Michela Murgia e l’ultima telefonata al suo medico: “Dottore ho finito, ora posso andare”
"Dottore ho finito, ora posso andare", con queste ultime parole la mattina del 10 agosto, poche ore prima della sua morte, Michela Murgia ha voluto salutare al telefono il medico che l'aveva curata e assistita nel corso della sua malattia, il dottor Fabio Calabrò. Una telefonata inattesa che la scrittrice scomparsa ha voluto però con caparbietà per tenere fede a un patto reciproco, nonostante ormai le restassero pochissime forze. Come ha raccontato lo stesso oncologo, tra i due infatti vi era stato un patto fin dai primi giorni della scoperta della malattia, quando Murgia mise in chiaro che avrebbe interrotto ogni cura in caso di incapacità di lavorare o scrivere.
Che fosse una telefonata particolare il medico lo aveva capito dall'insolito orario. "Era molto presto, non l’aveva mai fatto a quell’ora. Era riuscita a dettare l’ultimo capitolo del libro sulla Gpa, la gestazione per altri, un lavoro al quale teneva particolarmente. Voleva che lo sapessi, che ce l’aveva fatta" ha raccontato Calabrò a Repubblica. Compiuto quel lavoro a cui teneva particolarmente, Murgia ha capito che era giunto il momento e con un filo di voce si è congedata anche dal medico. “Dottore, ora posso andare”, ha sussurrato al telefono. Qualche ora dopo si è spenta tra le carezze di familiari e amici.
"Io tentavo di edulcorare la situazione, non me la sentivo in quel momento di essere diretto. Lei però capì e mi chiese soltanto una cosa: quanto mi resta? Poi aggiunse: ‘Dottore, io voglio continuare a fare la mia vita. Se devo sottopormi a una terapia che mi piega in due e mi rende incapace di lavorare, di scrivere, ci salutiamo qui' " ha ricordato il dottor Calabrò, ricostruendo i momenti in cui aveva dovuto comunicare a Murgia del tumore ai reni. "In quella fase non era necessario fare chemioterapia, ci lasciammo con un sorriso e un patto" ha aggiunto il medico.
"Lui mi ha lasciato totale autonomia dandomi tutti gli elementi per capirla e gestirla. Sono libera di scegliere quanto curarmi, se prendere meno o più medicine, perché nel mio corpo ci sono io. Insomma, ha rispettato completamente la mia volontà. A mio parere il miglior medico che mi potesse capitare" aveva detto di lui Murgia, ricordando la libertà che il suo dottore le aveva lasciato nella gestione della malattia.
Nei mesi successivi la scrittrice ha continuato il suo lavoro e il suo impegno. "Ogni tanto mi chiamava e mi raccontava di aver camminato per chilometri dalla sua casa di Trastevere al bar nel quale ha scritto "Tre ciotole". Sentiva il tempo venir meno e ha raddoppiato il suo impegno, che poi era la ragione della sua esistenza. Mi sento di dire che Michela ha affrontato il cancro come una opportunità e mai come una condanna. Nelle ultime settimane non riusciva più a muoversi, ma ha continuato a dettare pagine e pagine con una lucidità incredibile" ha sottolineato il medico, concludendo: "Quella telefonata, poche ora prima di morire, è stato il suo modo di affermare ancora una volta la sua libertà: ora ho finito, posso andare".