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Naska e la salute mentale in Freak Show: “La musica come cura, Pagliaccio nato come in una seduta di psicoterapia”

Naska, nome d’arte di Diego Caterbetti, ha pubblicato lo scorso 11 luglio il suo terzo album The Freak Show. L’autore ha raccontato la genesi dell’album e del prodotto d’animazione The Freak Family, ma anche l’avventura a Berlino e il rapporto tra musica e il ruolo da content creator. Qui l’intervista a Fanpage.it.
A cura di Vincenzo Nasto
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Naska, 2024
Naska, 2024

The Freak Show è il terzo album in tre anni per Naska, nome d'arte di Diego Caterbetti: un progetto che arriva prima del grande appuntamento del Forum di Milano il prossimo 7 dicembre. The Freak Show, rispetto ai precedenti però, ha anche un compagno di viaggio, che parallelamente, cerca di raccontare la passione per i prodotti d'animazione del cantante con il cartoon The Freak Family, disponibile su Amazon Prime: "Io la notte non riesco a dormire senza aver la televisione accesa, dai cartoni animati ai tizi che vendono i materassi. Non mi sarei mai aspettato fosse così difficile un prodotto di quasi 37 minuti". Poi il tema della salute mentale, l'addio alla provincia con Scappati di Casa (62015), l'avventura al Berghain di Berlino e il rapporto tra il mondo della musica e quello dello streaming su Twitch. Qui l'intervista a Fanpage.it di Naska.

Terzo anno, terzo album pubblicato: come nasce The Freak Show?

Dicono che il terzo album è quello un pochino più personale, io credo che questo sia il mio più oscuro, finora. Il titolo è legato all'ultima traccia del progetto, Pagliaccio, anche perché non mi piace costruire concept album da zero. Non voglio mettermi confini.

È anche il brano più personale.

È la canzone che mi ha descritto di più alla fine della scrittura, ho scelto anche per quello una copertina con me travestito da pagliaccio triste, mentre mi punto una pistola in faccia.

Partiamo però da Scappati di casa, una lettera per chi è partito dalla provincia per arrivare nella grande città.

Sì, infatti nel titolo c'è anche il 62015 che è il CAP del mio paesino Monte San Giusto. Io vengo da una frazione, Villa San Filippo: eravamo in 800 a viverci, per lo più una zona industriale in cui ci sono solo fabbriche e case.

Com'era la vita lì?

C'è un unico parco per i ragazzi e ci sono dei giardini, l'alimentari in cui si andava a far spesa ed era tutto lì. Scappati di casa racconta quelli come noi, gli emarginati, quelli con i tatuaggi sulle mani. Quelli che si sentivano un po' ribelli, un po' diversi.

Poi la fuga.

C'è sempre la voglia di scappare nella grande città, almeno per inseguire un sogno. Chi lavora, chi studia, chi voleva semplicemente trovare un sbocco e in provincia non poteva.

Com'è stato per te?

Mi sono trasferito a 19 anni completamente da solo. Durante il tour negli scorsi mesi, raccontavo ai fan che per me arrivare a Milano è stato come per Pinocchio arrivare nel paese dei Balocchi (mostra un pupazzetto di Pinocchio n.d.r).

E qual è stato il punto di rottura?

Credo sia il sogno che avevo sin da piccolo, diventare un cantante. Anche perché mio padre fa il musicista come hobby e mi ha sempre spronato un po' a uscire dai miei confini. Ho capito che il fulcro di tutto il lavoro era a Milano e quindi dopo la maturità, son tornato a casa, ho fatto la valigia, e ho detto a mia madre che sarei andato a Milano.

La sua risposta?

Mi ha dato i primi soldi ma mi ha subito messo in chiaro che avrei dovuto trovare un lavoro per pagare l'affitto, per mantenermi. L'ho presa come una sfida con mia madre.

E invece cosa vuole raccontare la saga Horror, arrivata al secondo capitolo in questo disco?

La chiave in Horror è il racconto di una relazione tossica, arrivata adesso alla sua seconda puntata. Ho voluto dare un'altra chiave di lettura a questo brano, anche perché nei mesi scorsi in molti quando mi fermano mi dicono che dedicano horror a loro storie passate. Sentono molto vicine quelle parole.

Ritorniamo all'arrivo a Milano: com'è cambiata la tua quotidianità, anche nella componente musicale?

Credo abbia cambiato tutto, soprattutto il modo e le cose da scrivere. Venendo dalla provincia, le storie erano quelle che vivevo lì, poi a Milano ho scoperto molto di più. C'è anche la voglia di farcela, di emergere, di riuscire a trovare la cosa che volevo, divertendomi.

Mentre per Berlino, con Gemitaiz e Greg Willen, è chiaro che ci siano i ricordi di quella città. Com'è nata la canzone?

Non ero mai stato a Berlino fino a qualche anno fa. La prima volta ci sono stato con Simone (Panetti, autore e creator) che è stato il mio coinquilino fino a qualche settimana fa. Dopo 3 ore che eravamo a Berlino ci arrestano perché non riuscivamo a uscire da una rotonda. Ci fanno fare i test e dopo 3 ore usciamo dalla caserma di Berlino con una multa di 30 euro. Prendiamo il primo taxi e andiamo al Barghain (noto locale della capitale tedesca) e ci fanno entrare. Quando sento la musica lì dentro mi chiedo quanto sarebbe stato figo raccontare quell'esperienza con quell'influenza musicale.

Berlino diventa una delle tracce più sperimentali dell'album, ma come succede?

Credo sia un disco molto coraggioso, molto sperimentale anche al di là del suo genere. Basta pensare a Berlino con un pezzo punk rock che si mischia alla techno o corona di spine che ha un grunge così pesante. Comunque, quando siamo ritornati a Milano da Berlino, ho chiamato i ragazzi che lavorano con me e gli parlo di questo pezzo e penso di chiamare Greg Willen e Gemitaiz: sono grande fan di entrambi e loro hanno una grande passione per quella città e quella scena musicale.

Se dovessi descrivere la festa a Berlino?

Inizia venerdì e non c'è stop fino al lunedì mattina, almeno questo al Berghain: vai avanti 36-48 ore di fila. Ci vuole tanto allenamento (ride n.d.r).

E invece come nasce l'idea del Forum?

Stavamo preparando il Fabrique e mentre eravamo lì mi dicono che avremmo dovuto annunciare il concerto dell'anno successivo. Quando mi hanno detto che avremmo fatto il Forum, mi si è gelato il sangue. Non è l'ansia di dover cantare su un palco così importante, in quei momenti pensavo che mi sarebbe aspettato un anno impegnativo, soprattutto perché avrei dovuto far uscire un disco. Dall'altra parte, mi aspetto tante botte di adrenalina. Come disse Mark Renton in Trainspotting: "Prendete l'orgasmo più grande che avete avuto e moltiplicatelo per 1000. Neanche allora ci sarete vicini".

The Freak Show è un album che si sofferma anche sul racconto della salute mentale. Che rapporto hai con il tema, soprattutto nel mondo della musica?

Ne parlo spesso, anche su Twitch di salute mentale, consigliando l'inizio di un percorso con uno specialista. Io ne ho parlato tempo fa con uno psicologo, Tiziano Brambilla, anche lui streamer, però mi accorgo che uso la musica come la cura per il male. Infatti, scrivo quando sto male, quando sto bene esco, citando Tenco. È il mio modo di esternare ciò che ho dentro. Ed è successo anche con Pagliaccio, ho registrato la canzone come se fossi in una seduta, ma stavo leggendo le note del mio cellulare.

E invece da cosa nasce il prodotto d'animazione, pubblicato anche su Amazon Prime?

Io la notte non riesco a dormire senza aver la televisione accesa, dai cartoni animati ai tizi che vendono i materassi. Essendo da anni fan dei cartoni animati, ho fatto delle piccole animazioni su Instagram da 30, 40 secondi, insieme a Pietro Gasparri. Insieme a lui abbiamo fatto questo prodotto: non mi sarei mai aspettato fosse così difficile un prodotto di quasi 37 minuti. Fortunatamente poi mi è venuto in soccorso anche Alessio Stigliano dei The Show con cui abbiamo scritto la storia, i dialoghi e i personaggi. La mia etichetta ha creduto molto in questa cosa e gliene sono davvero grato.

La critica, anche all'industria discografica, che valore ha per te?

Abbiamo creato un cartone che andasse a raccontare e criticare, senza però far mancare tutto l'aspetto divertente di un prodotto del genere. Mi ha sorpreso vederlo su Prime e ammetto che è stato anche il mio primo lavoro da doppiatore, molto bello.

Come influenza la tua musica l'attività da streamer?

Io ho iniziato su Twitch 5 anni fa, quando ho chiuso con la vecchia casa discografica. Utilizzavo quella piattaforma per autofinanziarmi, pagare il videomaker e il master. È stato un sostegno economico ma anche la creazione di una community che ha sempre creduto nei due progetti, sostenendomi. Poi mi aiuta sempre essere la stessa persona in musica e in chat, perché inventare più personaggi per più piattaforme, sarebbe stato impossibile per uno come me.

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