“Michela Murgia ha scritto fino alla fine, uscirà un libro toccante” dice Giammei, suo figlio d’anima
L'ultimo libro di Michela Murgia pubblicato è Tre ciotole, l'opera pubblicata da Mondadori che segnava anche il ritorno della scrittrice morta il 10 agosto per un cancro al rene, alla forma romanzo, dopo alcuni saggi. Ma probabilmente questo romanzo non sarà l'ultima opera della scrittrice, come ha specificato Alessandro Giammei uno dei figli d'anima della scrittrice, assieme a Raphael Luis, Francesco Leone, Michele Anghileri, tutti facenti parte della sua famiglia Queer. Giammei è critico letterario, scrittore e professore di Letteratura italiana all'Università di Yale, nonché autore di "Cose da maschi" un libro che partendo da "un inventario di simboli, orpelli, strumenti che definiscono (o destabilizzano) la differenza tra maschile e femminile" cerca di ragionare su questo "confine labile e permeabile in entrambe le direzioni".
Giammei, che sarà il curatore dell'opera della scrittrice, ha detto all'Ansa che Michela Murgia "ha scritto fino all'ultimo giorno della sua vita. Aveva un libro da consegnare e lo ha consegnato prima di morire. Un libro toccante, sulla famiglia. Doveva essere solo sulla Gpa (gestazione per altri, ndr) ed è diventato un libro più profondo sul senso della genitorialità e parentela. Credo che uscirà a breve per Rizzoli. C'è anche un ricco patrimonio di file scritti in molti anni, molti racconti dispersi e pagine inedite". L'eredita letteraria della scrittrice sarda, quindi, non si esaurisce con la sua morte, anzi, le sue parole continueranno a risuonare e a essere pubblicate, grazie al lavoro del professore e della sua famiglia.
Lo scrittore ha pubblicato, pochi mesi fa, per Einaudi il libro "Cose da maschi", che molto deve proprio a Murgia, come lui stesso ha scritto nei ringraziamenti: "Come si capisce da diverse pagine, questo libro è in debito con Michela Murgia. Per lei, co-titolare del mio grimorio da PP, ho scritto il capitolo sulle armature che, in origine, era in parte un articolo di giornale. È il suo modello di consapevole e fiera fragilità che mi ha suggerito di resistere all’imperativo «sii forte» – e a cercare la mia, di fragilità, nelle esauste barriere cucitemi addosso dal genere in cui sono nato. Un genere che ora rivendico con serenità proprio perché ci sono cresciuto dentro storto, tascabile, anomalo come tutti".