“Matteo Boris”: la vera storia del mio odiato compagno di classe e la fine dei populismi
Quando andavo a scuola avevo un compagno di classe, alle superiori, che detestavo. Era il classico personaggio che sembrava uscito da un teen-movie americano: bellissimo, capelli sempre perfetti, fighissimo, tutte le ragazze gli sbavavano dietro di continuo e anche i ragazzi, popolarissimo, non aveva mai una sola piega sgualcita, bravissimo in qualsiasi sport e tutto sommato se la cavava bene anche nello studio, facendo leva sul suo inguaribile e “a suo dire” irresistibile sorriso. Insopportabile. Soprattutto per chi come me ha sempre militato nella lega dei nerd sin da tenera età e, nonostante adesso sia un figo della madonna (se non ci credete chiedete pure a mia madre), tuttora orgoglioso di farne parte. Ma, come insegnano i film dei collage americani (lo so che sono gli Stai Uniti e non l’America ma per noi ragazzi cresciuti negli anni ’80 e ’90 gli Stani Uniti sono l’America), le scuole superiori sono un pessimo posto per ragazzini pieni di sogni strambi, avidi lettori di fumetti e appassionati di musica vecchia o sconosciuta ai più. Se poi sei “tutto ciccia e brufoli”, con un taglio di capelli a metà strada fra Battisti e Cocciante e a tutto ciò aggiungi il fatto che lui era di una nota e ricca famiglia del paese ed io di estrazione proletaria, direi che il quadro è abbastanza chiaro e completo. D’ora in avanti per comodità (e per proteggermi da qualche querela) lo chiameremo Matteo Boris.
Le nostre vite sono sempre andate di pari passo ma su strade ben distinte e parallele: lui era di destra, io (ca va sans dire) di sinistra, anzi un nerd grunge anarchico con un’unica perenne camicia a scacchi appiccicata alla pelle, jeans bucati o strappati (che all’epoca non li vendevano mica apposta così, te li bucavi perché erano vecchi ma per lottare contro il capitalismo li usavamo fieramente comunque anche se logori), anfibi militari e tanta, tanta rabbia. Avevamo una sola cosa che ci accomunava: andavamo contro le regole. Ma con la grande, enorme differenza che io le regole le infrangevo perché le ritenevo ingiuste e lottavo tenacemente nell’ingenuo tentativo di cambiarle per me e per tutti, lui invece le piegava a suo beneficio, a proprio uso e con
sumo. Non gli fregava un cazzo di quali fossero le regole e perché, lui semplicemente voleva ottenere quello che voleva, per se e per nessun altro. Io ero rappresentante d’istituto, organizzavo le assemblee, le autogestioni, le occupazioni e ci credevo, ci credevo fino a stare male, lui le ore di assemblea e le notti di occupazione invece le passava a limonare, a pomiciare giù duro ed io lo detestavo per questo, lo detestavo profondamente perché non comprendeva il senso di tutto quello che facevamo e trascinava dietro di sé la maggioranza dei compagni e compagne di scuola che pensavano solo a cazzeggiare; e poi lo odiavo perché fra tutte le ragazze con cui provarci aveva deciso di farlo proprio con il mio “totem” adolescenziale, quella bellissima ragazzina dai lunghi ricci capelli neri alla quel ho regalato tre anni della mia prima vita. E poi, sarei disonesto se lo negassi, lo odiavo perché lui “limonava giù duro” mentre io, per anni, sono sempre stato “il migliore amico”, quello che ti fa ridere da morire. Alle manifestazioni, agli scioperi davanti ai cancelli della scuola, ad organizzare feste e festini (perché non è che la vita fosse solo lottare per i propri diritti, era anche lottare per il proprio diritto a fare festa), eravamo sempre entrambi in prima fila, soltanto che lui lo faceva solo per mostrarsi, per divenire sempre più popolare, per apparire il più bello in ogni occasione, per creare continui consensi: era là dove doveva essere, e cambiava le sue parole a seconda di dove tirava il vento. Sia chiaro non è che io mi stia dipingendo come un santo, perché di errori e cagate nella mia vita ne ho fatte così tante da scriverci un libro (non mi sembra il caso di far pubblicità in questa sede, ma l’ho scritto per davvero), però ci credevo davvero in quel che facevo e dicevo, mentre lui era laido, falso, traditore, una di quelle persone che ti sorridono di continuo, e difatti appena gli si voltava le spalle aveva un’orrenda battutaccia, nella maggior parte dei casi, misogina e sessista, per tutte e tutti, solo per mostrare per l’ennesima volta quanto lui fosse figo e meglio di chiunque altro. E’ quello che alcuni oggi amano definire anarchico di destra, che è una definizione che trovo esecrabile, oltre ad essere un ossimoro, una contraddizione in termini, ma in un certo senso rende l’idea di questi avidi personaggi che piegano le regole solo a proprio beneficio. Personaggi che sono il risultato di una cultura sessista, edonistica ed egotica, permeata di vuoti riferimenti ad un machismo di stampo americano, echi di self-made man di reaganiana memoria, di sterile ribellismo perfettamente inquadrato dalle reclame della automobile che promuovono continuamente l’ideale di un uomo arrogante e “libero da ogni definizione”, ribellione alle regole e allo status quo che poi alla fine si risolve semplicemente nell’acquisto di prodotti che ti rendono “differente” dagli altri. Personaggi ignoranti, impreparati, abituati sin da piccoli ad avere tutto, furbi e capaci di cavarsela in ogni situazione grazie alla loro innata e spiccata capacità di camuffarsi come camaleonti, rendendosi sempre piacevoli agli occhi della gente o meglio, della loro gente, perché tutti quelli che non li apprezzano sono di volta in volta “zecche”, “coglioni”, “cessi” , “merde” o semplicemente nemici perché chi non è con loro, è contro di loro semplicemente per il fatto che, essendo furbi, si rendono conto benissimo che non potrebbero reggere il confronto in qualsiasi discussione e così ricorrono ad insulti e slogan per sottomettere chi non la pensa come loro o meglio chi non è come loro. Personaggi che sono figli di un trentennio berlusconiano oramai completamente radicato nella cultura popolare o meglio ancora, nella cultura populista, perché è proprio da qui e da costoro che nascono i populismi: dall’idea che l’affermazione del se avvenga esclusivamente attraverso la glorificazione dell’io, accentuata sempre di più da un maggiore consenso popolare, a costo di qualsiasi cosa.
Matteo Boris, costruiva la sua immagine e il suo consenso, umiliando i più “deboli” con quelle che oggi chiameremmo pratiche di bullismo, fregandosene degli altri e piegando di continuo le regole a suo esclusivo beneficio, Salvini e Johnson (e Trump, e Meloni etc etc etc) fanno di tutto pur di mantenere alto il consenso popolare, sminuiscono di continuo il proprio avversario, denigrandolo e insultandolo soprattutto se donna, se ne fregano degli altri e di coloro i quali la pensano diversamente da loro, piegano le regole a loro totale beneficio, salvo poi rimanere invischiati dalle loro stesse piccole truffe per arginare l’ostacolo. Il mio compagno di classe fu bocciato agli esami di maturità, perché – convinto di potersela cavare sempre e in qualunque situazione e certo che il suo proverbiale sorriso gli avrebbe come minimo garantito un 42 (all’epoca i voti si esprimevano in sessantesimi) – si presentò completamente impreparato di fronte ad una commissione esterna parecchio anziana e poco incline al fascino adolescenziale; io, seppur presentandomi in zoccoli, pantaloncini e canottiera dei Clash, seppi declamare il quinto canto del paradiso a memoria, spiegando quanto fosse inutile la parafrasi di un verso perché “la poesia non va spiegata perché se c’è bisogno di spiegarla allora non è poesia” e argomentando l’inutilità della fisica che studiamo a scuola, e che portavo come seconda materia agli orali dopo l’italiano, di fronte alla relatività e alle nuove teorie legate alla fisica quantistica e allo studio dei buchi neri. In realtà non erano certo stupidi e compresero quanto poco sapessi di fisica ma anche quanta voglia avevo di conoscere altro e mi lasciarono libero con un 40 che amo definire “politico”.
E così i vari populisti nostrani che vivono solo del consenso conquistato attraverso menzogne e foto dei propri pasti, alle volte vengono schiacciati e rispediti nel fango dai loro tristi giochini di potere e dalle loro stesse menzogne diventate troppo grosse per riuscire a camminare sulle loro corte gambe: domenica 1 settembre in Germania il partito di estrema destra Alternative für Deutscheland (AfD) non è riuscito a ottenere il primo posto nelle due elezioni statali in cui aveva la possibilità di formare il governo, la Sassonia e il Brandeburgo; in Gran Bretagna, il 3 settembre il nuovo primo ministro conservatore Boris Johnson ha affrontato il parlamento per la prima volta e ha immediatamente perso un voto chiave, perché 21 politici del suo stesso partito hanno votato contro di lui, Trump perde sempre più consensi e vabbè la Lega… che ve lo dico a fare.
Ho rivisto Matteo Boris molti anni dopo, l’ho incontrato su quello stesso lungo mare che guardavamo ogni giorno da dietro le finestre della nostra classe, tiratissimo, con il suv, la camicia bianca, abbronzatissimo e meravigliosa famiglia al seguito, che sembrava appena uscita da un set del Mulino Bianco. Diceva di aver messo la testa a posto, di essere cambiato, dopodichè ha iniziato un monologo di circa 23 minuti sulla sua fantasmagorica vita, sul suo lavoro, sui suoi infiniti successi, su tutte le automobili che aveva posseduto negli ultimi quindici anni, sul mondo che a suo dire avrebbe girato in ogni angolo (anche se poi nei viaggi di cui parlava c’erano solo villaggi turistici sparsi sul pianeta), su quanto riesca a fatturare ogni anno, e su quanto lo stato lo schiacci con le tasse che però alla fine, ce l’aveva fatta e aveva trovato un modo per non pagarle o pagarne molto di meno. Nel mentre tutti i passanti lo salutavano, anzi cercavano disperatamente il suo saluto, perché, mi diceva, era il candidato sindaco per le prossime elezioni che ci sarebbero state di lì a un mese. Elezioni che poi ha vinto a stragrande maggioranza. Non so se verrà “bocciato” ancora o se i suoi epigoni nazionali, europei e mondiali verranno prima o poi nuovamente “bocciati” dalla storia, so però che sono il prodotto di una generazione a cui sin da bambini è stato insegnato “no dai lascai stare lo scontrino, non ce n’è bisogno”, “ho un amico in comune che mi toglie la multa”, “mio cognato lavora al ministero e mi fa passare il concorso”, “vabbè tu la casa costruiscila che poi una soluzione si trova”, “eh lo so ma alla fine la mafia è dappertutto se non ci parli tu lo farà qualcun altro” etc etc etc Siamo la prima e forse unica generazione che non è stata in grado di uccidere, metaforicamente parlando, i propri padri ed ora eccoci qui, in una società della post-verità dove tutto è concesso, dove le libertà appaiono infinite, ma non siamo liberi per nulla, perché schiacciati dalle menzogne che a furia di essere ripetute purtroppo divengono verità. Mi verrebbe da dire che saranno gli sfigati, i nerd, i sognatori prima o poi a cambiare il mondo ma purtroppo non è sempre vero; certo nel paese dove ho fatto le scuole superiori i superfighi di allora hanno una notevole pancia sovraesposta, sono imbolsiti e già stanchi di vivere, alcuni di loro sembrano mio padre (per l’età intendo) ed io invece ho la vita che ho sempre desiderato, una ragazza bellissima e continuo a sognare per me e per tutti. Ma, e c’è sempre un ma che lo si voglia o no, Matteo Boris seppur sia il più grande idiota e pezzo di merda che abbia conosciuto nella mia vita, è lì che troneggia e raccoglie giorno dopo i giorni i cocci di un paese ridotto in pezzi, per costruire il proprio trono e non certo per rimetterli a posto.
Sta a noi sfigati buttarlo giù da quel cazzo di trono e tenerceli alla larga, perché sarà pur vero che i populismi vanno e vengono ma i pezzi di merda restano sempre a galla e cambiano faccia di continuo.