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Nam June Paik, il pioniere della video-arte che ha plasmato la TV

In mostra a Modena più di cento lavori dell’artista e compositore coreano. Un’occasione per riflettere sul nostro tempo (libero) tramite l’arte tecnologica di uno dei massimi esponenti di Fluxus.
A cura di Luca Iavarone
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Sacro e Profano

Nel mese appena trascorso a CulturaFanpage abbiamo cercato di produrre la maggior parte dei nostri contributi tendendo un sottile e sotterraneo filo conduttore, che potesse dar rilievo a una questione di grande interesse per molte delle arti di cui ci siamo occupati. Terreno comune del nostro lavoro è stata l’indagine sulla ricerca tecnologica nella cultura del nostro tempo, con approfondimenti di ampio respiro che hanno riguardato la soundart (Zimoun e Roberto Pugliese), l’architettura (Tomás Saraceno, Pier Luigi Nervi e gli hotel del futuro), il teatro (Hubert Westkemper) e  il cinema 3D (Cirque du Soleil).

Nam Jun Paik 19

La video-arte merita senz’altro un approfondimento conclusivo, tanto più che stiamo per intraprendere un discorso su un’arte “intermediale”, un ibrido tra pittura, cinema, musica e teatro. Ma questo motivo non è il solo. Tratteremo non a caso in questo clima post elettorale, tra i più roventi dalla fine della Prima Repubblica, di un artista che ha fatto della TV il suo oggetto di studio e d’arte, persuaso, come lo sono oggi tutti gli italiani in ventennale attesa di una legge sul conflitto di interessi, che quel medium di massa, già così prepotentemente domestico all’inizio degli anni ’60, sia sempre stato, oltre che uno strumento di divulgazione, anche una potente arma di manipolazione collettiva e sopraffazione ideologica.

Nam June Paik, compositore, performer e video-artista coreano classe 1932, mantiene costante il suo rapporto con la musica, sin dai suoi studi universitari, che lo vedono alle prese con una tesi su Arnold Schöenberg. Poco dopo, due fondamentali collaborazioni: con Karl-Heinz Stockhausen e, nei primi anni ’60, con John Cage, grazie al quale viene introdotto nell’ambiente del gruppo Fluxus, del quale diventa presto uno dei principali esponenti insieme a Yoko Ono, Wolf Vostell e Joseph Beuys.

Sfera - Punto Elettronico

Fluxus, fondato nel ’61 da George Maciunas, è un “non movimento” artistico, nato in aperta contrapposizione a Pop art, Minimalismo americano e Nouveau réalisme europeo. Basato su una necessaria performatività delle produzioni, promuove la partecipazione attiva dello spettatore all’opera d’arte, auspicando il suo coinvolgimento creativo, in una logica in cui “qualunque cosa può essere arte e chiunque può farla”. Questa prospettiva, ampiamente spiazzante anche per la sensibilità contemporanea, nasce, comunque, da presupposti post-duchampiani, volti cioè a superare, eccedere, il readymade in favore di un’opera che sia, non solo tratta dal quotidiano, ma anche proposta in contesti del tutto isolati dalle logiche economiche e di mercificazione dell’arte.

robot n. 3 Maria Callas

Fluxus tenta in quegli anni di abbattere lo stesso discorso critico sull’arte e la separazione esistente tra cornice e opera. Per Fluxus oggetto e contenitore sono equiparati: un esempio emblematico ne è la “Galleria legittima” di Filliou, a tutti gli effetti una galleria d’arte itinerante, costituita semplicemente dalla bombetta dell’artista contenente una serie di oggetti che possono essere, così, portati ed esposti in giro per il mondo. Questo gesto è in grado di  fondere l’opera e il suo contenitore con il corpo dell’artista e lo sottrae all’ufficialità dei luoghi espositivi riconosciuti e, considerata anche l’ironica improbabilità di offrire la visione delle opere presenti in galleria, al mercato. A seguito degli insegnamenti di Cage, Fluxus riveste gli eventi-performance di una progressiva importanza, rendendoli sceneggiati “in partitura” e impregnandoli di una prevista e al tempo stesso incontrollabile aleatorietà (non di rado infarcita di zen).

TV Cello

A partire dal ’63 Paik prende ad alterare televisori, suggestionato dal “pianoforte preparato” di Cage. Le TV vengono distorte per mezzo di magneti, disposte sul soffitto, su letti o sul pavimento. Gli spettatori, ovviamente, costituiscono parte attiva delle installazioni-performance. E così, in “Tv della partecipazione”, attraverso una serie di microfoni, i presenti possono modificare il flusso delle immagini. Sempre più spesso il video è usato dall’artista in combinazione con il corpo. In ciò Paik è coadiuvato da Charlotte Moorman, alla quale fa indossare o affianca apparecchiature tecnologiche, come in “Reggiseno tv per scultura vivente”, “Specchi tv” o “Concerto per tv, violoncello e videotape” . In quest’ultima opera la Moorman è intenta a suonare tre monitor impilati a ricreare le fattezze di un violoncello sul quale scorrono immagini di performance musicali. Fondamentale, dunque, in Paik il rapporto tra presenza fisica e mediazione tecnologica, che l’artista  risolve spesso nell’umanizzare e talvolta erotizzare la tecnologia. Questo pionieristico uso della performance mista al mezzo video pone Nam June Paik tra i capostipiti della video-arte. L’opera che per alcuni ne sancisce addirittura la nascita è sua, "Café Gogo": datata 1965, si tratta di un filmato del traffico newyorkese durante la visita di Paolo VI, ripreso con la prima telecamera amatoriale lanciata sul mercato.

Nonostante Paik sia stato in continuo rapporto artistico con il nostro Paese sin dagli anni ’70, solo nel 1990 una sua personale viene ospitata in Italia, a Reggio Emilia. Tre anni dopo, l’artista è premiato con il Leone d’Oro alla XLV Biennale di Venezia, per Padiglione Tedesco firmato insieme ad Hans Haacke.

Il "bel canto" è stato il primo rapporto che ho avuto con l'Italia. La cosa che più mi intriga della cultura italiana è certamente la qualità e la complessità della Grande Opera Italiana. L'Opera rappresenta quello che ricerco nell'arte elettronica, in un'Opera c'è tutto: la musica, il movimento, lo spazio. Così, se un'operazione di arte elettronica riesce con successo, ritengo che debba essere considerata un'Opera elettronica.

robot n. 1 Direttore D'Orchestra

Questa proficua e premiata attività italiana del video-artista coreano è oggetto, in questi mesi di una mostra, "Nam June Paik in Italia", che proseguirà fino al 2 giugno 2013. Ospitata nelle sedi espositive della Galleria civica di Modena, tra Palazzo Santa Margherita e la Palazzina dei Giardini, è curata da Silvia Ferrari, Serena Goldoni e Marco Pierini. Organizzata e coprodotta dalla Galleria civica di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, realizzata in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti di Parma, la mostra presenta  più di cento lavori provenienti da importanti collezioni italiane, con un ricco nucleo centrale di lavori appartenuti ad Antonina Zaru. Un’occasione senz’altro preziosa per rileggere Paik, l’arte e la TV nei loro specifici rapporti con l’Italia di ieri e di oggi.

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