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Opinioni

“Morire come schiavi”: in un libro l’orrore del caporalato

La giornalista Enrica Simonetti, partendo dal caso di Paola Clemente, morta nei campi di Andria, ci racconta il suo viaggio “on the road” dal Gargano alla Calabria sul lato oscuro di un’economia basata sul profitto e sullo sfruttamento.
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Copertina del volume di Enrica Simonetti, Imprimatur Editore
Copertina del volume di Enrica Simonetti, Imprimatur Editore

La sensazione, dopo aver letto "Morire come schiavi. La storia di Paola Clemente nell'inferno del caporalato" della giornalista Enrica Simonetti (Imprimatur, pp. 146, euro 13), è il profondo, immediato disgusto verso un sistema economico basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'altro uomo. Non ci sarà cassa di arancia, dopo essere arrivato fino in fondo a questo viaggio tra i campi, dalla Puglia alla Calabria, che non vi sembrerà sporca, marchiata dal sigillo infame di un profitto che si compie ogni giorno a danno di un esercito di disperati, persone di ogni colore, di ogni nazionalità, accomunate dal bisogno e per questo maltrattate, ingannate, abbandonate.

In passato già altre volte ci è stato raccontato l'inferno del caporalato e della vita contadina. Senza scomodare la letteratura italiana del novecento, e per restare a tempi più vicini ai nostri, qualche anno fa ebbe un certo risalto la pubblicazione di un bel libro di Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista che per Feltrinelli pubblicò "Uomini e caporali", un volume che ad oggi rappresenta uno spartiacque in quel campo della letteratura italiana più recente che cerca di offrire delle risposte, oltre la solita e trita denuncia, indicando vie di fuga possibili da una realtà e da una cronaca che sembra non offrirne quasi più.

Scritto con un tono a metà tra inchiesta e romanzo, "Morire come schiavi" è il racconto di un'estate torrida che inizia con la morte di Paola Clemente, la bracciante di San Giorgio Ionico, in provincia di Taranto, stroncata dalla fatica, che ogni giorno andava a lavorare nei campi per due euro l'ora e si snoda come un reportage letterario attraverso le storie delle vittime del caporalato dei giorni nostri, in tutte quelle parti del nostro Sud dove questa dimensione è realtà. La storia si chiuderà sul finire dell'estate, con un nuovo scandalo a rumoreggiare nella redazione del giornale dove lavora Monica (il nome di invenzione scelto da Enrica Simonetti per la protagonista del suo libro): l'affaire-Volkswagen che occuperà tutte le prime pagine dei quotidiani, i quali passeranno da una preda mediatica all'altra dimenticando in fretta la povera Paola Clemente e tutte le altre vittime di questa carneficina che ogni anno si consuma nel nostro Paese. Almeno fintantoché fatti come quelli di Rosarno della settimana scorsa non riportano per qualche giorno (nel peggiore dei casi per ore) l'attenzione su questo o quell'episodio di cronaca.

Chi era Paola Clemente?

Paola era una donna di 49 anni, una cittadina italiana, che ogni notte saliva sul pulmino di un caporale a San Giorgio Ionico che dopo tre ore di viaggio arrivava ad Andria, nel nord della Puglia. Qui finiva a lavorare nei campi tra le sette e le dieci ore al giorno, dopodiché risaliva sullo stesso pulmino che la riportava a casa. E il giorno dopo uguale al precedente. Finché, una volta, mentre faceva "l'acinino" ai grappoli d'uva come al solito, è stramazzata al suolo e non si è più rialzata, lasciando tre figli e un marito. Questo libro non racconta solo la storia di Paola, ma di tutti quegli uomini e quelle donne, braccianti sfruttati in modo vergognoso nelle campagne. Persone a noi sconosciute a cui ho voluto dar voce e che descrivono un Italia "medievale" che è a due passi dalle nostre vite, solo apparentemente così distanti.

Un ruolo centrale nel suo libro, a parte le vittime, è ricoperto dalla figura dei caporali, personaggi molto diversi da quelli di un tempo.

Il caporale è cambiato rispetto a tanti anni fa e spesso ha il volto di un'agenzia interinale o di un mediatore capace di produrre contratti fasulli. Il caporale è cambiato ma ogni notte porta donne e uomini nei campi, aggiungendo alle ore di viaggio quelle di lavoro e stremando corpi, braccia, individui che non osano ribellarsi. Perché il mondo precario in cui viviamo ci porta ad accettare di tutto. Con la crisi economica degli ultimi anni, poi, la questione si è ulteriormente aggravata.

Infatti il numero degli italiani stritolati da questo sistema, proprio come è successo a Paola, è in costante aumento.

Che siano le storie di donne pugliesi, calabresi, lucane chiamate a raccogliere l'uva o i cocomeri, o siano le storie degli africani e dei rumeni arrivati in Italia con la promessa di un lavoro, siamo davanti a un massacro alla luce del sole, fenomeno contro cui si fa ancora troppo poco. L'unica differenza tra italiani e gli stranieri è che gli italiani hanno un tetto sotto cui rifugiarsi. La mia inchiesta, infatti, oltre a essere un viaggio tra questi lavoratori sfruttati è anche un'indagine sul giornalismo, su come funziona il mondo dei mass media. Sul perché e sul come, a un certo punto, la notizia sparisce dai palinsesti. E il fenomeno del caporalato svanisce dal nostro radar.

Non c'è da scandalizzarsi. In fondo, il flusso delle notizie in cui siamo immersi ci obbliga a un certo punto a seguire altre strade, altre notizie. I mass media denunciano una situazione, al limite toccherebbe alla politica risolvere il fenomeno.

Ma questo non accade ed è per questo che noi giornalisti, cronisti, scrittori, non dobbiamo mai smettere di battere sul punto. Bisogna provare ad andare oltre la cronaca, bisogna provare a far camminare le idee con azioni di sensibilizzazione costante. Ci sono storie incredibili tra queste persone. E, mi ripeto, tutto avviene alla luce del sole. Come è possibile? A Terlizzi, sotto a un cavalcavia, esiste un ghetto di immigrati che vivono in condizioni inumane, senza luce né gas, accampati nell'immondizia, che usano per coperte delle buste di plastica. E dentro questi ghetti si alimentano delle forme di economia completamente deviate, come il caporalato e lo sfruttamenti nei campi.

Dal quadro appena descritto (e raccontato con accuratezza nel libro) emerge con chiarezza un concetto: per reggere il nostro sistema economico ha assolutamente bisogno che le cose vadano così, ha bisogno dello sfruttamento e del lavoro nero per continuare ad andare avanti e mantenere bassi i prezzi dei nostri prodotti al dettaglio.

Assolutamente sì. Alcune parti del nostro sistema economico, le peggiori, si reggono solo se alla base c'è una condizione di schiavitù e di sfruttamento diffuso. La logica di un capitalismo spietato non si spegne e non si spegnerà mai se non rimediamo a questa situazione con interventi mirati, nemmeno al cospetto del più atroce fatto di cronaca. D'altro canto, tutto quello che abbiamo visto in questi anni, non è stato già abbastanza atroce per far sì che fossero prese delle decisioni più drastiche? Se ciò non avviene, evidentemente un motivo c'è.

Come mai ha scelto di mescolare il taglio dell'inchiesta a quello finzionale tipico del romanzo?

Per provare a interessare non solo chi si interessa di questa faccenda attraverso i giornali. Io lavoro in un quotidiano, scrivo per la pagine culturali de La Gazzetta del Mezzogiorno, conosco bene i meccanismi di come le notizie arrivano, finiscono in pagina e poi se ne vanno. Per questo ho scelto un approccio diverso, cercando di entrare in questa vicenda in punta di piedi, analizzarla e mostrare la realtà, lasciando al pubblico il compito di farsi un'idea.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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