Effetti collaterali dell'avanzata del Movimento 5 stelle direbbe qualcuno. Ma anche la fine di un rapporto mai idilliaco e sempre complicato, anche se decisamente proficuo, va detto. Si potrebbe sintetizzare in questo modo la decisione di Luca Telese di abbandonare Il Fatto Quotidiano e di dar vita ad un nuovo giornale, per il quale ha scelto il nome "Pubblico" e individuato già una struttura (un quotidiano cartaceo di 20 pagine) e una data di lancio, il 18 settembre. Ad ufficializzarlo lo stesso Telese che, in una intervista ad Angel Frenda sul Corriere della Sera, spiega come il punto di rottura è stato "l'appoggio" diretto o velato al Movimento 5 Stelle, che avrebbe toccato il punto più alto dopo i ballottaggi delle amministrative.
La decisione finale racconta di averla presa dopo un titolo in particolare, anzi: "un rutto: Parmacotti. […] Io tornavo dalla Francia, dalla festa per Hollande. L'ho letto e ho detto basta". Una scelta che si inserisce in un solco più ampio, quello del difficile "riposizionamento" del giornale:
"La mission del giornale si è esaurita. Non è passato dalla protesta alla proposta. Quando il Governo Berlusconi è caduto, ci siamo chiesti: ora cosa dobbiamo cambiare? Travaglio ha detto: nulla. Io ho risposto: tutto. Ecco perché vado via. Perché non puoi continuare, a guerra finita, a mozzare le teste dei cadaveri sul campo. Non puoi solo demolire. E' il momento di costruire".
Ed è probabilmente proprio la distanza siderale con Marco Travaglio ad aver convinto Telese della necessità di dar vita ad un altro "piccolo centro studi del cambiamento", che si avvarrà anche della collaborazione di Federico Mello, Manolo Fucecchi, Tommaso Labate, nonché di firme di primissimo piano come Corrado Formigli, Francesca Fornario e Ritanna Armeni. Del resto, con l'opinionista torinese i rapporti non erano mai stati eccellenti: "Due culture diverse avrebbero potuto convivere. Ma con Marco non si parla. In una discussione ha due reazioni: se è arrabbiato gira il collo a 37 gradi da un lato, tace e gli si gonfia una vena. Se non è d'accordo sorride. Non è interessato al dibattito democratico". Insomma, una nuova esperienza che sembra nascere in un momento particolarmente delicato per l'editoria italiana, con la crisi endemica del settore e il tanto discusso intervento del Governo sul fondo editoria. Resta in effetti da capire come mai Telese abbia scelto di puntare ancora sul "cartaceo", con tutto ciò che comporta in termini di costi, organizzazione e "linea". E, lo diciamo sommessamente, forse un po' di coraggio in più nell'abbandonare un "certo modello" non avrebbe guastato.