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Marco Pannella, l’uomo che concesse il divorzio

L’attivismo di Marco Pannella rappresenta l’altra faccia degli anni Settanta: all’estremismo politico ideologico risponde con i diritti civili; ai gruppuscoli extraparlamentari, reagisce con le azioni dimostrative; al linguaggio settario oppone il trasversalismo libertario; alla contestazione ribatte con la non violenza.
A cura di Marcello Ravveduto
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Marco Pannella.
Marco Pannella.

Alla metà degli anni Sessanta il Partito radicale (nato dall’esperienza del settimanale “Il Mondo”) si consuma lentamente sull’onda delle polemiche interne. I leader storici si allontanano lasciando di fatto il partito nella mani della vecchia corrente di sinistra, capeggiata da Marco Pannella. Nel 1965, dopo un lungo silenzio, l’ex goliardico dichiara di voler superare le tare ideologiche che impediscono alla sinistra italiana di ritrovarsi sotto un’unica bandiera.

Tenta, perciò, di stabilire un dialogo con il Pci che non mostra interesse a confrontarsi con un soggetto politico dall’inconsistente organizzazione territoriale. I pochi dirigenti rimasti cercano di sopravvivere puntando sulla formazione di un movimento d’opinione che si concentra, dalla metà degli anni Sessanta, sul sostegno alla proposta di legge sul divorzio del deputato socialista Loris Fortuna.

Grazie a Pannella lo scottante tema passa dallo sterile dibattito culturale alla concreta iniziativa politica. Il divorzio è il fulcro intorno al quale si compatta il gruppo dirigente del nuovo Partito radicale. Il giovane leader lavora alla composizione di uno schieramento che, sin dall’esordio, prende una piega movimentista spiazzando la classe politica parlamentare: appello individuale di coinvolgimento; nessuna discriminazione politica o ideologica tra i partecipanti; rapporto costante tra manifestazioni di piazza e azione parlamentare; mobilitazioni singole o collettive.

Il primo dibattito pubblico è promosso dai radicali romani il 12 dicembre 1965; successivamente Pannella, in una conferenza stampa, annunzierà la costituzione della “Lega per l’Istituzione del Divorzio” (Lid). La Lega divorzista introduce la formula anglosassone del rapporto diretto tra cittadino/elettore e politico/rappresentante del popolo senza la mediazione dei partiti o di lobby privatistiche. Il merito maggiore è nel considerare il divorzio un’esigenza generale derivante dai processi di trasformazione del Paese.

Si susseguono una serie di manifestazioni nella Capitale in cui emerge la leadership di Marco Pannella che, nel 1969, inaugura la pratica dello sciopero della fame. Una forma di resistenza passiva tesa a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui temi dell’agenda radicale. La creazione della Lid restituisce vitalità al partito che diventa, grazie alla visibilità di Pannella, il fulcro dello schieramento divorzista. I militanti radicali sono i più attivi della coalizione laica, ma rimangono piccola cosa nel panorama dei grandi partiti di massa. Pertanto, con l’indizione del referendum sul divorzio, Pannella intuisce che è necessario strutturarsi in maniera omogenea sull’intero territorio nazionale, sfruttando il trasversalismo della Lega.

Così, durante il decimo congresso del partito, lancia la proposta della doppia tessera (si può essere radicali anche se iscritti ad un altro partito) trasformando il Pr in un contenitore a-ideologico mobilitato sull’ampliamento dei diritti civili. In sostanza si utilizzano le adesioni e le simpatie raccolte attraverso la Lid per convogliarle all’interno del partito ai fini della crescita organizzativa.

Il colpo di maestria lo realizza durante la campagna referendaria: comincia lo sciopero della fame per conquistare uno spazio televisivo nella Tribuna politica, chiusa alle forze non rappresentate in Parlamento. Nonostante la vittoria referendaria, la Rai rimane off limits per il leader dei radicali che, oltre alla partecipazione alla trasmissione televisiva, chiede di essere ricevuto dal Presidente della Repubblica come rappresentante delle minoranze extraparlamentari. Pannella vuole forzare il sistema creando un vulnus nella pratica istituzionale che non sarà più possibile ignorare.

A metà luglio, dopo oltre settanta giorni di digiuno, Pier Paolo Pasolini scrive: «La volgarità del realismo politico non trova alcun punto di connessione col candore di Pannella, e quindi la possibilità di esorcizzare e inglobare il suo scandalo. Il disprezzo teologico lo circonda. Da una parte Berlinguer e il Comitato centrale del Pci, dall'altra i vecchi potenti democristiani. Quanto al Vaticano è molto tempo ormai che lì i cattolici si sono dimenticati di essere cristiani (…) è il Partito Radicale, la LID (e il loro leader Marco Pannella) che sono i reali vincitori del referendum del 12 maggio. Ed è per l’appunto questo che non viene loro perdonato “da nessuno”… Anziché essere ricevuti e complimentati dal primo cittadino della Repubblica… Pannella e i suoi compagni vengono ricusati come intoccabili… Certo il Vaticano e Fanfani, i grandi sconfitti del referendum, non potranno mai ammettere che Pannella, semplicemente “esista”. Ma neanche Berlinguer e il PCI, gli altri sconfitti del referendum, potranno mai ammettere una simile esistenza. Pannella viene dunque “abrogato” dalla coscienza e dalla vita pubblica italiana».

Il caso Pannella esplode sulla stampa: lo scrittore friulano lo intervista per il settimanale «Il Mondo»; il «Corriere della sera» apre un dibattito, ripreso da altri quotidiani e periodici; gli intellettuali prendono posizione pro e contro lo sciopero della fame, a cominciare da Moravia e Sciascia. Giorgio Bocca, nella sua rubrica su «L'Espresso», lo difende e attacca il compromesso storico già operante fra comunisti e democristiani. Il Psi suggerisce che sia invitato a un dibattito tv sul "diritto di famiglia", in discussione al Parlamento.

Il 18 luglio 1974 viene ricevuto, a titolo personale, dal Presidente Giovanni Leone. Quella sera stessa lo convocano in via Teulada per registrare una trasmissione di Tribuna politica. Si presenta davanti alle telecamere con il suo maglione dolcevita e il pendaglio pacifista. Ignora le domande del moderatore, Gino Pallotta, per urlare che, dopo la vittoria referendaria, l’Italia non è diventata vittima di lesbiche e omosessuali, come aveva annunciato Fanfani. È indebolito dal lungo digiuno, ma trova la forza per inveire contro la legge criminogena che provoca aborti clandestini di massa, mentre le signore benestanti interrompono la gravidanza con 500mila lire in cliniche private, confortate dall'assistenza psicologica e da quella religiosa. Pallotta è impietrito, inerte, non osa interromperlo.

Aborto, lesbiche, omosessuali: non si sono mai sentite simili “sconcezze” alla tv italiana. Si tenta di censurare la trasmissione, ma si ottiene solo lo spostamento di canale, dal primo al secondo, e una variazione di orario, dalle nove alle dieci. Contemporaneamente si manda in onda su Rai Uno un programma di grande richiamo. Tutto inutile: Pannella ha il volto emaciato e fissa magneticamente l’obiettivo conquistando i telespettatori con la sua predica da “santone”.

Scrive Massimo Teodori: «… il digiuno non si configurava come antiparlamentare o anti-partiti, non era cioè un ricatto al parlamento, ma al contrario una sollecitazione a trovare l’energia per fare quel che essi avevano enunciato di volere, ma per cui non trovavano il tempo ed il rigore necessari… attraverso uno strumento apparentemente così individualistico… Marco Pannella… era riuscito a mobilitare intorno a sé energie di militanti radicali: questi, a loro volta, avevano consentito al leader, con il loro lavoro, di moltiplicare iniziative, campagne di stampa, pressioni e azioni dirette. Quel rapporto tra i due elementi dell’equazione politica radicale – il capo, che per eccezionale capacità di mobilitazione acquista caratteristiche carismatiche, e i militanti – si rafforzava in quella estate calda proprio in ragione della reciproca necessità tra i due elementi e quindi della loro complementarità».

La disobbedienza civile e lo sciopero della fame sono frutto di una volontaria drammatizzazione politica contrapposta all’ostracismo della partitocrazia. L’attivismo di Marco Pannella rappresenta l’altra faccia degli anni Settanta: all’estremismo politico ideologico risponde con i diritti civili; ai gruppuscoli extraparlamentari, reagisce con le azioni dimostrative; al linguaggio settario oppone il trasversalismo libertario; alla contestazione ribatte con la non violenza. Una strategia vincente che, grazie al carisma di Pannella, porterà alla ribalta la cultura della nuova sinistra in cui impegno politico e passione civile si saldano indissolubilmente.

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