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Migranti, il barcone diventato opera d’arte viene abbandonato di nuovo: “Nessuno lo vuole”

Il relitto Barca Nostra, dopo essere affondato in mare nel 2015 al largo delle coste libiche, fu recuperato e trasformato in un’installazione artistica di Cristoph Büchel per essere esposto alla Biennale di Venezia. Oggi quel barcone è al centro di una controversia legale tra l’artista, l’istituzione veneziana e il comune di Augusta, in Sicilia: i migranti lasciati senza aiuti in mezzo al mare di ieri sono stati abbandonati di nuovo.
A cura di Redazione Cultura
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Il relitto del naufragio Barca Nostra viene abbandonato e finisce dimenticato da tutti. Nel 2015, a largo dalle coste libiche, era affondato col suo carico di migranti, lasciati senza aiuti in mezzo al mare mentre i governi europei si addossavano la colpa reciprocamente. L'evento aveva scosso buona parte dell'opinione pubblica italiana, europea e mondiale. A tal punto che da quella strage di migranti era nato un movimento di opinione che aveva portato il relitto di quell'affondamento a trasformarsi in un'opera d'arte e così dalla Sicilia, l'opera era arrivata a Venezia per diventare un'installazione dall'artista Cristoph Büchel.

Alla Biennale di Venezia era stata esposta col titolo “May you live in interesting times” (“Possa tu vivere in tempi interessanti”),  diventando un’opera di denuncia di cui si è parlato in tutto il globo come molti altri degli allestimenti di Buchel. Purtroppo però, chiusa la rassegna, come riferisce Repubblica ieri, è iniziata un’altra partita. Perché nessuno ha portato via il barcone.

La storia di Barca Nostra, dagli abissi alla Biennale di Venezia

Circa 50 tonnellate, una fiancata squarciata e l'elica collegata da una corda. Queste le condizioni del peschereccio senza nome che si inabissò nel 2015 con più di mille persone e che, ora, viene chiamato "Barca Nostra". Doveva rimanere ad Augusta a futura memoria e, invece, è stato incluso in un progetto artistico a firma Cristoph Büchel, artista svizzero residente in Islanda, lo stesso che anni fa alla Biennale aveva fatto parlare di sé dopo aver trasformato una chiesa in una moschea e che suggeriva di considerare land art i prototipi per il muro di Donald Trump.

Alto 23 metri, adatto a trasportare un equipaggio inferiore alle venti persone ma sovraccaricato con più di mille disperati, il barcone si depositò a 370 metri dalla superficie, custodendo i corpi per oltre un anno, finché il governo Renzi non ne dispose il recupero. Trasportato, poi, nella base Nato di Melilli, vicino ad Augusta in Sicilia, il relitto rimase lì in attesa di un collocamento migliore.

Barca Nostra, il barcone senza patria: abbandonato due volte

Dopo il lockdown, però, la Biennale di Venezia ha ordinato di liberare la banchina dove era stata installata l'opera, ma a quel punto l'artista ha reagito chiedendo di usare la copertura assicurativa dell'ente organizzatore che in genere tutela le opere esposte, accusando peraltro la ditta incaricata del trasporto di aver danneggiato il barcone. A cui è seguita un'ennesima contestazione legale. Fino al punto in cui la Biennale ha deciso di rivolgersi a un tribunale per far valere il proprio diritto a liberarsi del barcone, oltre a voler far causa al Comune di Augusta che in teoria sarebbe l'ente a cui il relitto è stato affidato.

Il ginepraio di veti e opposizioni incrociate, di tipo burocratico, sta difatti costringendo a una seconda umiliazione quella barca che avrebbe dovuto rappresentare un omaggio ai migranti morti in mare senza che nessuno si preoccupasse della loro sorte. Come in fondo, per altri versi di natura amministrativa, sta accadendo di nuovo adesso.

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