“Lo sgarro” della Garbatella e la narrativa di quartiere
Dai ‘poeti der trullo' ai ‘soggetti seriali', da Gomorra a Scampia, fino ad Ostia nel film di Caligari, il gusto autentico per la narrativa e il cinema di quartiere continua a farsi strada con un forte riscontro da parte del pubblico. Storie autentiche, tangibili, che sanno di vissuto e romanzate assumono quel tocco di magia e diventano memorabili. È stato così anche per Leonardo Jattarelli, giornalista de Il Messaggero per la sezione cultura, scrittore e regista teatrale.
Leonardo Jattarelli, tra giornalismo, letteratura e teatro
Dopo "RottAmami", edito da Galassia Arte, romanzo ‘on the road', dedicato ad un'intrigante storia d'amore e sregolatezza e dopo rappresentazioni teatrali dai forti toni introspettivi come "Schizzata", "Contatti" e "Come un pacchetto vuoto di Chesterfield a mezzanotte", incentrate sui meravigliosi e complessi universi dei rapporti umani, col suo ultimo romanzo "Lo sgarro" sceglie invece di dare spazio alla letteratura di quartiere. "Lo sgarro" è edito da NED, casa editrice innovativa per le scelte di distribuzione. Spiega infatti l'editore Pier Paolo Mocci: "C'è bisogno di recuperare il rapporto diretto con il lettore, creare spazi di conversazione e di confronto. Il 3 Luglio, ad esempio, saremo alle 20 al Bar dei Cesaroni in Piazza da Triora, nel cuore della Garbatella e il 4 con il concerto di Luca Chiaraluce Bossanova Standard alle 19 al Sonus Factory in via Corvisieri". Ad emergere nel romanzo, ora in tour per le tappe di presentazione, è il lato verace, autentico, di uno dei rioni romani più caratteristici, la Garbatella: Jattarelli si diverte a dare voce ai volti che lo caratterizzano, a costruirli e ad incastrali a regola d'arte in un giallo, allargando la lente sull'anima di Roma, la sua città da sempre.
L'intervista
Hai scritto un ‘romanzo di rione', "Lo sgarro", cosa ti ha spinto a ritornare a scrivere dopo il tuo penultimo libro "Rottamami", storia del tutto differente, legata all'eros e all'amore? Quale aneddoto, quale visione ha creato la necessità di raccontare le atmosfere della Garbatella?
Un romanzo di Rione, dici bene. Perché la Garbatella, che è il teatro in cui si muove l’intera vicenda raccontata nel mio libro, ha mantenuto tutte le caratteristiche di un quartiere popolare che è riuscito a non smarrire la sua anima anche con il restyling degli ultimi decenni. È ormai il mio quartiere, ci abito da 25 anni, ed è un territorio “garbato”, ti risucchia non appena inizi a conoscerlo bene, a studiare le sue origini, a capire il suo dna. Un mix di genuinità, romanità verace, dialetto nobile, mistero, leggenda. Ecco, tutto questo ha creato in me la necessità, il piacere di rendergli omaggio attraverso una storia “noir”, un meccanismo narrativo che affronto per la prima volta con tutte le sue estreme difficoltà. Un triplo salto mortale rispetto al mio precedente “RottAmami”, romanzo di introspezione, un gioco a tre, lei-lui-l’altro ambientato in una terra di nessuno, tra le quattro mura di un vecchio casale abbandonato che affaccia sul mare. Uno sguardo narrativo che è quello che mi appartiene di più e al quale ora vorrei tornare.
Nel tuo romanzo hai abbinato un mood popolare, in tutta la sua tipicità, al giallo fino a sfiorare i toni del noir. Come trovi queste sfumature di genere?
Il giallo di per sé è popolare. Cosa sarebbe Maigret senza la Parigi dei sobborghi, delle brasserie, o il Simenon di provincia, dei piccoli paesi dove il delitto diventa quasi un “caso” nazionale? E il Montalbano di Camilleri senza gli odori e le meraviglie barocche di Vigata? Ecco, probabilmente proprio per questo ho scelto il noir per raccontare la storia di Carla Palumbo, dell’ex poliziotto Rocco Sigaro, di Pompa e Pesciolino. Serviva un genere che rendesse “familiari” al lettore i vari personaggi, che li stringesse attorno ad un avvenimento forte, dirompente. La comunità del rione partecipa attivamente alle indagini, si interroga, prova rabbia e dolore per l’omicidio di una ragazza che è una di famiglia in un certo senso. Con l’aggiunta del mistero e delle tante leggende che popolano l’antica storia della Garbatella fin dai tempi dell’Impero per arrivare agli anni ’20 quando Vittorio Emanuele III pose la prima pietra del quartiere costruito sul modello delle città-giardino inglesi.
Le radici di ogni realtà affondano sempre nei sottoborghi, una consapevolezza illuminante: a quale personaggio ti sei particolarmente affezionato, dipingendo questi contesti? Quale di più identifica l'anima del romanzo?
Il personaggio di Rocco Sigaro è quello che avverto con maggiore partecipazione emotiva. Perché è il vero antieroe che diventa “super”, è “l’uomo solitario e dimenticato che deve disperatamente provare di essere vivo” come afferma il Travis Bickle di Taxi Driver. Lui è uno che invece di sniffare coca si riempie di benzodiazepine, ha bisogno di tranquillità per operare, l’eccitazione lo spinge a trovare indizi ma ha anche la costante necessità di tenere sotto controllo questa sua emozionalità. Rocco non voleva fare il poliziotto ma il pianista jazz come il suo idolo, Bill Evans. Ne “Lo sgarro” scopriamo molti suoi lati nascosti: un passato che l’ha ferito, sentimenti che ancora lo tormentano, un presente segnato dalla separazione da sua moglie e dall’attenzione costante per sua figlia Valentina di undici anni. E’ un po' piacione e un po' anima in pena. La sensibilità è la sua pistola.
Raccontami dell'esigenza di mettere nero su bianco la romanità: Roma è la tua città da sempre eppure non è mai svanito l'effetto del suo fascino dentro di te, ancora ti incanta e continua a catturarti quella romanità incontaminata dei volti veri, che non conoscono sovrastrutture e degli scorci incolti.
Roma è un’appartenenza dell’anima, non si può spiegare altrimenti. Amo ciò che di più autentico rimane ancora in questa città nonostante le stratificazioni di millenni e quando capto nella gente questo timbro di appartenenza, beh continuo ad innamorarmi. C’è molto dialetto ne “Lo sgarro” ma mai l’inflessione becera. Amo le radici della romanità e per ogni personaggio c’è una sorta di identikit antico: Pompa e Pesciolino, ad esempio, sono due fratelli gemelli di 75 anni chiamati così perché il primo ha lavorato per vent’anni come benzinaio alla pompa der sor Egidio e l’altro invece ha fatto il bagnino da Gigi er Mandrappone, uno stabilimento che sta oltre Ostia, dalle parti di Capocotta. E c’è quella che nel quartiere chiamano Teresa la Fascistona, una anziana donna che vive nel ricordo nostalgico del duce, e ancora Tinta, fissata con i suoi capelli che ogni giorno cambiano colore. Tra gli avventori del bar di Orazio spunta Er Pennellone, un ex drogato che indossa sempre la stessa maglietta con la scritta “le strisce nun s’attraversano, se pippano”…
Che sensazione si prova ad intrecciare in un giallo storie di gente comune, gente di quartiere. È divertimento narrativo, sperimentazione, un mix di espedienti letterari mischiati ad arte? Cos'è?
È puro divertimento affettivo, ecco diciamo così. Mi sono divertito a scrivere le storie di questa gente, storie che sento mie, che in un modo o nell’altro mi appartengono sempre per quella radice di romanità che sta lì, come il Colosseo.
Pensi che continuerai a scrivere ancora? Cosa ti ha regalato la scrittura, da "RottAmami" al teatro, con le tue introspettive rappresentazioni "Schizzata", "Contatti e "Come un Pacchetto vuoto di Chesterfield a mezzanotte" fino al tuo ultimo lavoro "Lo sgarro"?
Eh, domanda che richiederebbe giornate di lunghe chiacchierate. La scrittura è il mio mestiere. Da giornalista, professione che esercito da trent’anni e da scrittore nelle ore notturne quando tutto diventa normale, come il battito del cuore senza stress. La scrittura salva il mondo, lo purifica e lo tiene al guinzaglio. E il teatro è, ancora di più, la magia di una creazione che richiede “posizionamenti” precisi. Quando nella testa hai insieme musica, emozioni, persone, facce, ambienti, luci, devi trovare per ciascuno un ruolo…poi il giorno dopo rivoluzioni tutto e ricominci fino a quando tutto coincide finalmente con la storia che vuoi regalare allo spettatore. Purtroppo è sempre più difficile trovare spazi, occasioni. L’editoria risponde per la maggior parte a regole lobbistiche, il teatro ha una enorme richiesta ma pochissimo aiuti. Sopravviveremo?
Chiudiamo questa intervista con un brano che possa rendere un po' di atmosfera del tuo giallo alla Garbatella e del suo spirito pungente. Quale sceglieresti per trasmettere l'essenza narrativa del tuo ultimo romanzo in pochissime parole?
Sceglierei queste, qui c'è lo spirito essenziale di tutto il romanzo: "Cadeva acqua che Dio la mandava quella notte su Roma. Sentivo l’odore dell’erba fradicia che saliva dalla finestra. Arrivava il puzzo degli sterchi di cane dalla piazzola lì davanti…Quando girai l’angolo, sentii una specie de rantolo felino, come d’un animale portato all’ammazzatora".