Marco Masini: “Dissero che portavo sfiga come Mia Martini, ma ho vinto io e non solo a Sanremo”
Nella scorsa puntata de Le Iene, su Italia 1, tra gli ospiti musicali accorsi durante la serata è apparso anche Marco Masini. L'artista ha pubblicato lo scorso 4 ottobre il suo dodicesimo album in studio, dal titolo 10 amori. Il progetto ha esordito al 9° posto nella classifica FIMI degli album più venduti. Ma sul palco della trasmissione, Masini, che in passato ha anche partecipato alla rubrica "Iena per un giorno", si è prima esibito con alcuni classici del suo repertorio. Da Vaffanculo a Bella Stronza, prima di chiudere la trasmissione con Allora Ciao: l'autore toscano ha aperto una finestra sulla sua musica, per poi aprire una piccola parentesi sulla sua vita. Masini ha infatti interpretato un monologo autobiografico, diventata una rubrica della trasmissione, con il racconto di quanto sia stato difficile attraversare un momento buio della sua carriera, a causa di pregiudizi che lo allontanavano sempre di più dalla luce dei riflettori. Poi, il pianoforte come unico amico e la vittoria al Festival di Sanremo 2004 con L'Uomo Volante, 14 anni dopo il primo successo, questa volta nella sezione Nuove promesse, con Disperato.
Il monologo integrale di Marco Masini a Le Iene
Masini, nel monologo esibito a Le Iene, racconta la sua prima passione per la musica, anche attraverso il pianoforte, e la fama dopo il successo nelle Nuove Proposte del Festival di Sanremo 1990 con Disperato. Poi lo scontro con alcune persone del mondo dello spettacolo, le prime voci denigratorie e il buio assoluto che per 3 anni gli ha fatto abbandonare il mondo della musica. La caduta rappresenta però la catapulta per ciò che arriverà solo qualche anno dopo, quando al Festival di Sanrem0 2004 conquista la vittoria, questa volta nella sezione Campioni, con L'Uomo Volante. Qui il monologo integrale di Marco Masini a Le Iene.
Avevo 19 anni quando morì mia madre. Non credo esista un’età giusta per perdere la madre, ma 19 anni sono veramente pochi. A parte il calcio, era la musica la mia passione. E il pianoforte era il mio modo per anestetizzare il dolore. Quando iniziai a lavorare con la musica fu un sogno che si avverava. Facevo il pianista per cantanti famosi avevo poco più di vent’anni e provavo qualcosa che assomigliava alla felicità. Poi è cambiato tutto velocemente. Si accorsero che cantavo bene, ho partecipato a Sanremo e ho vinto. Il successo, i soldi, un ingannevole senso di onnipotenza. Forse non ero preparato a tutto quello, forse ho fatto degli errori, mi sono comportato in modo sbagliato con persone che non lo meritavano, o con persone importanti del mondo dello spettacolo. Mi sentivo al di sopra di tutti. Macchine costose, una casa nuova, ero convinto che sarebbe stato così per sempre. Qualcuno nell’ambiente cominciò a far girare quelle voci fastidiose. Sai, quelle cose odiose che dicevano già da tempo anche di una grande artista che poi si tolse la vita. E porta sfiga, emana energie negative. Ma l’unica persona a cui avevo portato sfiga ero io. E non per delle superstizioni stupide, ma perché, abbagliato da quel successo troppo veloce, avevo perso di vista quello che veramente era importante per me. La musica. In poco tempo mi ritrovai senza contratti discografici, senza tv che mi ospitavano, senza radio che mi trasmettevano, senza concerti. A un certo punto decisi di smettere. Ero di nuovo al punto di partenza: io, un dolore, e un pianoforte. E sono stato fortunato perché è stato allora che ho ritrovato quella passione che mi muoveva da ragazzo. La voglia di suonare, cercare note e parole, raccontare storie. Poi ci sono tornato a Sanremo, ho anche vinto di nuovo, ma stavolta era diverso. Un secondo calcio di rigore, quando già ne avevo sbagliato uno. E non importa se non sono più i milioni di dischi dei vent’anni, non importa neanche se non ce li ho più vent’anni. Quando capisci che, molto più dei numeri e dei trofei e delle macchine, conta quella passione che ti muove da sempre, allora quel rigore, stavolta, lo segnerai. Con un po’ di fortuna.