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Napoli non si può raccontare, raccontiamo Napoli: perché è importante leggerla in The Passenger

Raccontare Napoli è un esercizio per nulla semplice, per questo è importante leggere in che modo Passenger è riuscita a ridarci le sue varie sfaccettature.
A cura di Francesco Raiola
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A seconda di come volgiamo lo sguardo, affacciandoci dal balcone di Orsini – come erroneamente chiamiamolo la via panoramica che si vede da uno dei lati della sede di Fanpage.it -, possiamo notare la stratificazione di cui si compone Napoli. A destra, infatti, abbiamo il porticciolo di Santa Lucia, ma soprattutto abbiamo il mare che si allunga a vista d’occhio, placido, fino ai paesi su cui si poggia il Vesuvio, che pure vediamo nella sua maestosità assieme al Monte Somma. A sinistra, invece, la stratificazione è ancora più evidente: c’è via Santa Lucia, quartiere "bene" di Napoli che, come succede in tutta la città, si diluisce nei quartieri popolari, nel caso specifico il Pallonetto. Se poi alziamo la testa abbiamo la Certosa di San Martino, su al Vomero, in quella separazione tra il quartiere alto e la città c’è spiega bene Cristiano de Majo nel numero di Passenger, la rivista pubblicata da Iperborea, dedicato alla città partenopea.

Napoli è la quarta città affrontata dalla rivista, dopo i numeri monotematici dedicati a Berlino, Parigi e Roma e, a detta del curatore Marco Agosti, anche numero che ha avuto molta discussione attorno e il motivo non è estraneo a chi la vive: come ha detto un amico durante la presentazione, infatti, i napoletani sono come i genitori della propria città, in privato "scoppoloni", ma in pubblico è sempre un "difendo la città", per citare un'altra espressione che pure unisce alcuni dei reportage della rivista. Vale per tutte le città e vale allo stesso modo anche per Napoli: raccontare una città, quindi scegliere alcuni punti di vista ne esclude automaticamente altri e per questo esiste un lato che è sempre scoperto. Ma capovolgendo la prospettiva è interessante affrontare quelle che sono state le scelte dei curatori (con Agosta, lo stesso De Majo).

Partiamo anche da una precisazione, ovvero che Fanpage è protagonista di uno dei reportage, quello della scrittrice Raffaella Ferrè che affonda le mani nel mondo dei giornali cittadini, con un excursus che prende in considerazione testate storiche come Il Mattino e Il Roma, ma si sofferma proprio su Fanpage.it, esempio di imprenditoria di successo, in grado di imporsi nel panorama mediatico italiano in tempi relativamente brevi e di Napoli Monitor, rivista culturale che legge la città con un occhio critico sul sociale. Ferrè attraversa con precisione i cambiamenti avvenuti nel sistema mediatico cittadino, anch'esso arrivato alla prova del web e dei social, della modernità insomma arrivando alla"notizia grandissima che è questa città: esiste".

E proprio questa lotta continua tra modernità e antico, tra nuovo e vecchio è uno dei percorsi scelti per raccontare la città, come si vede subito nella scelta dello storico Paolo Macry di attraversare la storia recente della città prendendo come casi di studio le amministrazioni "monarchiche" di Achille Lauro, Antonio Bassolino e Luigi De Magistris. Per questo, ad esempio, lo scrittore e speaker di Radio3 Piero Sorrentino, affronta in un reportage la scuola Apple di San Giovanni che sorge in uno dei luoghi periferici e meno turistici della città, affondando le mani – è il caso di dire – anche in quella scommessa continuamente persa che è Bagnoli, dove da anni esiste – per citare Rea – una dismissione che pare non avere mai fine. Sono luoghi di degrado, luoghi impolverati, luoghi, però, pieni di storia, che raccontano perfettamente le contraddizioni della città. È importante vedere la passione e la dedizione che giornalisti, scrittori, giornalisti, archeologi, ci mettono per tentare di trovare un filo, che può essere quello dei murales, che uniscono Maradona al morto di camorra oppure il sottosopra, la Napoli visibile con quella invisibile, quella groviera come si diceva in uno dei film che meglio ha raccontato Napoli, ovvero Le mani sulla città.

Leggere di Napoli, per un napoletano, è (dovrebbe essere) un'esperienza di onestà. Bisogna calarsi nei suoi vari racconti cercando di togliersi di dosso – impresa non semplice – una serie di sovrastrutture, ma anche ricordandosi quelli che sono i tic di questa città. Gli esempi sono tanti. C'è il "su" del Vomero e il "giù" del Centro storico, raccontato precisamente da Cristiano De Majo che tra il racconto delle polemiche per l'apertura di una linea che lo univa a quartieri più popolari e citazioni da "Il resto di niente" racconta cosa rappresenta il "quartiere alto" per la città. Altri argomenti spinosi su cui muoversi è come camminare sulle uova sono il calcio e la musica. Il racconto del primo è affidato al poeta Gianni Montieri che invece di prendere di petto la questione parte con un'immagine stupenda, ovvero quello di una "donna accomodata su una sedia pieghevole" in mezzo alla strada che racconta la partita del Napoli ascoltando le reazioni (le esultanze, i silenzi, le urla) dei napoletani che la guardano nel chiuso delle proprie case. Da quel punto in poi Montieri, flaneur nella sua città – lo scrittore vive a Venezia -, racconta il tifo proprio attraversandola, la città, e parlando con chi ha vissuto quel tifo. Un tifo che in qualche modo entra anche nel racconto che Peppe Fiore fa della Napoli diventato, negli anni, uno dei set cinematografici privilegiati del Paese.

Un altro racconto in cui perdersi è proprio quello che Francesco Abazia fa della musica napoletana, in un excursus che parte dalla Neapolitan wave, quella che deve moltissimo ai militari americani e al porto di Napoli (Senese nelle sue varie rappresentazioni, Musella, Daniele, Sorrenti), attraversando la Napoli musicale dei '90 e arrivando ai J Lord e Nicola Siciliano e all'esperienza de Le Scimmie, il duo formato da Vale Lambo e Lele Blade. Insomma, come sempre Passenger si dimostra un riferimento importante per cercare di decifrare la città, guardandola con gli occhi di chi ci vive, quelli di chi ci ha vissuto e quelli di chi, forse, non ci vivrà mai. E forse è proprio questa pluralità di sguardi che può dare una chiave interpretativa. O forse no, ma alla fine avrete fatto un viaggio diverso da quelli che solitamente una guida – anche letteraria – vi farà fare. E ne vale la pena.

Intanto il 10 novembre è uscito anche il nuovo numero, questa volta dedicato all'Irlanda, con, tra gli altri, contributi di Colum McCann, Mark O'Connell e Caelainn Hogan che intervista Catherine Dunne.

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