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Morte Michela Murgia

Michela Murgia ha fatto rinascere il femminismo in Italia

In Michela Murgia, morta nella notte del 10 agosto, tutto era votato al più autentico spirito del femminismo. Che senza di lei non sarebbe tornato a occupare lo spazio politico in maniera così scomoda.
A cura di Jennifer Guerra
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Michela Murgia
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Soltanto pochi giorni fa Michela Murgia aveva pubblicato un post sul suo profilo Instagram su un titolo di giornale che la riguardava.
O meglio, di una notizia che non la riguardava ma che era stata data usando lei come pretesto. Il sindaco di Ventimiglia ha assunto dei vigilantes per impedire l’accesso al cimitero alle centinaia di migranti che entravano per usare le uniche fontanelle disponibili nella città e Murgia l’ha criticato. Il giornale, anziché dare la notizia del sindaco, si era concentrato su di lei: “La notizia doveva essere: ‘sindaco leghista attacca i migranti, niente acqua per loro.’ Invece è ‘Michela Murgia attacca il sindaco’”, si legge nel post. Questa cosa accadeva sistematicamente a Murgia: lei parlava di un’ingiustizia o denunciava un problema e il fulcro del dibattito pubblico non erano l’ingiustizia o il problema, era lei. Successe con l’assurda polemica sulla parola “patria”, con le critiche al generale Figliuolo, col saluto romano alla parata del 2 giugno.

Questo accade solo a un’intellettuale, la cui grandezza si misura anche dal fastidio che dà. E Michela Murgia, morta nella notte del 10 agosto, di fastidio ne dava parecchio, non soltanto ai propri nemici, pronti a ricamare impalcature su ogni sua dichiarazione, capaci di dedicarle ampi spazi televisivi per metterla sempre al centro di ogni polemica vera o presunta. Oggi sono in tanti che, pur piangendola, ci tengono anche a precisare che spesso non erano d’accordo con lei o che non condividevano tutto quello che diceva. Per fortuna, viene da dire. Perché un intellettuale che mette tutti d’accordo, che non dice mai nulla che suscita dissenso e incredulità non sta assolvendo davvero alla sua missione. Nel panorama culturale odierno, in cui la provocazione è più spesso una posa ricercata che una vocazione autentica di onestà intellettuale, Michela Murgia era un’eccezione.

L’eccezionalità di Murgia è stata anche quella di aver contribuito a rilanciare la discussione sul femminismo in Italia, cosa che molti non le hanno mai perdonato. Il femminismo murgiano si radica nella sua terra, la Sardegna, di cui la scrittrice ci ha restituito un ritratto sincero e privo di romanticizzazione. Lungi dal raccontare un matriarcato idilliaco, dalla sua Accabadora emerge una femminilità in continua cerca di sopravvivenza e indipendenza. Il racconto si amplia e prosegue nel podcast Morgana, scritto con Chiara Tagliaferri, in cui sceglie come protagoniste donne fuori dagli schemi, che hanno conosciuto il successo ma anche la penombra, spesso pagando un alto prezzo per la loro autonomia. La passione di Murgia per storie come queste spesso le è valsa l’accusa di promuovere un “femminismo della scelta”, dove la liberazione si confonde con la libertà e dove non c’è spazio per la relazione e la collettività.

Oggi sappiamo, grazie al generoso regalo che Murgia ci ha fatto scegliendo di trasformare la sua morte in un atto politico, che tutto in lei era votato al più autentico spirito del femminismo. Mettersi da parte per sollevare le altre, guardare con sospetto il potere e il prestigio e cercare sempre di condividerlo, ma soprattutto seminare affinché tutte potessimo raccogliere. E nel femminismo che Murgia ha costruito per noi e insieme a noi c’è anche un senso di riscatto personale (più che emancipazione, parola che lei non amava), un’esperienza di autenticità, di protagonismo nella propria vita, di identità intesa come una possibilità di combaciare con se stesse, con la versione di sé che corrisponde al proprio desiderio. È un posizionamento che negli uomini viene sempre esaltato e incoraggiato, ma che per le donne – e a maggior ragione per le femministe – diventa subito egoismo. Ma in quante pagine dei libri, in quanti volumi di teoria, in quante storie che Murgia amava si sente forte questa urgenza di verità verso se stesse.

Michela Murgia non amava le eroine né gli eroi solitari. Ma pensava che senza quella verità intima e faticosamente conquistata non c’è nessuna possibilità di cambiamento. Michela Murgia è stata il ponte che ha permesso al femminismo di migrare dalla grande stagione degli anni ’70 fino a oggi. Non l’ha fatto come grande madre, ma come compagna di viaggio, sapendo che il femminismo è uno sforzo individuale e collettivo insieme, che le due cose vanno sempre di pari passo e non c’è potere che possa spezzare questo legame. Senza i suoi libri, i suoi podcast, i suoi articoli, la sua attività di divulgazione e il suo attivismo, probabilmente il femminismo non sarebbe tornato oggi a occupare lo spazio pubblico in maniera così scomoda. E a lei, che scomoda lo è sempre stata, dobbiamo essere grati tutti e tutte.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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