‘Mi vivi dentro’ di Alessandro Milan: “Racconto la storia di Wondy e del nostro amore normale”
Sono passati quindici mesi da quando la scrittrice e giornalista Francesca Del Rosso, alias Wondy, ci ha lasciati. A distanza di poco più di un anno, e dopo l'enorme eco che la lettera di commiato di suo marito Alessandro Milan riscosse sul web, arriva in libreria per Dea Planeta, "Mi vivi dentro", il primo romanzo del giornalista di Radio 24. Un racconto intenso e scritto con semplicità sugli ultimi mesi di vita di una donna speciale, che aveva saputo trasformare il terribile cancro di cui soffriva in un inno all'ottimismo e alla capacità della vita di riemergere anche sotto le sue stesse ceneri.
In un certo senso, "Mi vivi dentro" è la naturale prosecuzione di quell'ottimismo che sopravvive alla peggiore delle tragedie. Se ne fa testimone Alessandro Milan, il marito di Wondy, padre di due figli, che a Wondy ha già dedicato una associazione e un premio letterario per la letteratura resiliente. Abbiamo avuto la possibilità di chiedere a Milan di raccontarci qualcosa in più sul libro, a partire da quell'espressione "percorso di dolore" che all'epoca usò nella sua commovente lettera. Espressione che rimanda al lutto, certo, ma anche all'idea di viaggio che ogni superamento del dolore porta con sé.
A che punto è il tuo "percorso di dolore" e che tappa ha rappresentato scrivere questo libro al suo interno?
Quando l’ho usata per la prima volta, molti si sono concentrati sulla seconda parola, il dolore, io invece ho pensato fin da subito al percorso che avrei dovuto compiere. Penso spesso a quello che mi disse un’infermiera il giorno stesso in cui è morta Francesca. “Non smetta di vivere” disse. “Come, scusi?” le chiesi io. “Lei è giovane. Non smetta di camminare.” E così ho fatto: mi sono messo in cammino. Adesso non so a che tappa sono arrivato ma non smetterò di guardare avanti.
Sono uno scrittore. Spesso mi capita di usare la mia biografia e quella degli altri nei miei romanzi. Mi è spesso capitato di dovermi scontrare con gli altri per questo. O di riceverne il loro apprezzamento (poco, per la verità). A te cosa sta succedendo in proposito? Come hai scelto di "maneggiare" la tua biografia e quella degli altri?
Pochi giorni fa la mia agente mi ha mostrato una email che le avevo mandato l’anno scorso per dirle che non avrei scritto niente, di me e Francesca. Ne ero assolutamente convinto. Poi una domenica di primavera mi sono svegliato e ho sentito che dovevo fare qualcosa per “sputare via il dolore”. È stata una necessità istintiva. Così nei mesi successivi sono nati l’Associazione “Wondy Sono Io” e anche il romanzo. Ho capito che se vuoi superare il dolore non puoi chiuderti o far finta che non esista, devi attraversarlo e raccontarlo. Ho cercato di non scrivere un’agiografia e di non indugiare sulla malattia, piuttosto ho raccontato la storia di un amore “normale” e quella di un uomo che cerca di essere un buon padre. Credo che le persone coinvolte lo abbiano capito, perché dopo aver letto il libro mi hanno mandato messaggi bellissimi.
Come ti spieghi il fatto che la storia di Francesca interessi così tanta gente, ben oltre la cerchia di coloro che l'hanno conosciuta?
L’ottimismo di mia moglie è sempre stato contagioso. Penso che tante persone, come lei e come me, abbiano bisogno di guardare la vita senza perdere il sorriso. La resilienza ce l’abbiamo tutti.
Un aspetto molto interessante del tuo romanzo è il modo in cui cambia il rapporto con i figli. Come hanno recepito il libro e cosa hai scoperto di nuovo in questo periodo di assenza di Francesca sulla genitorialità?
Nel libro paragono i miei figli a dei passerotti, che da un lato hanno bisogno di essere protetti – e da quando non c’è più la loro mamma ho un enorme senso di responsabilità sulle spalle –, da un lato rappresentano le mie ali verso il futuro. I bambini sono molto più resilienti degli adulti.
Cosa pensi di poter scrivere ancora in futuro? Pensi di farlo?
Già mentre scrivevo questo libro, altri ricordi e altre sensazioni sono affiorate, rimanendo inespresse. Se racconterò altre storie, di fantasia o no, credo che mi verrà naturale attingere a quel serbatoio di emozioni. Ma forse è ancora presto per pensarci.