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Maniaci D’Amore parlano di “Morsi a vuoto” (INTERVISTA)

“Morsi a vuoto” è il nuovo spettacolo del duo siculo-pugliese “Maniaci D’Amore”: un viaggio nel disagio giovanile contemporaneo alla disperata ricerca del senso perduto.
A cura di Andrea Esposito
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“Che cos’è cabaret, farsa, comicità pura e semplice o c’è dietro qualcosa?”. Inaspettatamente a porsi questa domanda non sono gli spettatori che hanno visto “Morsi a vuoto”, lo spettacolo appena passato al Piccolo Bellini di Napoli, ma gli stessi autori-attori Francesco D’Amore e Luciana Maniaci, in arte “Maniaci D’Amore”. “Il nostro modo di affrontare il tragico con gli strumenti della commedia e della farsa – si chiedono ancora – è frutto della volgarità dei nostri tempi o è un nuovo modo di esprimere il disagio contemporaneo?”. Insomma, come avrete già capito, nella poetica di questa nuova e interessantissima coppia del teatro italiano non c’è spazio per alcuna presunzione giovanilista, anzi… Ma procediamo con ordine.

Chi sono "Maniaci D’Amore"?

Francesco D’Amore (31enne di origini baresi) e Luciana Maniaci (29enne nata a Messina) si conoscono nel 2006 tra i banchi della Scuola Holden di Torino dove frequentano il Master in Tecniche della Narrazione. Entrambi laureati, rispettivamente in Letterature comparate e Psicologia criminale, decidono indipendentemente l’uno dall’altra di dedicarsi alla scrittura, ma finiscono entrambi per seguire il ciclo di laboratori “Links”, guidati da Roberto Tarasco e Gabriele Vacis. Qui scoprono la propria vocazione per la recitazione che li porterà, una volta diplomati, a dare vita al progetto “Maniaci D’Amore”. Dal 2007 ad oggi, il duo siculo-pugliese è stato molto attivo, specialmente nella zona di Torino, dove ha collaborato oltre che con Roberto Tarasco, che ha curato la regia dei loro primi spettacoli, e Gabriele Vacis, per la stesura dei testi di “Amleto a Gerusalemme” (2009), anche con Marco Ponti in “Monologhi nell’Aldilà” (2009). “Morsi a vuoto” è il loro terzo spettacolo che fa seguito a “Il nostro amore schifo” (2009) e “Biografia della peste”, finalista al Premio Scenario 2011 e vincitore del Premio Nazionale di Drammaturgia Il Centro del Discorso. Nel 2013 sono stati tra i finalisti del Premio Solinas Idee per Il Cinema col soggetto per un film scritto con Fabio Bonfanti.

"Morsi a vuoto", la trama

Protagonista della vicenda è Simona, una giovane donna ossessionata dagli smeraldi che prova a risolvere i propri conflitti interiori attraverso la psicoterapia. L'analista, innamorato di lei, le preannuncia che presto una persona entrerà nella sua vita per resituirle la voglia di vivere (che lei pare aver smarrito). Non si tratterà, però, di un nuovo amore che le darà felicità e ricchezza, ma di un "ladrone" pugliese che cercherà di ucciderla. Solo dopo questo evento traumatico Simona prende coscienza della vacuità dei suoi valori e scopre di essere vittima di un grande imbroglio.

"Morsi a vuoto", alla ricerca del senso perduto

“I morsi a vuoto sono i morsi della fame, della coscienza, del dubbio. Sono le nostre insoddisfazioni, i blocchi, le impossibilità con cui siamo cresciuti. Sono tutte queste cose terribili che portiamo sempre con noi. E che ci stanno bene. Perché siamo giovani, allegri e ironici”. Questa la spiegazione che i Maniaci D’Amore danno del titolo dello spettacolo e che ci porta subito al cuore del loro discorso: l’ironia. Come ci hanno raccontato durante l’intervista uno dei punti fondamentali della riflessione, non solo di “Morsi a vuoto”, è l’incapacità di stare nel tragico, o forse l’impossibilità, oggi, di fare un discorso tragico. Entrambi si chiedono: “questa nostra tendenza a sdrammatizzare tutto, a cercare sempre una scappatoia ironica, in buona sostanza a ridere delle nostre disavventure, è il frutto della volgarità dei tempi, dell’incapacità di confrontarsi con se stessi o è un nuovo modo, ‘una nuova intelligenza’, che indica piuttosto una capacità diversa di essere in contatto col proprio vissuto? Ora derubricare questo discorso, come ormai è di moda, a una semplice manifestazione del disagio generazionale non basta. “Morsi a vuoto” è un tentativo, che quindi contempla in sé l’errore, la caduta, di esprimere attraverso una narrazione, una storia, molti aspetti di quello che Recalcati qualche tempo fa teorizzò come “Complesso di Telemaco”. E specialmente per quel che riguarda il discorso sulla impossibilità di “ereditare” e sulla crisi profonda del cosiddetto “processo di filiazione simbolica” alla base, secondo lo psicanalista lacaniano, del nuovo disagio della Civiltà, i cui sintomi sono la tossicomania, il panico, la depressione, le dipendenze patologiche. Simona, la protagonista della vicenda, concentra la sua dipendenza sul denaro (nel testo assume il corrispettivo simbolico degli smeraldi) perché ha bisogno di appagare un’esigenza irreprimibile di godimento. E che cos’è questo godimento se non una nuova forma perversa di ricerca di senso? Il tramonto dei padri, ancora secondo Recalcati, portando con sé l’impossibilità di trasmissione del desiderio tra le generazioni riduce la vita a un mero evento di natura, sganciato dal senso. È di questo che soffre Simona, di una mancanza di senso e della mancanza dell'Altro. Non è un caso che nella prima parte del testo ci sia una scena in cui viene ricostruita la reazione che il primo uomo ebbe di fronte al manifestarsi in natura dello “smeraldo” che, anziché generare un grido (che per Lacan è il luogo primario dell’umanizzazione, della ricerca dell’Altro da sé), genera, con un abile rovesciamento ironico, un: “Wow!”.

L’easter egg con Filippo Renda

“Morsi a vuoto” sancisce l’incontro tra la compagnia “Maniaci D’Amore” e il giovane regista milanese ma di origini meridionali Filippo Renda. Dato che la compagnia ha già una discreta riconoscibilità e i due componenti del gruppo sono oltre che attori  anche drammaturghi, la figura del regista rischia di finire in secondo piano, se non addirittura di essere totalmente omessa. Con Renda abbiamo discusso dello spettacolo ma purtroppo in sede di montaggio non c’è stata la possibilità di inserire un suo contributo. Ma c’è anche un altro motivo. La parte, secondo noi, più interessante della conversazione avuta col regista riguarda, per così dire, degli aspetti più generali legati al teatro, a cosa significhi per un 26enne fare teatro oggi. Ebbene le risposte di Renda sono così interessanti che abbiamo pensato di inserire un breve estratto dell’intervista come “easter egg” a fine video. Non perdetelo!

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