Michel Houellebecq parla degli attentati di Parigi: “Accuso Hollande”
"La situazione incresciosa nella quale ci ritroviamo è da attribuire a precise responsabilità politiche". Michel Houellebecq parla delle stragi di Parigi senza giri di parole, con quello stile suo proprio che stordisce per la forza delle affermazioni e fa riflettere sugli eventi in modo sempre diverso da quello che suggerirebbe il senso comune. Dopo aver scandalizzato e diviso l'opinione pubblica con il suo romanzo "Sottomissione", che usciva quasi contemporaneamente all'attacco contro Charlie Hebdo dello scorso 7 gennaio, Houellebecq torna a parlare del terrorismo che colpisce Parigi e i suoi abitanti, con toni duri e decisi soprattutto nei confronti del governo e del capo di Stato francese. Un'analisi che punta il dito contro la politica e dà fiducia alla popolazione, quasi questi due mondi fossero oggi inconciliabili: e in effetti, è di spaccatura e inconciliabilità che Houellebecq parla, quando denuncia l'incapacità della classe politica di difendere la sicurezza dei propri cittadini.
"Ci si abitua, agli attentati". Così esordisce Houellebecq nel lungo articolo diffuso in Italia dal Corriere: torna con la memoria agli attacchi dinamitardi dell'86, quando soltanto a rue des Rennes ci furono decine di morti e feriti. "Quello che ricordo perfettamente era l'atmosfera che si respirava, in metropolitana, nei giorni successivi. Il silenzio, nei corridoi sotterranei, era totale, e i passeggeri incrociavano sguardi carichi di diffidenza. Questo, la prima settimana. Poi, assai rapidamente, le conversazioni hanno ripreso e l'atmosfera è tornata alla normalità. L'idea di un'esplosione imminente era rimasta nell'aria, pesava nella mente di tutti, ma già era passata in secondo piano. Ci si abitua, anche agli attentati. La Francia resisterà. I francesi sapranno resistere, anche senza sbandierare un eroismo eccezionale, senza aver nemmeno bisogno di uno scatto collettivo di orgoglio nazionale".
Resistere, perché non si può fare altrimenti, e perché nessuna emozione umana, nemmeno la paura, è più forte dell'abitudine. La Francia farà così, andrà avanti come sempre accade anche in queste tragiche circostanze. Difende il popolo francese, ha fiducia nella forza dell'abitudine e nella volontà di andare avanti. Ma il discorso di Houellebecq a questo punto si fa serio, cambia tono, perché quando si tratta di individuare le responsabilità dell'accaduto egli non ha dubbi. Si tratta di precise responsabilità politiche, che non possono essere di certo tralasciate e prima o poi verranno a galla: non c'è possibilità alcuna che le responsabilità "dell’insignificante opportunista che occupa la poltrona di capo di Stato, come pure il ritardato congenito che svolge le funzioni di primo ministro, per non parlare poi dei ‘tenori dell’opposizione', escano con onore da questo riesame".
Chi è stato a decretare i tagli nelle forze di polizia, fino a ridurle all'esasperazione, quasi incapaci di svolgere le loro mansioni? Chi ci ha inculcato, per tanti anni, l'idea che le frontiere sono un'assurdità antiquata, simbolo di un nazionalismo superato e nauseabondo? Si capisce subito che tali responsabilità sono state largamente condivise. Quali leader politici hanno invischiato la Francia in operazioni assurde e costose, il cui principale risultato è stato quello di far sprofondare nel caos prima l'Iraq, poi la Libia? E quali governanti erano pronti, fino a poco tempo fa, a fare la stessa cosa in Siria?
Queste le domande spinose poste da Houellebecq, che incalza le sue verità e arriva a concludere la piena, totale ed assoluta responsabilità dei governi degli ultimi dieci anni ("venti? trenta?"), che hanno fallito nell'unico compito loro assegnato: proteggere la popolazione francese. Un fallimento derivante da un solo elemento: la spaccatura abissale che si è creata fra i cittadini e coloro che dovrebbero rappresentarli. La soluzione?
Il discredito che oggi colpisce in Francia l'insieme della classe politica è non solo dilagante, ma anche legittimo. E mi sembra che l'unica soluzione che ci resta sarebbe quella di dirigersi lentamente verso l'unica forma di democrazia reale, e con questo intendo dire la democrazia diretta.