vision Distribution. E sotto questo punto di vista i compiti restano piuttosto separati. Alcuni film, poi, arrivano sui nostri canali e su NOW.
La serialità, in Italia, continua a essere la grande frontiera da conquistare? O i confini, soprattutto dopo gli ultimi anni, si sono ridotti?
A un certo punto, lo spazio è stato sovrastimato. E quindi è stato fondamentale indietreggiare e riconsiderare dimensioni e possibilità. Non credo che sia la fine per la serialità; credo, però, che ci saranno investimenti diversi e più mirati. È importante tenere d’occhio pure quello che sta succedendo in sala, come il caso del film di Paola Cortellesi o gli incassi di Lanthimos e di Miyazaki.
Che cosa ci dicono questi risultati?
Che un cinema particolare, volutamente ricercato e con un’impronta fortemente autoriale, può funzionare in sala e attirare il pubblico. Le serie possono tornare in una dimensione più normale e contenuta rispetto a quella che si è creata durante la pandemia, quando c’è stata una sovrapproduzione di titoli. In quel momento, con quel tipo di offerta, era davvero difficile riuscire a guardare e a seguire tutto.
In Italia manca la capacità di fare sistema? Mi spiego meglio: manca la lucidità di vedere quello che fanno gli altri e di capire che non ha senso riproporre sempre la stessa cosa e sempre lo stesso genere?
Come spettatore, guardo molti prodotti. E mi pare che come Sky cerchiamo sempre di fare qualcosa di diverso e giusto per noi. Abbiamo lavorato anche a titoli più commerciali, ma facevano parte di quella fase di sperimentazione di cui parlavo prima. Non sempre sono andati bene, ed è giusto dirlo. Più in generale, però, penso che le serie che meritano il marchio Sky Original siano riconoscibili. Rispetto alla tua domanda, il mio punto di vista è chiaramente viziato dal lavoro che faccio. Qualcun altro potrebbe risponderti diversamente.
Che cosa avete cercato di evitare?
Siamo stati attenti a non diventare quelli di "Gomorra" e basta, a differenziare la nostra produzione e a cercare altri generi. Secondo me, abbiamo trovato un equilibrio sano. "I delitti del BarLume", per quanto mi riguarda, ha avuto un impatto simile a "Gomorra" sulla commedia.
Resiste una tendenza a sottovalutare il pubblico?
Ciò che cercano di fare le piattaforme come Sky è soddisfare le richieste del pubblico. Secondo me, la grande sfida è riuscire a lavorare sulla specificità. Non ha senso provare ad accontentare tutti; è una cosa estremamente difficile. Si continuano a citare i dati e i numeri, ma è vero che la specificità di un prodotto porta una risposta diversa, più fidelizzata, che nel tempo dura. Il pubblico che ama una serialità più ricercata, come può essere quella di Hbo, è un pubblico che ha un suo peso specifico e che se si abbona lo fa proprio per questo tipo di offerta.
In questa direzione si muove "Dostoevskij" dei fratelli D’Innocenzo, che verrà presentata in anteprima al Festival di Berlino e che prima di arrivare su Sky e NOW sarà al cinema.
Sì, assolutamente. Il tentativo con i D’Innocenzo è stato esattamente questo: fare qualcosa che difficilmente potresti vedere su un’altra piattaforma. È evidente che non è un prodotto televisivo commerciale. Fin dal primo momento, ci siamo mossi con questa consapevolezza.
In futuro continuerete a produrre questo tipo di serie?
Devi essere sempre più attento agli investimenti che fai. Per me, però, progetti come "Dostoevskij" devono continuare a esserci. In numero minore, certo, ma devono andare avanti.
Storie che oggi stanno andando particolarmente bene sono quelle rivolte ai più giovani. Penso a "Skam Italia", sì, ma pure al fenomeno "Mare Fuori". Su Sky, pochi mesi fa, è arrivata "Un’estate fa". State lavorando ad altri progetti come questo?
In "Un amore" (la nuova serie con Stefano Accorsi e Micaela Ramazzotti su Sky e NOW dal 16 febbraio, ndr) c’è uno schema abbastanza simile a quello che abbiamo visto su "Un’estate fa": la storia si divide tra un momento nel passato, quando i due protagonisti si conoscono e sono dei ragazzi, e uno nel presente. Ma siamo sempre stati attenti ai giovani talenti. Un altro esempio è Tecla Insolia, la giovane protagonista de "L’arte della gioia" di Valeria Golino. Non abbiamo una sezione specifica, concentrata sui prodotti young adult. Però, come notavamo l’altro giorno in ufficio, siamo circondati da una generazione di nuovi attori veramente eccezionale.
E voi, come Sky, avete sempre puntato sui nuovi volti. L’avete fatto con "Romanzo Criminale" e "Gomorra".
Sì, all’epoca era un passaggio quasi obbligato. Oggi, tendiamo a unire queste due tendenze: da una parte una generazione più giovane e dall’altra grandi attori affermati, come Paola Cortellesi in "Petra". Siamo sempre contenti di dare spazio alle novità.
Qual è il problema dell’Italia intesa come industria e sistema? Che cos’è che manca?
Sai, ci sono dei temi economici e industriali, che sono esplosi proprio nell’ultimo periodo. I costi, all’improvviso, sono diventati altissimi. Si faceva fatica a trovare tecnici e personale specializzato. Chiaramente è stato uno degli effetti della sovrapproduzione di cui ti parlavo poco fa: sono stati avviati troppi progetti, e non c’erano le infrastrutture necessarie per rispondere a tutte le necessità.
E che effetto ha avuto sul mercato?
Da un lato è stato un bene, perché ci ha portato a sviluppare nuove professionalità. Dall’altro ha portato tutti in affanno. Riprendendo il discorso di prima, però, credo che l’Italia continui a essere un paese di grande eccellenza quando si parla di ideazione e produzione di storie. Prima parlavi di "Skam Italia" e di "Mare Fuori", ma mi viene in mente anche "The Bad Guy". La Germania, che conosco bene, dovrebbe essere avanti rispetto a noi, banalmente perché ha dimensioni e risorse maggiori. E non è così. Se ci fosse una formula per fare serie di successo, la userebbero tutti. È quello che ogni amministratore delegato chiede. Ma non c’è.
Abbiamo parlato di serialità. Per quanto riguarda il grande intrattenimento, invece, che strada seguirà Sky?
Non seguo queste produzioni come Sky Studios, ma Sky Italia resta sicuramente un’eccezione, anche rispetto a Sky UK e a Sky Deutschland. Il grande intrattenimento, con "X-Factor", "MasterChef", "Pechino Express", "4 ristoranti", "4 hotel" e le produzioni di Tv8, è uno dei capisaldi della nostra programmazione e offerta e le rende un unicum rispetto alle altre piattaforme.
Adesso è in onda la nuova stagione di "MasterChef". "X-Factor" è confermata?
Come sai, non mi occupo di questo; c'è un altro team che segue da vicino queste produzioni. Però sì, "X-Factor" è confermata.
Due filoni importanti, nella produzione televisiva, restano le docu-serie e le serie animate. Sulle prime, avete investito. E ti chiedo: continuerete a farlo? Sulle seconde ci saranno delle novità?
Sulle docu-serie, come hai detto anche tu, abbiamo investito. E parliamo di titoli d’eccellenza come "La Mala" e "Una Squadra". Quello dell’animazione è un campo che non abbiamo mai affrontato – per un periodo siamo stati in trattativa per "Adrian" di Celentano, ma come sai poi è andato su Mediaset. Mai dire mai, però. È un mondo assolutamente sconosciuto per noi e ora come ora non so nemmeno dirti che impatto possa avere su un’offerta come quella di Sky.
Ci sono altre docu-serie in fase di sviluppo?
Quelli come "La Mala" e "Una Squadra", di cui ti parlavo prima, sono progetti che non ricadono sotto il cappello di Sky Studios; sono seguiti dal team di Roberto Pisoni. Su questo segmento lavora anche la squadra di Sky TG24. Da poco, è stato annunciato il nuovo podcast di Pablo Trincia, "Sangue loro – Il ragazzo mandato a uccidere". E sono in arrivo altri suoi progetti tra podcast e docu-serie.
Che cosa stai seguendo in questo periodo?
Siamo nel pieno delle riprese della seconda stagione di "Blocco 181", tra Torino e Milano. Stiamo finalizzando il montaggio della serie tv di Valeria Golino, "L’arte della gioia". Abbiamo finito di girare e stiamo ultimando in post-produzione "Call my agent – Italia" 2, che arriverà a marzo, e stiamo già pensando a una terza stagione. Stiamo montando "Hanno ucciso l’Uomo Ragno", la serie di Sydney Sibilia sugli 883. E a Napoli siamo in piena produzione con il remake di "Piedone", con Salvatore Esposito protagonista.
C’è una data di uscita per "M."?
La stiamo decidendo. E penso che la annunceremo a breve.
Perché hai deciso di fare questo lavoro?
Perché amo il cinema e amo raccontare storie. È una cosa che ho sempre cercato e voluto, e che ho sempre provato a fare. Nel ruolo del produttore, ho trovato il mio posto. Per un periodo, ho fatto il trailerista. Sky è arrivata dopo una parentesi come direttore creativo di Studio Universal. E qui sono sempre riuscito a unire la passione di cui ti parlavo prima con il mestiere della televisione.
Come vedi il tuo futuro e quello di Sky nei prossimi anni?
Io spero di poter continuare a fare le stesse cose che sto facendo oggi. Questo è quello che mi piace. Sky ha una posizione solida in un momento in cui tanti si fanno domande e sono confusi, e si chiedono quale sarà il destino di queste piattaforme e app che riempiono il mercato. Sky continua ad avere un’offerta estremamente interessante e completa, divisa tra sport, intrattenimento più classico, news, cinema, serialità e sport. E credo che la sua forza sia esattamente in questo mix.
C’è il rischio di un ritorno massiccio alla pirateria con tutti questi abbonamenti?
Dal punto di vista legislativo, si continua a lavorare insieme per contrastarla. È una strada lunga e complessa, ma il messaggio fondamentale da diffondere è che la pirateria danneggia il sistema, la creatività e il lavoro di tante persone. È un tema culturale importantissimo.
Prima mi parlavi del contatto iniziale che c’era stato per "Adrian" di Celentano. Tempo fa, Sky aveva annunciato anche una serie su "Diabolik". Poi, e lo sappiamo, "Diabolik" è diventata una trilogia cinematografica. State lavorando ad altre storie tratte dai fumetti?
In questo momento, ci stiamo sentendo con Sergio Bonelli Editore per la serie su "Dylan Dog". Ma è una chiacchierata in fase embrionale e non c’è niente di certo. Non dipende nemmeno da noi, in realtà. Dipende da Bonelli e dagli altri co-produttori che stanno facendo il grosso del lavoro.
Che tipo di storia ti piacerebbe produrre oggi?
Una storia che mi piacerebbe produrre la sto già producendo, ed è il prequel di "Gomorra". Dopo tanta resistenza, mi sono buttato su questo progetto con tutto me stesso e ci tengo veramente tanto. L’altra cosa che mi piacerebbe fare è continuare con un percorso non da commedia, no, ma dai toni leggeri, non stupidi e nemmeno facili: qualcosa sulla scia di "Call my agent –Italia", che da spettatore e produttore mi piace moltissimo.