Napoli, apre al pubblico il Museo di Anatomia Umana più antico del mondo
Uno dei tesori più preziosi e unici di Napoli viene finalmente riaperto al pubblico: il Museo Anatomico della Seconda Università, tra i più antichi e completi al mondo, che non solo illustra in modo eccezionalmente documentato l'evoluzione degli studi anatomici a partire dal ‘700, ma custodisce alcuni dei "tesori" più importanti nella storia di questa disciplina. Inaugurato il prossimo 14 marzo nell'Aula Antonelli della Seconda Università (Complesso di Santa Patrizia, via Luciano Armanni 5, Napoli), il Museo riaprirà le porte con il convegno dal titolo "Museo Anatomico Testimone di Napoli dal Mito alla Scienza", che ripercorrerà il percorso culturale che dalla metà del XVI fino al XIX secolo ha condotto il moderno metodo scientifico a sfatare i falsi miti della scienza pre-galileiana.
Fino ad ora l'accesso era possibile soltanto agli studiosi e agli addetti ai lavori, ma adesso per due giorni alla settimana il Museo della Sun sarà aperto alla cittadinanza. Un occasione unica per entrare in un mondo affascinante e a tratti inquietante, che ha pari soltanto in alcuni musei degli Stati Uniti: la collezione nasce quando, a partire dal XVII secolo, nell'Ospedale di San Giacomo Apostolo nacquero i primi preparati anatomici del Severino. Il 700 fu dominato dagli studi di Cotugno nella sua scuola presso gli Incurabili, mentre l'800 risentì delle riforme francesi e dei Borbone. La collezione si arricchì anche dopo l'Unità d'Italia, quando il direttore Barbarisi acquisì i crani provenienti dagli scavi di Pompei e Cuma, nonché le celebri "teste della Vicaria".
Parteciperanno al convegno, introdotto dal direttore del Musa Stefania Gigli, il sindaco Luigi de Magistris, i professori Oreste Trabucco (Università Suor Orsola Benincasa), Antonio Borrelli (Mibact), Marco Catani (King's College di Londra) e Giacomo Giacobini (Responsabile del Museo di Anatomia Umana Luigi Rolando di Torino).
I "tesori" del Museo
Teschi: tantissimi teschi dei giustiziati rimasti appesi per circa trent'anni nelle gabbie di ferro all'esterno Castel Capuano. Famosissimo è quello di Giuditta Guastamacchia, donna fedifraga impiccata nel 1800 il cui fantasma si dice infesti ancora il castello. Ma oltre alle leggende, c'è anche molta storia: quasi tutti i teschi infatti conservano ancora i segni degli studi antropologico-criminali effettuati nel tardo Ottocento, quando le teorie di Giovanni Lombroso andavano per la maggiore.
Poi ancora bisturi di epoca romana, ed esempi perfettamente conservati di calcinazione, tecnica proposta da Giuseppe Albini come alternativa al rischioso seppellimento dei cadaveri durante le epidemie dell'800. Ancora più inquietanti ma di straordinario interesse sono i feti, 153 esemplari conservati in formalina e alcool, illuminati dalle nuovissime luci al led donate dalla docente di Biochimica Adriana Oliva.
Fra i "pezzi” migliori, un tavolino il cui ripiano è formato da un impasto di sangue, cervello, fegato, bile, polmoni, e al centro è adagiata una bellissima mano di giovane donna: esempio delle cosiddette "pietrificazioni" di Efisio Marini, scienziato che elaborò un personale metodo di mummificazione di parti organiche e che morì non rivelando il segreto.
Non mancano apparecchiature d’epoca e il fondo librario antico, tra cui sarà possibile ammirare "Anatomiae Universae" stampato nel 1823, raccolta in folio delle bellissime tavole anatomiche eseguite dall'artista Serantoni per l'anatomista Paolo Mascagni.