Ogni anno, quando si approssima il Natale, sorge spontanea una domanda: siamo al cospetto della festa cristiana per eccellenza o è essa ormai solo un momento di galvanizzazione massima della società dei consumi? Si festeggia la nascita del Redentore o la nascita ogni giorno rinnovata delle merci del ciclo liberal-edonista del consumo?
Domande che, forse, nella frenesia in cui ciascuno di noi si trova restano sullo sfondo: inevase, forse neppure formulate. Tutti si sentono più buoni, a Natale. Così almeno si dice. E così almeno ci racconta Dickens nel noto “Canto di Natale”, con la vicenda della redenzione del perfido Ebenezer Scrooge. Che alla fine, egli pure, diventa buono, mansueto, pronto a donare.
Il Natale, in effetti, viene sempre più abbinato all’idea del dono. Come scriveva qualche anno fa Umberto Galimberti, il simbolo del Natale cessa sempre più di essere il presepe (oggi diffamato come “islamofobo” dalla stessa cultura nichilista del consumo che diffama e ostracizza come “terroristi” i simboli dell’Islam): e prende a essere l’albero di Natale, immagine sfavillante della circolazione delle merci e della mercificazione del dono.
Sembra risiedere proprio in questo il senso oggi egemonico del Natale simboleggiato dall’albero di Natale: una falsa donatività, dietro la quale si occulta e prolifera il consumismo iperbolico della civiltà a capitalismo integrale. Che tutto converte in merce circolante e acquistabile. E che, peraltro, impiega la narrazione dei doni per meglio trionfare: la donatività, sotto Natale, si fa coatta e non più donativa. Smarrisce e tradisce, cioè, la propria stessa essenza: il dono cessa di essere tale, allorché si fa coatto, obbligato, necessitato dalla drammaturgia sociale che ci vuole, per forza, donativi in di’ di Natale. Il dono diventa, in tal maniera, l’emblema della mercificazione: dell’obbligo dell’acquisto e della dimostrazione, in fondo, della falsità di esprime il così in voga asserto “è solo un pensiero”: non è mai “solo un pensiero”, è invece un acquisto, una merce, un consumo. Forse il vero dono che dovremmo farci – come comunità solidale – è proprio quello di desistere dal dono coatto e, dunque, di cominciare a fare doni veramente donativi.