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Meraviglie dell’italiano antico: cosa vuol dire la parola ‘unquanco’

Sono solo tre lettere, ma la parola ‘mai’ è tanto grossa, un vero minestrone di significati. Invece il suo (quasi) sinonimo ‘unquanco’ premette dei significati precisi ed eleganti. Sarebbe più giusto dire ‘permetteva’, visto che è completamente desueto, ma le parole non muoiono come la carne.
A cura di Giorgio Moretti
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Mai. Prendendo origine dal latino magis (‘più') il suo primo significato è stato proprio quello di un ‘più'. "Non mai ti rivedrò", non ti rivedrò più. Acquista quindi una funzione ancillare, ausiliaria di rafforzativo di negazioni, proiettandole nel tempo: così il mai, col suo trovato autonomo senso di ‘in nessun tempo, nessuna volta' investe il passato e il futuro, alternativamente o insieme ("Sono più bravo di te a basket" "Mai vero"). Però il suo significato arriva a lambire anche sensi diversi: quando ti chiedo "Sei mai andato in quella pizzeria?" in verità non ti sto domandando se ci sei stato ‘mai', ma se ci sei stato ‘qualche volta', o almeno una, voglio sapere se merita.

Insomma, il mai è una di quelle parole vivissime che sono per la lingua ciò che il prezzemolo è per la cucina. Bene, bello, ma le prime pagine della nostra lingua permettevano anche dei ‘mai' più precisi. Ed è importante padroneggiarli, per scongiurare di dover attingere al nostro patrimonio letterario con la mediazione di parafrasi squallide. ‘Unquanco', in particolare, è un termine superbo.

Quello descritto da ‘unquanco' (che si trova anche nella variante ‘unquanche') non è un ‘mai' qualsiasi. È precisamente un ‘mai fino ad ora‘, un ‘non ancora‘ – letteralmente, ‘mai ancora' (infatti è composto da unqua, che è dal latino unquam ‘mai', e anco ‘anche'). Mai ancora: un accostamento intelligente, immediato ed efficace, che definisce con una sintesi incisiva qualcosa di ancora non successo.

Magari qualcuno se lo ricorda, uno dei più celebri esempi d'uso di questa parola: nel XXXIII canto dell'Inferno Dante sta attraversando il Cocito, il fondo gelato dell'Inferno, luogo in cui sono puniti i traditori, e si stupisce di trovarvi le anime di persone che ancora sono vive, sulla terra: fra queste trova Branca Doria, che «non morì unquanche,/ E mangia e bee e dorme e veste panni» (‘che non è ancora morto, e mangia e beve, e indossa abiti'); per Dante l'anima di chi commette peccati così gravi viene subito scagliata all'Inferno, e un demone prende possesso del suo corpo sulla terra.
E si potrebbe parlare di come non ci siamo unquanco lanciati col paracadute; di una ricetta di cui non avevamo sentito parlare unquanco, prima di trovarla in un romanzo; del primo passo di un viaggio unquanco immaginato.

Certo, molte parole oggi vive e vivaci sono rimaste dormienti per lunghi secoli, e non si sa mai quale parola possa svegliarsi: magari non capiterà a ‘unquanco', o non adesso, ma intanto in quel nesso acuto fra ‘mai' e ‘ancora' possiamo conservare una struttura intelligente della nostra bella lingua, e del nostro pensiero.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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