Di cosa parla Quaderni di Serafino Gubbio operatore, il romanzo di Luigi Pirandello alla Maturità 2024
I circa 500 mila studenti che devono affrontare i temi della prima prova scritta dell'esame di Maturità 2024, oltre a dover confrontarsi, tra le altre cose, con l'analisi del testo di una poesia di Giuseppe Ungaretti, "Pellegrinaggio", possono anche scegliere di analizzare un testo tratto dal romanzo di Luigi Pirandello "Quaderni di Serafino Gubbio operatore" del 1925 in cui lo scrittore affronta il tema del progresso tecnologico e riflette sui possibili effetti che potrà avere sull'uomo. Il romanzo arriva proprio a seguito della cosiddetta Seconda Rivoluzione industriale di fine 800, quando la tecnologia comincia ad avere sempre più effetti sulla vita dell'uomo.
Il testo tratto da Quaderni di Serafino Gubbio operatore di Pirandello
Questo è il testo scelto dal Ministero dell'Istruzione e Merito per la prima traccia dell'Esame di Maturità. Un passo – da pagina 12 a pagina 14 – tratto dal romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore di Luigi Pirandello, nell'edizione Feltrinelli curata da Simona Micali del 2017.
“Soddisfo, scrivendo, a un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico, anche; e con me vendico tanti, condannati come me a non esser altro, che una mano che gira una manovella.
Questo doveva avvenire, e questo è finalmente avvenuto!L'uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s'è messo a fabbricar di ferro, d'acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse.
Viva la Macchina che meccanizza la vita!”
“Vi resta ancora, o signori, un po' d'anima, un po' di cuore e di mente? Date, date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare.
Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?”“È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni.
La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l'anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine? Ecco qua: in pezzetti e bocconcini, tutti d'uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli sù, uno su l'altro, una piramide che potrebbe arrivare alle stelle. Ma che stelle, no, signori! Non ci credete. Neppure all'altezza d'un palo telegrafico. Un soffio li abbatte e li ròtola giù, e tal altro ingombro, non più dentro ma fuori, ce ne fa, che – Dio, vedete quante scatole, scatolette, scatolone, scatoline? – non sappiamo più dove mettere i piedi, come muovere un passo. Ecco le produzioni dell'anima nostra, le scatolette della nostra vita!“Che volete farci? Io sono qua. Servo la mia macchinetta, in quanto la giro perché possa mangiare. Ma l'anima, a me, non mi serve. Mi serve la mano; cioè serve alla macchina. L'anima in pasto, in pasto la vita, dovete dargliela voi signori, alla macchinetta ch'io giro. Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io"
Il commento al testo tratto da Quaderni di Serafino Gubbio alla Maturità 2024
Pirandello comincia questo passaggio con un ritmo dato dall'allitterazione della "s" (come si vede dalla sequenza di "soddisfo", "scrivendo", "sfogo", "scarico"). Pirandello usa Serafino Gubbio per lamentarsi della meccanicizzazione della vita in contrasto all'arte della scrittura che lui stesso, spiega, usa come vendetta: scrive per vendicare quelli "condannati come me a non esser altro, che una mano che gira una manovella". C'è il rimpianto di ciò che era, ancora in contrasto tra la scrittura, la poesia, e la fabbrica, dell'uomo che prima "deificava i suoi sentimenti e li adorava" e poi, dopo averli gettati perché divenuti un peso per la società, è diventato servo della fabbrica, assumendo il ferro e l'acciaio, come nuove divinità voraci, che si cibano, come si legge immediatamente dopo, dell'anima, del cuore e della mente degli uomini, come si evince quando Pirandello scrive ironicamente: "Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?”.
La critica di Pirandello è verso l'essere umano che ha creato le macchine che stanno man mano prendendo il potere e il posto degli esseri umani: "il trionfo della stupidità" lo definisce lo scrittore, che parla dell'impegno messo per creare macchine che sono diventate, poi, i nostri padroni. Macchine che "bisogno di ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita" che ci ridaranno "in pezzetti e bocconcini, tutti d'uno stampo, stupidi e precisi" che danno l'illusione di poter arrivare alle stelle ma che Pirandello spiega "Un soffio li abbatte e li ròtola giù, e tal altro ingombro" facendone "scatole, scatolette, scatolone, scatoline?" (con l'allitterazione della "s" che torna, sorniona).
Questo passaggio si chiude con una visione che Serafino Gubbio dà del futuro, un futuro a cui, in parte, vorrebbe sottrarsi. C'è disillusione ("Che volete farci? Io sono qua. Servo la mia macchinetta, in quanto la giro perché possa mangiare") ma Gubbio dice che a lui poco importa dell'anima perché in questa nuova società serve la sua mano, e che siano gli altri a dare l'anima in pasto alla macchina: "Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io".