È un appuntamento fisso quello che Enzo Moscato ha con le canzoni a teatro. Oggi quattro o cinque anni, il grande drammaturgo, attore e regista napoletano, accompagnato dal musicologo Pasquale Scialò, si rimette in marcia per una "galoppata dentro la musica" e ne tira fuori un recital a cui spesso segue l'incisione di un disco (l'ultimo "Toledo Suite" del 2011 è un manufatto artigianale musicale di rara potenza).
Stavolta è toccato al repertorio "emotivo" del Moscato ragazzino e adolescente dei Quartieri Spagnoli di Napoli, il Parnaso a cui appartiene tutto o quasi l'immaginario poetico del suo teatro, riversato per l'occasione nella scelta di un patrimonio di "canzoni e canzonette" a cavallo di tre decenni – Cinquanta, Sessanta e Settanta – prese in prestito dal patrimonio canoro napoletano, italiano e internazionale. Ne è venuto fuori lo spettacolo intitolato "Modo minore" che debutterà al Ravello Festival sabato 24 e domenica 25 settembre, alle ore 21 all’Auditorium Oscar Niemeyer. Gran finale, dunque, per la 64esima edizione del festival sulla costiera amalfitana, con la prima assoluta del recital di uno dei più grandi innovatori della scena poetica teatrale napoletana e internazionale.
"Il discorso tra me e le canzoni arrivano da lontano – ci dice Enzo Moscato – Con Scialò collaboriamo dal '99, da ‘Cantà' in poi il mio consueto lavoro drammaturgico è intervallato da inserti musicali che fanno parte a pieno titolo del mio teatro. D'altro canto, in queste canzoni c'è lo stesso immaginario che ha generato le mie pièce. Così come da ragazzino leggevo libri e iniziavo il mio apprendistato alla letteratura e alla filosofia, alla stessa maniera le canzonette hanno contribuito a formarmi come uomo e teatrante". Sul titolo del recital, "Modo minore", non ha dubbi in merito alla sua duplice valenza. "Da un lato, per quanto riguarda la tecnica musicale, il modo minore è la maniera tipica di organizzazione delle canzoni. Dall'altro è minore il mio modo di approcciare a questo enorme patrimonio canoro, cioè un modo umile, senza snobismi o puzza sotto al naso.
Con Scialò come avete lavorato alla scelta dei brani?
Ci ha interessato sin da subito la dimensione popolare dei brani. Ci sono tantissime perle nascoste tra le pieghe della tradizione canora napoletana, italiana e internazionale a cui ci siamo rivolti. È stata un'esperienza speciale farsi largo in questa folla di lingue e andare alla scoperta di brani come "Mandolino del Texas" di Gloria Christian o "‘Na bruna" cantata all'epoca da Sergio Bruni, un pezzo classico che nel nostro recital, attraverso un processo alchemico, diventa qualcos'altro. Il primo, invece, è un esempio perfetto di meticciato canoro tipico degli anni Sessanta. Da un lato l'ironia e il graffio alla maniera partenopea, dall'altro la dimensione country e jazz della cultura americana che in quegli anni invadeva i vicoli napoletani.
Il che fa venire immediatamente in mente tutto il teatro di Enzo Moscato, da "Bordello di mare con città" in poi…
Esattamente. In fondo, che siano canzoni o poesie o testi scritti per la scena, io torno sempre allo stesso luogo, nello spazio e nel tempo. Fondamentalmente la mia ricerca nasce dal fatto di detestare il presente. Per me il passato è un rifugio, ma non è una nostalgia fine a se stessa: è un modo per esorcizzare alcune paure. E poi il metodo è lo stesso. Questi brani sono così semplici che l'istinto, spesso, ti spinge a trasformarli, a lavorare di ‘ossimoricità', e procedere per ossimori è esattamente quello che faccio quando scrivo per teatro.
A quali canzoni è più legato tra quelle scelte per "Modo minore"?
Naturalmente a tutte. In questo momento, ritengo particolarmente emblematica del progetto una canzone di Dalidà, la versione francese di "Guaglione" di Carosone.
Quanto è complesso il lavoro della canzone a teatro?
Molto, ma è anche ciò che veramente mi interessa della forma-canzone, del modo in cui "accade" in scena. "Modo minore" è composto da ventidue brani legati tra loro da una drammaturgia, da un testo che utilizza anche i video per mettere in scena questo percorso musicale. Per l'occasione abbiamo realizzato le riprese di un gruppo di ragazzini che fanno scorribanda tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli della Napoli di oggi, entrano nella sala Assoli e lì assistono alla proiezione di un film di Totò. Ciò che mi ha stupito di questo esperimento è stato scoprire come quei ragazzini – dei ragazzini borghesi alla maniera in cui lo sono un po' tutti oggi, alle prese con gli smartphone e la caccia ai Pokemon – non sapessero chi fosse il Principe de Curtis.
Qual è stata la loro reazione?
Hanno riso da principio alla fine e si sono divertiti un mondo. Di fronte alla scoperta del bello, della genialità, anche i bambini di oggi che tanto critichiamo possono smettere di comportarsi da fessi.