L’ultima proiezione del cinema Odeon: dovrebbero essere i centri commerciali a fare spazio all’arte
Mi sono sempre chiesto come mai quando avviene la scomparsa di personaggi noti, veniamo spesso mossi a commozione, come se quella perdita ci appartenesse, come se avessimo perso un nostro caro. Ieri, dopo tanto tempo, ho avuto la mia risposta: il glorioso, secolare cinema Odeon ha chiuso per sempre le sue porte. E ieri, per molte e molti compreso me, che amano e vivono questa città, è stata una veglia per l’ultima proiezione.
Il Cinema Odeon è storico, bellissimo, aperto nel 1803 come teatro, poi utilizzato come centrale elettrica, inaugurato nel 1929 come cinema, a parte una chiusura forzata durante la guerra, non ha mai smesso di essere il cinema di Milano, a fianco del Duomo, il primo multisala della città, quel cinema dove "oh ci vediamo lì davanti e poi decidiamo che film vedere". Al suo posto, dalle sue ceneri, nascerà un centro commerciale "di lusso", dicono.
Ieri abbiamo deciso, io e la mia ragazza, di portare il nostro bimbo e la nostra bimba a dirgli addio, a salutarlo guardando un film prima che chiudesse. Pensavamo a un normale pomeriggio "con la banda dei quattro" ma non potevamo sapere come sarebbero andate le cose. Perché ieri, nei portici dove sono esposti i manifesti dei film con gli orari di programmazione, si è consumata una veglia dei cittadini e cittadine di Milano, degli amanti del cinema, di chi vorrebbe un paese dove la cultura e la bellezza abbiano un peso maggiore, dove la memoria storica non sia solo un fardello, dove non tutto debba necessariamente essere esposto sull’altare del profitto, dove i centri commerciali chiudono e al suo posto aprono teatri, cinema, librerie, sale da ballo, sale concerti, bocciofile (lo so che queste ultime non c’entrano nulla ma piacciono a me). Un gioiello, uno dei cinema storici più belli d’Europa, forse secondo solo al Tuschinski Theater di Amsterdam, che è un luogo d’interesse culturale e turistico dove si organizzano anche visite guidate e non tempio del commercio.
C’è una giovane donna elegantissima, tutta di rosa vestita nelle sue varie declinazioni, che va a vedere con la sua mamma Barbie, "perché – mi dice – proprio con lei qui ho visto il mio primo film quando ero piccolina". Ci sono videomaker e giornaliste che intervistano il pubblico pagante, ci sono gruppi di curiosi che vorrebbero anche solo poter vederlo prima che chiuda, qualcuno che passa solo per un saluto, ci sono i lavoratori e le lavoratrici che ad oggi non hanno avuto nessuna – e ripeto: nessuna – comunicazione ufficiale riguardo le sorti del loro lavoro, c’è la dipendente del cinema The Space, una dolce bionda signora con i capelli raccolti, che all’ingresso non riesce a smettere di piangere mentre strappa i biglietti di chi entra in sala, ma fra tutti chi mi attrae come calamita è una dolce, piccola vecchina, con gli occhi blu e vivaci, pieni di vita nonostante di vita ne abbia vissuta parecchio. "Lei è uno screanzato, non si dovrebbe chiedere l’età a una signora…" e ride moltissimo accarezzando i capelli della piccolina. "Sono del ’34, faccia lei i conti". "Mah guardi, io non le avrei dato più di sessant’anni…" e ride, quasi arrossendo come fosse una ragazzina.
"Ho visto tantissimi film qui, prima con i miei genitori, poi con mio marito che non c’è più, dopo con i miei figli e poi con i nipotini, non ho mai smesso di venire qui. Prima ci venivo sempre, quasi ogni giorno… i film belli quelli di una volta con Sordi, Gassman poi con la vecchiaia sceglievo solo i filmoni, quelli che mi piacevano di più. Il mio primo film l’ho visto qui con la mia mamma e il mio papà…". Si ferma, si commuove guardandoci, dice che le ricordiamo la sua famiglia, le si rompe la voce e allora intervengo e la faccio ridere facendole il baciamano e dicendole che è stato un privilegio conoscerla. Va via, e con lei e con l’Odeon, come lei stessa dice, va via un pezzo di storia.
Poi c’è Patrizia, bellissima, con un sorriso stupendo, di quelli contagiosi in grado di spargersi sui volti di chi le sta vicino anche se sconosciuti: abbraccia il suo bimbo e la sua bimba, se possibile più belli di lei, e con gli occhi blu e grandissimi immersi nelle lacrime, guarda la gente sfilare, mentre parla con quella bellissima vecchina anche lei. Quando le chiedo perché piange mi risponde che non lo sa e ride: "È come se mi passasse tutta la vita davanti, la rivedo attraverso tutti i manifesti dei film che erano appesi qui sotto i portici. Quando ero ragazzina e bigiavo scuola venivo qui, qui ho visto il mio primo film in lingua originale, ‘Speed' e ancora me lo ricordo perché venire da sola mi faceva sentire grande. E poi le mie prime volte che sono venuta al cinema era qui con i miei genitori". Fa una lunga pausa e dice: "E non ci sono più…". E gli occhi blu diventano ancora più grandi, illuminati dal riflesso delle lacrime e nonostante tutto sorride, mentre abbraccia il suo piccolino e la sua piccolina e contagia tutti intorno. E in quel momento, se possibile, mi appare ancora più chiaro perché io sia innamorato di lei senza sosta da vent’anni.
Il nostro bimbo e la nostra bimba non comprendono del tutto quello che sta accadendo intorno e non capiscono perché la loro mamma stia piangendo, ma insieme, abbracciati, nel mezzo di questa folla che continua ad attraversare la galleria e far foto, sembrano una cartolina mandata da un viaggio nel tempo, quelli che si fanno solo nei film. Guardando loro due, rivediamo noi bambini immersi nella magia del cinema: occhi grandi e spalancati, con quel senso di meraviglia per le cose del mondo, che perdiamo diventando grandi ma che disperatamente cerchiamo poi di ritrovare.
Abbiamo deciso di salutare il glorioso Cinema Odeon, andando a vedere l’ultima avventura di Indiana Jones, all’ultima proiezione dell’ultimo giorno. Sembra quasi letteratura, lo so, quasi finzione per i vari cerchi (o quadranti appunto come il titolo del film) che si incastrano in questa piccola storia: è il capitolo conclusivo della quarantennale avventura di Indy – in cui il professore va letteralmente in pensione con una sorpresa finale che farebbe piangere e commuovere anche il cuore più pigro, figuriamoci chi piangeva già prima di entrare – e in più Indiana Jones è anche il primo film che io abbia mai visto al cinema in tutta la mia vita, accompagnato dal mio papà (era uno dei suoi film preferiti) che mi ha tramandato la grande passione per raccontare le storie e adesso non c’è più. Quindi non è difficile immaginare quanto io cercassi inutilmente di trattenere il fiume di lacrime sulle poltrone allungabili (sì, meraviglia delle meraviglie: puoi anzi potevi guardare un film al cinema steso come sul divano di casa tua) della sala Suite del glorioso cinema Odeon, mentre nel buio apparivano i primi titoli di coda.
Ed è tutto vero, perché come diceva Emir Kusturica a proposito di uno dei film più belli della storia del cinema che ho visto ovviamente all’Odeon, “Underground”, spesso la realtà supera di gran lunga la fantasia ed è per questo che il cinema deve essere, "uno spettacolo più grande della vita stessa".
Quando ormai tutti sono andati via e la piccola sala resta vuota, ci fermiamo noi quattro per un piccolo saluto e far delle foto: ed ecco che, anche qui come in un film scritto da altri, entra proprio quella signora che avevamo visto piangere mentre strappava i biglietti all’ingresso della galleria, per pulire la sala e parla con noi mentre il nostro bimbo e la nostra bimba ascoltano con gli occhi grandi, senza dire nemmeno una parola, cosa assai strana per il loro temperamento e per la loro età che spesso li porta a dire dopo 37 secondi di attesa “Andiamo!” con tono supplichevole e imperativo.
"Faccio il mio lavoro, come ho sempre fatto, fino all’ultimo perché così mi hanno insegnato…". Poi si ferma, commossa e ci guarda: "Ho lavorato qui per vent’anni e ho amato tanto il mio lavoro perché mi sentivo parte di qualcosa anche a costo di grandi sacrifici, perché qui non esiste Natale, Capodanno o altre feste e se hai una famiglia non è facile. Ma lasciarci così senza dire nemmeno una parola, una mail, un avviso, un ringraziamento o anche solo semplicemente farci sapere cosa sarà delle nostre vite da domani mattina, questo no! Mi riempie di rabbia e di dolore: ho avuto più affetto dal pubblico in queste ore…". Non finisce la frase e abbassa la testa piano e poi con voce sottile chiede alla mia ragazza: "Ti posso abbracciare?". E poi abbraccia anche me e i bimbi. Silenzio. E allora intervengo e faccio una battuta idiota, perché non resisto, è più forte di me: "Ma domani cosa danno in sala grande? Ah no…". E ridiamo. Stacco. Scena successiva.
Portiamo i piccolini a vedere la sala grande prima che la chiudano per sempre. E chi non ha mai visto un film nella Sala 1 del glorioso cinema Odeon non può comprendere cosa voglia dire: immaginate una grande, meravigliosa, mastodontica sala da ballo art decò, con tappezzeria, lampadari, applique, colonne, intarsi, con una grande galleria sopra di voi con balaustre decorate in legno intarsiato, pensate alla sala del Titanic da cui Rose e Jack fuggono per andare e ballare a perdita fiato in terza classe (senza però domandarvi adesso se Jack ci sarebbe stato sul pezzo di legno insieme a Rose) e ovviamente immaginate di vedere quel film in quella sala, su quello schermo circondato da fregi e merletti sul quale campeggia la scritta “Ex Taenebris Vita”, “Dalle tenebre nasce la vita”. È un delitto, un crimine contro l’umanità privare una città, un paese, di un luogo così simbolico, meraviglioso, carico di storia, bellissimo.
Molte persone dentro, dopo l’ultima proiezione, scattano foto, si fanno selfie, riconosco un paio di influencer che si fanno ritrarre in video verticali mentre raccontano, commossi, la fine di un tempo che a loro non appartiene e poi allo stop, ridono disinteressati e si dedicano a farsi fotografare in pose strambe. Un ragazzo, con una polo nera con su scritto “The Space Cinema”, uno di quelli che ancora nulla sa del proprio destino di lavoratore, urla “Evviva l'Odeon” e parte un lungo e commovente applauso di tutta la sala. Qualcuno urla “Abbasso la proprietà!” e molti ridono e applaudono più forte. Ero io. Poi, piano, per paura di non far troppo forte, usciamo dalla sala e abbandoniamo per sempre il glorioso cinema Odeon.
Buio. Titolo. Musica. Titoli di coda. Dall’oscurità nasce la vita, dal buio della sala nascono le storie più belle: "Il film più bello della mia vita, l’ho visto qui, con il mio papà e la mia mamma. Mi hanno portato al cinema dopo anni che non si poteva andare, subito dopo la guerra, me lo ricordo ancora ‘Ogni giorno è domenica‘. Dopo tanta oscurità, finalmente vedevamo la luce".
Una piccola, bellissima signora con gli occhi grandi, blu e vivaci, con 89 anni di film e storie da raccontare, guardava la galleria del glorioso cinema Odeon con la malinconia delle cose che non avranno più cominciamento.