Luca Pacioli, il misterioso frate francescano che insegnò la matematica a Leonardo da Vinci
Cosa hanno in comune Leonardo da Vinci, Bramante, Piero della Francesca e Leon Battista Alberti, oltre al fatto di essere alcune tra le figure più importanti del Rinascimento europeo? Il filo rosso che li collega è un frate francescano nato a Sansepolcro, appassionatissimo di scacchi e riconosciuto come il padre della ragioneria: si tratta di Luca Pacioli, una delle figure più in ombra ma allo stesso tempo più rilevanti del sapere moderno. Ecco perché.
La sua opera più famosa, la De Divina Proportione, è stata il best seller che ha contribuito a diffondere in Europa le applicazioni della sezione aurea che vediamo esplicitate (o nascoste) nei più celebri capolavori del Rinascimento. Pacioli venne dimenticato per quasi due secoli, ma a cavallo fra Quattro e Cinquecento era stato talmente famoso da meritarsi un ritratto, enigmatico quasi quanto la sua figura, oggi conservato a Napoli. Questo frate toscano fu apprezzato e celebrato da Erasmo da Rotterdam, studiò con Piero della Francesca ed ebbe come allievo addirittura Leonardo: Pacioli fu una vera e propria “super star” del Rinascimento.
Pitagorismo, platonismo e teologia coesistono in modo perfetto nell’idea del frate: ed è la matematica a spiegare questo connubio perfetto di suggestioni, tanto complesse quanto lo è il creato stesso. Nella sua opera principale, la Divina proportione, matematica e metafisica coesistono, riassumendo appieno lo spirito rinascimentale: tutti i saperi sono connessi fra loro, non esistono speculazioni fini a se stesse bensì ogni elemento è utile a comprendere l’architettura divina di cui l’uomo è pilastro fondante.
Pacioli e Leonardo
Fu nel 1497 che Luca Pacioli, giunto a Milano su invito di Ludovico il Moro, conobbe personalmente Leonardo da Vinci. Iniziò in quel momento un sodalizio intellettuale che diverrà la chiave di svolta tanto per le ricerche del frate che per le opere del maestro: sarà proprio Leonardo a realizzare le illustrazioni delle uniche tre copie originali del De Divina Proportione, opera riassuntiva di tutto il suo pensiero.
Dei tre manoscritti sono sopravvissuti solo due: uno conservato a Ginevra, che all’epoca fu dedicato proprio a Ludovico il Moro, e l’altro conservato a Milano nella Biblioteca Ambrosiana. Si tratta di documenti unici, che testimoniano tanto l’influenza degli studi matematici di Pacioli sulle opere leonardesche, primo fra tutti l’Uomo vitruviano, quanto il fascino che la figura di da Vinci doveva aver esercitato sul frate.
Il ritratto: la nuova matematica di Pacioli
Luca Pacioli fu talmente famoso durante il Rinascimento da meritarsi un ritratto, un onore riservato a pochi: lo vediamo in una tela attribuita al veneziano Jacopo de’ Barbari e oggi conservata alla Pinacoteca del Museo di Capodimonte, a Napoli. La composizione e la datazione dell’opera sono ancora oggi controverse, ma ciò che resta di estremo fascino è il racconto celato dietro le immagini.
L’identità del giovane ritratto accanto a Pacioli è ancora sconosciuta, ma così non è dell’altro celeberrimo protagonista del quadro: il rombicubottaedro raffigurato al lato del frate matematico. Un rimando simbolico chiarissimo alla geometria archimedea che, insieme agli altri oggetti sparsi sul tavolo da lavoro di Pacioli, raccontano la sua idea particolarissima ed innovativa di scienza matematica. L’interpretazione più accreditata del dipinto è quella che legge nella sua composizione un vero e proprio momento di svolta nello studio della matematica e della geometria moderne: il momento in cui Pacioli elabora, cioè, i suoi studi sulla sezione aurea.
Un’idea che poggia le basi sulle suggestioni euclidee, come suggerito dal volume aperto dinanzi al matematico, e sulla necessità di rendere pratica una disciplina che fino a quel momento era stata principalmente speculativa: gli strumenti da disegno, insieme a calamaio e gesso, sono sparsi sul piano da lavoro proprio a testimonianza di ciò. Sopra la copia rilegata in rosso della Summa de Arithmetica, scritta proprio da Pacioli, spicca un solido riconducibile al dodecaedro platonico: altro rimando alle basi degli studi innovativi del frate.