È morta Michela Murgia, la scrittrice e attivista aveva 51 anni
Michela Murgia è morta oggi, nella sua casa di Roma, all'età di 51 anni dopo che le era stato diagnosticato un tumore al rene al quarto stadio. Lo scorso 6 maggio la scrittrice aveva rivelato di avere un tumore in un'intervista in cui svelava qual era stata la sua vita in quegli anni in cui solo gli amici stretti avevano potuto avere accesso alla sua sfera privata. Aveva deciso di curarsi con "un'immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L'obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti" aveva spiegato, come faceva spesso anche sui social dove nelle ultime settimane aveva raccontato la sua malattia. Michela Murgia aveva superato un primo tumore che le era stato diagnosticato nel 2014, prima del ritorno di quello nuovo. Nelle scorse settimane aveva sposato Lorenzo Terenzi con un matrimonio in articulo mortis. I funerali si terranno sabato 12 agosto 2023, presso la chiesa degli Artisti a Roma alle 15.30
Nel suo ultimo libro pubblicato, "Tre ciotole" (Mondadori), il primo racconto parlava proprio di una donna a cui, nello studio di un medico, veniva diagnosticato un tumore, e da subito era evidente la componente autobiografica, grazie anche al riferimento al coreano, lingua che Murgia aveva cominciato a studiare a seguito della sua passione per i BTS. Una passione che negli ultimi anni era stata forte e l'aveva portata direttamente nel mondo dell'ARMY, come sono chiamati i fan della band. Aveva scelto di non operarsi perché non c'erano più speranze, le metastasi avevano già invaso le ossa e il cervello: "Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Me l'ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l'alieno".
Cinquantun anni, sarda, scrittrice, attivista, Murgia aveva segnato il dibattito pubblico negli ultimi anni, grazie alle sue posizioni politiche e femministe, dopo aver segnato quello letterario, campo in cui era entrata a gamba tesa nel 2006 quando pubblicò, per Einaudi, "Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria", un romanzo autobiografico nato come blog, in cui narrava le vicende lavorative in cui si era trovata e da cui Paolo Virzì trasse il film "Tutta la vita davanti", seguito da "Accabadora" che vinse il Premio Campiello. Fu il primo di una serie di libri di successo alternando romanzo a saggio, spaziando dalla religione alla politica fino al femminismo, diventando una delle principali agitatrici culturali, esponendo il fianco alle critiche della destra che negli ultimi anni ne aveva fatto un obiettivo da combattere.
Il suo ultimo libro era Tre ciotole, opera con cui aveva scelto di tornare alla forma non saggistica a otto anni da Chirù, ma nel frattempo Murgia era stata molto attiva. Oltre a un podcast molto popolare assieme a Chiara Tagliaferri, Morgana, diventato anche un libro di successo, Murgia aveva scritto opere saggistiche come "Ave Mary. E la chiesa inventò la donna" tornando a parlare di religione, lei che era laureata in Teologia, poi "Istruzioni per diventare fascisti", "Stai Zitta, e altre nove frasi che non vogliamo sentire più" e "God Save the Queer. Catechismo femminista". Era impegnata anche come editorialista e dal 2021 curava la rubrica dell'Espresso L'antiitaliana, che in precedenza era di Giorgio Bocca e poi di Roberto Saviano. Nel giugno 223 era stata nominata Cavaliera delle Arti e delle Lettere in Francia.
Contemporaneamente all'attività letteraria Michela Murgia è anche attivista in Sardegna, dove svolge anche attività politica attiva. Appoggiò Maria Adinolfi come segretario del PD nel 2007, successivamente auspicò l'indipendenza della Sardegna ("mostrarne i limiti. Oggi il mio compito, se mi dovessi candidare, è arrivare fino all'estremo orizzonte. Tra cinque anni il compito di chi mi succederà sarà di trovare la porta di quell'orizzonte" come disse in un'intervista) e appoggiò prima il movimento iRS – Indipendentzia Repubrica de Sardigna, e successivamente il partito indipendentista ProgReS – Progetu Repùblica de Sardigna. Nel 2014 si candidò come Presidentessa alle elezioni regionali sarde , piazzandosi terza col 10% mentre nel 2019 sostenne la lista di sinistra che comprendeva Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, L'Altra Europa con Tsipras, Convergenza Socialista, Partito del Sud e Transform! Italia.
Femminista convinta, Michela Murgia ha vissuto gli ultimi anni nella sua famiglia Queer ovvero "un nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli". Dal 2010 al 2014 aveva sposato Manuel Persico, mentre negli ultimi mesi di vita si era unita in matrimonio con Lorenzo Terenzi, parte della sua Queer family: "Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me. Amo e sono amata, i ruoli sono maschere che si assumono quando servono. (Sposo) un uomo, ma poteva essere una donna. Nel prenderci cura gli uni degli altri non abbiamo mai fatto questione di genere" aveva detto nell'intervista-manifesto al Corriere. Con Claudia, anch'essa parte della famiglia, condivide un figlio da 12 anni, Raphael e ne ha altri che considera figli d'anima: "Sono figli d'anima. Il più grande ha 35 anni, il più piccolo venti. Tutti maschi, ma è un caso. Uno fa il cantante lirico, uno studia economia anche se speravamo facesse lettere, uno insegna a Yale, l'altro lavora in un grande gruppo della moda".
Negli ultimi mesi aveva partecipato al Salone del Libro di Torino, aveva cercato di portare il suo libro e la sua parola quanto più in là possibile, ma a giugno aveva annunciato che si sarebbe dovuta fermare: "Sto tornando a casa da quella che era l'ultima uscita pubblica che conto di fare per i prossimi sei mesi. Grazie degli inviti che mi state facendo – scrive ancora Murgia – Non ho le forze né il tempo per accettarli, il mio prossimo tempo è per chi amo". Al Corriere aveva detto: "Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent'anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l'importante per me ora è non morire fascista". In uno degli ultimi post condivisi su Instagram rispondeva a chi le chiedesse come stava: "Ricevo moltissimi messaggi ogni giorno, tutti affettuosi (gli altri non li vedo, ho sviluppato una felice cecità selettiva) ma non riesco a rispondere a tutt3, perché sono spesso banalmente troppo stanca. Vado un po’ più spesso in ospedale, a volte all’improvviso perché il corpo sorprende e ieri mi mancava il respiro a causa del troppo liquido negli anfratti dei tessuti. Il livello delle cure del nostro sistema sanitario mi ha però fino a ora consentito di tornare sempre a casa stando meglio. Ecco, la risposta che vorrei dare a chi mi chiede continuamente come sto, che era quella che dava Cesare de Michelis: posso stare meglio, ma non posso più stare ‘bene'. ‘Meglio' è comunque preferibile a male, quindi godetene con me".
Michela Murgia si è sposata con Lorenzo il 14 luglio scorso, come ha mostrato in un post su Instagram in cui la si vedeva firmare sulle note di Nobody's Wife, la canzone di Anouk. Un brano scelto non a caso, visto che la scrittrice non avrebbe voluto essere costretta al matrimonio, ma era l'unico modo per garantire i diritti alla sua famiglia queer. Murgia, infatti, si era lamentata e aveva chiesto di non farle auguri:
Qualche giorno fa io e Lorenzo ci siamo sposat3 civilmente. Lo abbiamo fatto “in articulo mortis” perché ogni giorno c’è una complicazione fisica diversa, entro ed esco dall’ospedale e ormai non diamo più niente per scontato. Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere. Tra qualche giorno nel giardino della casa ancora in trasloco daremo vita alla nostra idea di celebrazione della famiglia queer. Le nostre promesse non saranno quelle che siamo stat3 costrett3 a fare l’altro giorno. Vogliamo condividerlo a modo nostro e lo faremo da questo profilo, senza giornalist3 o media vari. Il nostro vissuto personale, come quello di tutt3, oggi è più politico che mai e se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa: un altro modello di relazione, uno in più per chi nella vita ha dovuto combattere sentendosi sempre qualcosa in meno.