Nayt e la rottura delle gabbie in Lettera Q: “La libertà è poter fare scelte consapevoli”
Lo scorso 22 novembre, Nayt ha pubblicato il suo nuovo album Lettera Q: un progetto che sembra spingersi sempre più in là delle proprie possibilità, dei limiti di una penna che non ha paura di affondare nelle ferite, proprie e altrui. Una narrazione che non coincide per forza con la visione terapeutica di un disco, ma che riflette sul potere delle domande più che delle risposte, delle prese di posizione, dei riflessi del polarismo della società. E se la sua natura è sempre più indefinibile, il suo obiettivo, legato anche all'immagine della lettera Q, un cerchio spezzato, è quello di rompere i loop quotidiani con cui ci confrontiamo. Qui l'intervista a Nayt.
Pensi che Lettera Q tracci una tua nuova visione artistica, anche in riferimento agli episodi precedenti come Mood, Doom e Habitat?
Penso sia molto coerente rispetto a ciò che ho fatto finora: mi piace l'idea che la grande opera di ogni artista sia il modo in cui sceglie di vivere la propria vita.
C'è qualche riferimento letterario nella scelta del titolo Lettera Q?
Ho iniziato a pensare che cosa significa per me il simbolo della Q, un cerchio che viene spezzato e l'ho trovato coerente con ciò che stavo provando, sentendo. Ho cercato di costruire il disco intorno a questo concetto, all'uscire fuori dai cicli, dalle gabbie e dai loop in cui ci ritroviamo quotidianamente.
C'è una soluzione a questa ripetizione incessante?
Sicuramente la cultura aiuta, il contatto con l'altro.
Rispetto ai dischi precedenti, ci sono delle domande specifiche che hanno dato origine al concept dell'album?
Credo che la domanda che ho ripetuto più volte a me stesso è stata: Perché ho bisogno di questo? Perché abbiamo cosi tanti bisogni "superflui"? Poi certi bisogni in realtà arrivano ancora più alla radice con la domanda: Sono veramente libero o comunque che cos'è la libertà e come si può essere liberi veramente?
Sei riuscito a darti una risposta?
Credo che siamo una società continuamente sovrastrutturata, anche se alla fine, ciò che conta è come si dorme, come si mangia, come si fa l'amore e come manteniamo i contatti con gli altri. Ridurre tutto all'essenziale ci dà gioia e ci fa stare bene.
Mi interessa anche molto il lavoro di sottrazione fatto nel racconto di ciò che sei e di ciò che sei diventato. La ripetizione di "Non sono battisti" o "Non sono Battiato" illustra solo alcuni dei tuoi riferimenti culturali o diventa lo strumento per cogliere anche altri aspetti di te?
Forse sì, ma mai completamente. Certamente mi ha aiutato nell'esprimermi e nel confrontarmi con il pubblico, con i miei cari e con le persone che attraversano la mia strada. Poi mi rendo conto che anche con il disco, metabolizzandolo, sono riuscito a compiere delle azioni, qualcosa che ho reso concreto per me nel tempo e nello spazio. E questa cosa va in divenire, perciò è diventato fondamentale per me definire qualcosa di pratico, in un tempo storico in cui siamo presenti molto di più nella dimensione mentale.
Agire nel tempo e nello spazio coincide anche con il concetto di eredità, almeno del messaggio.
Ogni tanto è un giochino divertente pensare all'eredità del messaggio, ma resta un giochino, un vezzo, uno svago. Alla fine cerco di pensare al presente e ho fede in quello perché lo vivo.
Nell’intervista per Habitat, avevamo discusso del femminile e di come la centralità del tema sia diventato nel tempo non solo un tema ampio nel tuo racconto, ma anche qualcosa da studiare in profondità. Come credi di esserci riuscito con questo disco e come sta crescendo la tua conoscenza del tema?
Credo interessandomi, sentendo mio quel tema. Amo concentrarmi su un approccio che escluda polemiche, critiche, schieramenti o conflitti, almeno in questo periodo della mia vita. Ma in generale, in un periodo di conflitti in giro per il mondo, ci sono approcci che non portanto veramente a una comunicazione. Vedo sempre più spesso, attorno a me, questo gioco delle parti, anche se qualcuno mi parla di qualcosa di interssante.
Perché hai scelto di lasciare una traccia del tuo album alla giovane cantautrice Scozia?
Lei mi aveva fatto arrivare questo pezzo abbozzato tramite una persona in comune e andando avanti con il disco, ho preso questa decisione. Era un brano che aveva scritto, ispirata da me: poi è una persona con una passione per la musica incredibile. Il brano mi aveva colpito perché aveva uno splendido flusso di coscienza e lo sentivo molto coerente al disco. Ho pensato che aggiungere qualcosa di mio alla traccia sarebbe stato superfluo.
Come sei arrivato a questa decisione?
Il mio atto artistico, in questo caso, è stato fare proprio un passo indietro. In generale penso ai dischi come un'esperienza che ha altre piccole vite al suo interno: trovi delle cose che possono farti cambiare prospettiva e questa scelta era una di quelle.
C'è un passaggio in Certe Bugie in cui canti: "La libertà ha un costo che in molti non sono disposti a pagare".
Il concetto di libertà è interessante: a livello sociale si lega, nella narrazione principale, al successo economico. In realtà per me è obsoleto come concetto, anzi ritengo più vicino a me il concetto di libertà come presenza. Quindi la presenza di fare delle scelte consapevoli e centrate e non di reazione. Sicuramente c'è un lavoro gigantesco da fare per rendere consapevoli le nostre scelte, bisogna mettersi in discussione. E le persone vanno molto più in palestra che in psicoterapia, si fanno più sforzi per la propria estetica che per la comprensione di sé agli altri.
Cosa credi fermi questo processo di conoscenza?
Perché spaventa. Non credo ci sia stupidità in questo approccio, ma una gran livello di paura dilagante. È difficile imboccare questa strada perché fa regredire, fa fare dei passi indietro su sé stessi. Perché attraversare le tempeste e la solitudine, quando si può rimanere nel proprio giardinetto.
Come ci si pone, artisticamente, nei confronti di una storia così violenta come quella del femminicidio di Giulia Cecchettin e credi che la musica possa avere un ruolo nell’educazione all’affettività del pubblico?
Penso che le persone debbano fare quello che sentono sempre e di conseguenza anche gli artisti. Mi interessa più la radice, la natura del mondo di cui facciamo parte, piuttosto che concentrarmi sul singolo caso. Ci si dovrebbe concentrare sui femminicidi, sulle guerre, sui genocidi, sulla disparità economica, ci sarebbero tante cose su cui fare critica sociale, ma sappiamo quanto poco interessino alle persone questi temi.
Com'è cambiato il tuo rapporto con il concetto d'amore? Che cos'è diventato in questo momento?
Luce, gioia, coraggio, fede, non trattenere. È tutte queste cose e chissà quante altre.
Come hai pensato il nuovo tour?
Sta avendo dei numeri esponenzialmente più alti delle scorse volte e sto cercando di prepare uno show sempre più dettagliato, non solo dal punto di vista delle performance, ma anche degli elementi da integrare. Poi lo show non è solo l'artista in sé, ma anche l'energia del pubblico, il design del palco. Utilizzare a proprio favore questi elementi mi permette di migliorare e avere ancora margini di miglioramento in futuro.
Il tour di Nayt nel 2025
- 23 marzo – Vox Club – Nonantola (MO) – DATA ZERO
- 25 marzo – Teatro Cartiere Carrara – Firenze
- 27 marzo – Teatro Concordia – Venaria Reale (TO) – SOLD OUT
- 30 marzo – Palapartenope – Napoli
- 1 aprile – Atlantico Live – Roma
- 2 aprile – Atlantico Live – Roma – SOLD OUT
- 3 aprile – Atlantico Live – Roma – SOLD OUT
- 6 aprile – Gran Teatro Geox – Padova
- 8 aprile – Fabrique – Milano – SOLD OUT
- 9 aprile – Fabrique – Milano