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Mondadori-RCS, prove tecniche di monopolio

Mondadori ha avanzato un’offerta per rilevare il 99 per cento di Rcs libri: se la fusione dei due gruppi avesse luogo, controllerebbe il 40 per cento del mercato librario italiano, triturando al suo interno molte case editoriali che fin ora hanno conservato una identità, una cultura e una linea e mettendo in difficoltà ulteriore la piccola concorrenza.
A cura di Luca Marangolo
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Rimbalza sui vari media da giorni ormai la notizia che la casa berlusconiana Mondadori sta per acquistare il 99,9 per cento di RCS. Mondadori ed RCS sono già da soli due colossi che nel loro ventre rispettivamente hanno Electa, Einaudi, Harlequin e altre per la casa milanese; Bompiani, Sonzogno, La Nuova Italia, Adelphi e tante altre per quella torinese.

Due aziende storiche e gigantesche che, una volta fuse, darebbero nelle mani di Mondadori, guidata da Marina Berlusconi, il controllo del quaranta per cento del mercato dei libri in Italia. Il mercato dei libri che è funestato dalla concorrenza sleale di Amazon, il mercato dei libri che vede sempre più nell’accentramento delle sue quote la risposta alla crisi che lo attanaglia. Non è un mistero infatti che la leggerezza con cui Fiat (l’azionista di maggioranza di RCS) sta vendendo -per alcuni svendendo- il gruppo editoriale che ha animato e sorretto, si spiega solo con la necessità di appianare debiti causati da scelte aziendali errate, come l’acquisizione del marchio spagnolo Recoletos, che è stato una vera palla al piede per la casa di Torino.

Il Fatto Quotidiano è andato molto opportunamente a chiedere agli autori, alle firme delle due case editrici cosa pensavano di questa fusione, e ne è uscito un quadro chiaramente allarmante: cosa può mai accadere di positivo in termini di qualità letteraria, di autonomia, di identità culturale, se due calderoni già enormi si fondono in calderone ancora più grande? Cosa ne sarà all’interno del nuovo, enorme, organico di Mondadori, di una casa sofisticata e selettiva come Adelphi?

C’è chi in queste ore non si agita troppo, contando sull’atteggiamento acritico ammantato da liberalismo con cui nella galassia Fininvest possono convivere ciarpame e qualità, Aldo Busi e Cinquanta sfumature, Moresco e Tv sorrisi e canzoni. E non c’è dubbio che forse alla fine, a fusione fatta, sarà così. E salvo che un editore come Bompiani, incredibilmente costretto a convivere con  una rivale storica come Einaudi, o la summenzionata Adelphi, non decidano ad ultimo di sfilarsi dall’affare, tutta folla di etichette prestigiose, ognuna con la sua storia e la sua identità, dovrà smussare gli angoli del morbido abbraccio berlusconiano per poter continuare ad esprimere la propria linea.

Insomma, se è vero che, per fronteggiare il vertiginoso commercio online di libri operato da Amazon, è una tendenza globale quella di monopolizzare, nel mondo dei libri, non c’è comunque niente di peggio per la letteratura che essere avvolta dalla melassa dell’indifferenza. Che è l’unico sentimento che il capitalismo sembra offrirle: quando rinuncia a tutto quello che ha costruito in termini di identità, di pensiero, di coerenza culturale, in favore di un'operazione di vendita, come quella che sta avvenendo, che servirebbe per rattoppare il bilancio di una società che è comunque in grado di produrre utili, come RCS.

Chi non ricorda, del resto, lo standard-da-dibattito di Berlusconi "io sono un editore liberale!", salvo poi le ben note vicende televisive che mettono in dubbio l'aggettivo qualificativo, ma pare che la letteratura, viceversa, in ogni caso non sposti voti.

Sono poche le variabili che possono intervenire dall’esterno ed impedire il rilevamento della società, una potrebbe essere forse l’antitrust, dato che, fuori dalla fatidica fetta del quaranta per cento resterebbero solo pochi altri editori di una certa grandezza (Feltrinelli, Sellerio) e le cosiddette “piccole” case editrici, che come noto poco possono fare contro i giganti già ora.

C’è da attendere e capire come e in che tempi questo impero editoriale dalla stretta soft estenderà la sua morsa sul mercato, se Adelphi, come ha dichiarato, non vorrà essere della partita, se la melassa dell’indifferenza editoriale del grande colosso (“l’editore della nazione” come ha scritto qualcuno) garantirà ancora una volta quel liberalismo indifferente che ha fatto andare avanti la produzione culturale nazional-popolare dagli anni ottanta in sù; se insomma l’eterno (e ci si perdoni la bonaria definizione) gattopardismo del mercato letterario italiano salvaguarderà ancora la libertà d’espressione sotto l’egida del suo indifferente, ma possente, capitale.

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