Nel luglio 1923 il fascismo vieta le parole straniere: così il sandwich si trasformò in “tramezzino”
“Sandwich”, “croissant” e “film” sono parole pericolose, perché “troppo straniere”. A partire dal luglio del 1923 Mussolini, con una serie di decreti che eliminarono l’insegnamento bilingue nelle scuole slovene e modificarono la toponomastica di gran parte del nord Italia, avviò quel processo che in pochissimo tempo portò all'eliminazione, dai vocabolari e dalla quotidianità, delle parole non autenticamente italiane: fu così che, tramite il “tramezzino”, il “cornetto” o la “pellicola” si delineò una delle più feroci e incalzanti battaglie politiche e culturali contro ciò che, in quanto diverso, non doveva esistere. Nemmeno nella lingua.
La lingua al servizio del regime
Ritrovare la magnificenza della patria e la dedizione alla nazione attraverso la purezza del linguaggio quotidiano: questo il progetto promosso dal partito fascista a partire dagli anni Venti e fino agli anni Quaranta. Tutto, dai nomi propri dei cittadini alla toponomastica, dal cibo al lavoro allo sport, ogni cosa doveva essere profondamente “italiana”. Furono numerosi i linguisti e gli intellettuali coinvolti in questo processo di italianizzazione della nazione: da Paolo Monelli a Giovanni Gentile, passando per D’Annunzio e per l’Accademia dei Lincei la quale, nel 1940, nomina un’apposita commissione per ricercare e sostituire i termini stranieri.
Anche la stampa collaborò a rendere quotidiane le soluzioni scelte dagli esperti di lingua autoctona: nel giro di pochi anni nascono decine di rubriche dedicate alla difesa dell’italiano, come quella della “Gazzetta del Popolo”, e numerosi furono anche i concorsi indetti fra i lettori per incentivare la creazione di nuovi lemmi che sostituissero quelli stranieri, come quello indetto nel 1932 da “La Tribuna”. Un processo lento, ma costante: il risultato, più di 500 “nuove” parole sostituiscono le vecchie, tantissimi nomi di città o paesi diventano irriconoscibile e circa cinquemila persone furono costrette a cambiare cognome.
Da Buenos Aires a Buonaria: come cambiò la lingua
Risultato di questo lungo e a tratti maniacale processo di italianizzazione delle parole “troppo esotiche” furono termini che ancora oggi compaiono nel nostro parlare quotidiano e altri che, per fortuna, non esistono più, per un totale di oltre 500 vocaboli modificati. Il “garage” venne ad esempio sostituito dall’“autorimessa”, il “sandwich” dal “tramezzino” (per merito di Gabriele D’Annunzio), l’“albergo” sostituì l’“hotel” e il “primato” il “record”.
Vietato usare la parola “film”: al suo posto viene introdotto il termine “pellicola”, insieme al “regista” che non può più essere “regisseur”. E se alcune di queste parole sono ormai quotidianità, moltissimi altri italianismi introdotti in questo periodo invece farebbero impallidire i più creativi, per l’audacia con cui si sostituirono alle parole straniere: l’“apache” divenne “teppista”, lo “swing” si trasformò in “slancio”, mentre termini come “insalata russa” e “chiave inglese”, in quanto troppo filo-nemiche, divennero rispettivamente “insalata tricolore” e “chiavemorsa”.
Un lavoro filologico sistematico e incalzante, che nel nostro Paese modificò i cognomi di circa cinquemila persone, coinvolgendo soprattutto coloro che erano di origine croata o slovena. Vittime inconsapevoli del processo di trasformazione della lingua italianissima furono invece i nomi propri o quelli di città e paesi: Buenos Aires in questo periodo viene chiamata “Buonaria”, mentre il nome di Louis Armstrong venne maldestramente tradotto alla lettera con il nome di Luigi Braccioforte.