Nessuna opera d’arte, il capolavoro è lo spettatore: apre il primo museo del selfie
Nuovo modo di raccontare se stessi, sintomo di personalità narcisistica o puro e semplice divertimento: qualunque sia il significato che si sceglie di dare al selfie, è innegabile che esso sia ormai diffuso in tutto il mondo come gesto quotidiano, diretto, alla portata di tutti. Molti vedono nella cultura dell’autoscatto la nuova modalità espressiva della cultura popolare: questo almeno è quello che pensano Tommy Honton e Tair Mamedov, i curatori del primo Selfie Museum del mondo.
Inaugurerà a gennaio a Los Angeles, in California, e il prezzo del biglietto si aggirerà sui 25 dollari. Ad annunciarlo gli stessi ideatori del progetto: non si tratterà di una semplice esposizione di fotografie, bensì di un’esperienza creativa, e soprattutto social, a tutto tondo. L’idea di base è una, e molto diretta: “la gente non vuole più consumare silenziosamente l’arte, ma vuole farne parte”. Essere l’opera d’arte, anche soltanto per il tempo di un like: il Selfie Museum intende raccontare tutto questo.
I curatori hanno già anticipato alcuni dettagli: trattandosi di un vero e proprio “museo”, non mancheranno mostre a tema e gallerie allestite ripercorrendo la rapida ascesa del selfie nella cultura contemporanea, analizzandone sia gli aspetti tecnici che quelli più propriamente “artistici”. Una particolare zona del museo sarà dedicata al tema del narcisismo, mentre un’altra racconterà le storie di chi, pur di scattare il selfie perfetto, ha messo a rischio la propria vita.
La cultura del selfie è legata in modo indissolubile ai social: il nuovo museo intende privilegiare soprattutto quest’ultimo aspetto, dando la possibilità ai visitatori di scattare foto in ambienti pensati ad hoc. Ci saranno spazi interattivi creati per la condivisione su Instagram e location costruite appositamente per immortalare il momento perfetto: perché se il selfie non può essere
Puro narcisismo o nuova forma d’arte?
Il fenomeno del selfie ha conosciuto un’espansione rapidissima in pochissimi anni: ancora prima che divenisse virale grazie alla foto di gruppo di Ellen De Generes ai premi Oscar del 2014 (circa 800 mila condivisioni in mezz’ora), già anni prima i musei avevano iniziato ad interessarsi a questo nuovo metodo d’espressione. Il primo fu il Museum of Modern Art di New York che con “Art in Traslation: Selfie” fu il primo ad offrire ai visitatori la possibilità di fotografare se stessi in un grande specchio.
Fin dall’inizio molti studiosi si sono interrogati circa l’emergere di un tipo di rappresentazione di questo genere: il mondo dell’arte si è dovuto subito confrontare con l’immediato ma per nulla scontato parallelismo fra il selfie e l’autoritratto. Spontaneo il primo, profondamente autoriflessivo e tormentato il secondo, l’affermarsi di questo nuovo “linguaggio” per raccontare se stessi ha scomodato artisti del calibro di Van Gogh e Rembrandt per giustificare questo inusuale rapporto con la macchina fotografica.
Nonostante gli esperti fossero concordi nell’escludere totalmente qualsiasi intenzione artistica dal gesto del selfie, progressivamente il fenomeno è riuscito comunque ad entrare nei musei: il Museum of Selfie è solo l’ultimo esempio di un processo che sta portando, se non alla nascita di un nuovo genere artistico, quasi sicuramente ad un rinnovato rapporto con ciò che ci circonda.
Gli stessi curatori del nascente Selfie Museum motivano la loro scelta di dedicare un così ampio spazio all’esperienza del selfie e a tutto ciò che con essa è connesso con un rinnovato modo dello spettatore di interagire con gli spazi museali e con le opere d’arte: “oggi giorno i sono più selfie con Gioconda che foto della Gioconda stessa”, ha spiegato uno di loro.