Murubutu: “La sovraesposizione ha portato tanti numeri al rap, autotune e mainstream non lo uccideranno”

Dalla natura alla dimensione artificiale delle città, Alessio Mariani, in arte Murubutu ha scelto non solo il nuovo sfondo per il suo nuovo album La vita segreta delle città. Perché proprio le stesse diventano protagoniste non sono dei racconti che proiettano, ma anche i loro abitanti riflettono le caratteristiche della città stessa. E quindi il racconto del canto del cigno di New York, non più centro dell'impero mondiale diventa una metastoria che fotografia i nuovi aspetti geopolitici. O la rappresentazione del dolore in Minuscola, una storia di integrazione, ripresa dalla cronaca, in cui viene descritto il viaggio mai compiuto di Yaguine Koita e Fodé Tounkara. Un lavoro di approfondimento, verticale più che mai anche nella sua natura hip hop, in cui "c'è la possibilità di attraversare poeticamente una città e cogliere dettagli che non sfuggono solo al turista, ma anche a chi la vive in modo frettoloso, non riuscendone a cogliere la bellezza". Qui l'intervista a Murubutu.
Ascoltando La vita segreta delle città, contemporaneamente alla lettura di Le città invisibili di Italo Calvino, sembra esserci un filo rosso che collega i due espedienti narrativi. Cos'è invece che li divide?
L'opera di Calvino per me è un saggio, sostanzialmente, di attualissimo valore ma pur sempre un saggio filosofico. Invece il mio album è una raccolta di racconti in cui aggiungo qualcosa, sostanzialmente il cambio di prospettiva. Ovvero la città, spesso considerata sfondo e contesto in cui avvengono lo sviluppo dei fatti degli abitanti, diventa invece protagonista e i suoi personaggi sembrano riflettere le caratteristiche della città stessa.
Perché l'idea delle città invece?
Mi è stato spesso criticato il fatto di essere un rapper bucolico, che ambienta spesso le proprie narrazioni all'interno del contesto naturale. Mentre questa volta ne utilizzo uno artificiale. Pensandoci, la città è una grande storia di biografie, una raccolta di racconti e quindi sicuramente fertile per chi scrive racconti come me.
Una città come New York per esempio, con gli scratch a definire l'origine, almeno musicale, dell'hip hop.
Trae ispirazione da un racconto americano, in cui l'autore immagina una New York che non ha superato l'11 settembre e dopo l'attacco la città non si è più riuscita a riprendere. I sopravvissuti cercano di ritornare ai vecchi fasti attraverso una droga che permette di tornare indietro nel tempo con l'immaginazione. Non si tratta di un'allucinazione. Da qui ho preso l'ispirazione per il racconto di New York, sostanzialmente cuore del più grande impero occidentale, che sta declinando. Anche perché cambiano gli assetti geopolitici.
Un tema d'attualità insomma.
Stiamo vivendo questa fase di declino del mondo che sta andando verso altri centri, sostanzialmente è il canto del cigno dell'impero statunitense. Vediamo anche delle politiche di egemonia forzata e di grande ostentazione delle stesse. Insomma nella canzone racconto gli Stati Uniti, completamente declinati e quindi ormai deserto perfetto.
Un altro tema è quello dell'integrazione, come nel brano Minuscola.
Quella è una storia vera in cui racconto di questi due ragazzi, Yaguine Koita e Fodé Tounkara, che a 14/15 anni erano in Nuova Guinea e vivevano in condizioni precarie, più a livello culturale che economico, e per questo, col tempo, vanno a studiare sotto i lampioni della luce dell'aeroporto. Nel racconto cerco di far trasparire l'idea che i due devono arrivare a Bruxelles per consegnare questa lettera ai grandi signori europei che secondo il pensiero ingenuo dei due hanno le chiavi del mondo tra le mani. In questa lettera testimoniano le condizioni in cui si trovano i bambini africani. A commuovermi invece è la consapevolezza dei due nel sapere di andare incontro a qualcosa a cui era difficile arrivare, non solo il volo da clandestini, ma soprattutto farsi ascoltare nell'Unione Europea. Un ideale così grande che supera la realtà, ma poi si trasforma in un grido di dolore.
Mentre l'incontro tra James Joyce e Nora Barnacle?
È ispirato a un racconto di Federico Pace che si ispira alla documentazione che riguarda la vita di James Joyce: parla di come un solo incontro nel corso della nostra vita possa cambiare anche la realtà circostante. Infatti da quell'incontro nascerà una storia di oltre 30 anni e l'Ulisse, un capolavoro.
Un disco rap che approfondisce anche più storie, racconti del mondo, allora è possibile?
Penso che in realtà, il rap, rispetto a quasi tutti gli altri generi, dia spazio alle parole, alle figure retoriche e all'utilizzo della metrica: c'è una capacità comunicativa enorme, in grado di cogliere dettagli, descrivere contesti e dinamiche relazionali attive: insomma un grandissimo potenziale. Però, come dico a scuola, gli studenti non si applicano (ride ndr). In questo disco c'è la possibilità di attraversare poeticamente una città e cogliere dettagli che non sfuggono solo al turista, ma anche a chi la vive in modo frettoloso, non riuscendone a cogliere la bellezza.
Ma in questo disco, almeno in 5 brani, c'è una denuncia di un aspetto della nostra quotidianità.
A volta la fantascienza si rivela più reale della realtà, quindi i luoghi dei libri che abbiamo attraversato in passato ora come ora esistono. Per esempio, esiste il fatto che una costituzione democratica come quella statunitense di Donald Trump sta facendo una censura delle parole. Da qui si può arrivare alla censura di un'idea, un appiglio estremamente attuale, così come lo è la banalizzazione della cultura, almeno di una parte. Questo viene provocato spesso da letture superficiali che prendono lo spazio delle letture profonde. Quindi come descritto negli scenari apocalittici di Brecht, la realtà si è già sostituita alla storia.
Come si chiude il racconto di La vita segreta delle città?
Viene caratterizzata dall'ultima città, che racconta la distanza che caratterizza molte persone. Da un amore a distanza tra due città diverse nasce un sentimento struggente, però nel brano c'è anche la consapevolezza che i grandi legami resistono a queste distanze.
Cos'è la cosa più difficile da comunicare in questo momento per il rap italiano?
Far capire che questa cultura non è una moda o un personaggio, che è molto più profonda e resiste e resisterà oltre i 50 anni.
Credi abbia aiutato la sovraesposizione del genere in questo momento?
Sicuramente non c'è un pericolo, anzi. La sovraesposizione ha portato a molti ascolti e ha portato il genere ad avere numeri altissimi: non sono uno che crede che il mainstream possa uccidere il concettuale, anzi. Penso si nutrino a vicenda.
Da insegnante, ti è mai capitato di dover spiegare ciò che dicessi nei tuoi testi? O che qualcuno ti chiedesse consigli?
C'è chi ha utilizzato i miei testi per studiare o mi hanno citato nelle tesi: questa è una cosa che mi fa piacere. Mentre rispetto ai testi, cerco di rendere il più fruibile il messaggio da parte mia, non c'è ermetismo nei testi. Sicuramente li stimolo a fare ricerca: parlo continuamente con loro di musica e questa cosa mi arricchisce grazie alle conoscenze che anche loro hanno.
Qual è uno dei consigli che hai dato a un ragazzo che voleva diventare un musicista?
Più che suggerimenti, do loro alcuni spunti ma poi esiste l'originalità. Non tutti copiano, ma tanti scelgono di copiare. L'unico consiglio che do è quello di esser originale per esser un artista più duraturo.
In merito all'autotune?
Non sono mai stato un fan. Credo che ognuno, chiaramente, possa apprezzare la propria musica come vuole: a me non piace ascoltare pezzi prodotti così, non l'ho mai utilizzato e lo considero una scorciatoia. Però ogni epoca e ogni genere musicale ha avuto le proprie caratteristiche e sono d'accordo quando sento che rideremo di questi effetti tra qualche anno. Come abbiamo riso degli effetti musicali di brani pubblicati 20 anni fa.