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Lo sbarco in Normandia è la storia della nostra libertà

Tra retorica e memoria dopo settant’anni ricordiamo il D-day. “Il giorno più lungo” della seconda guerra mondiale cambiò il destino dell’Europa aprendo le porte ad una lunga era di pace e prosperità nel solco del modello americano.
A cura di Marcello Ravveduto
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Se James Francis Ryan fosse un personaggio reale oggi avrebbe oltre novant’anni. Ve lo ricordate il film con il quale Spielberg ottenne nel 1999 il suo secondo premio Oscar? Un’interpretazione magistrale di Tom Hanks che raffigura il capitano Miller a cui è affidato il compito di riportare a casa il quarto ed ultimo fratello sopravvissuto della famiglia Ryan.

Così descrive la scena inziale Marco Balbi sulla rivista Ciak nell’ottobre 1998: “Venti minuti tanto dura l'incipit di ‘Salvate il soldato Ryan’ e sono venti minuti cha passeranno alla storia del cinema. Come il D-Day, il giorno dello sbarco in Normandia, è stato soprannominato "il giorno più lungo", questi sono i venti minuti più lunghi che si siano mai visti sul grande schermo: atroci, crudeli, disperati, allucinanti, sono i più vicini alla realtà vera della guerra (almeno per quello che hanno raccontato i testimoni) che la settima arte abbia mai prodotto. Le urla, le corse, il frastuono, il sibilo dei proiettili, i corpi sventrati, la paura, le invocazioni dei feriti danno un tale pugno allo stomaco che difficilmente lo spettatore se ne dimenticherà: sono venti minuti che, quanto a effetto educativo, valgono più dl venti marce pacifiste”.

Lietta Tornabuoni su “La Stampa”, riferendosi alla pellicola, parla di “Massacro orribile, per la prima volta raccontato dalla parte dei soldati che vi parteciparono venendo ammazzati, mutilati, straziati, affogati o bruciati vivi, illustrato con spaventosa e implacabile onestà: con una verità che smentisce il lungo silenzio d'una generazione di combattenti, con un realismo che cancella la vecchia immagine propagandistica della "guerra giusta" e del "conflitto pulito", rendendo quella guerra simile a tutte le guerre anche contemporanee, anche balcaniche o africane, segnate da atrocità, stupidità, ferocia”.

Il critico de “Il Sole 24 ore”, Roberto Escobar, sottolinea l’inversione del punto di vista: “Allo scempio dei corpi s’accompagna uno scempio ancor più radicale: quello del significato. Non vediamo un’azione di guerra: la subiamo, ne soffriamo l’accadere prepotente e cieco. Il sangue che più d’una volta s’intravede sull’obbiettivo della macchina da presa imbratta e acceca anche i nostri occhi”.

Ma guardiamola la scena dello sbarco:

La pioggia di piombo abbatte uno dietro l’altro i primi uomini che mettono piede sulla spiaggia. Il mare che infrange la battigia si colora immediatamente di rosso. Sangue a fiumi che sgorga dai corpi esamini di uomini coscienti del destino a cui vanno incontro. Chi riesce ad avanzare viene dilaniato dalla deflagrazione delle mine. I soldati saltano in aria come manichini per ripiombare al suolo privi di vita.

Il capitano Miller rimane stordito dallo scoppio di una granata, si guarda intorno in preda allo stato confusionale. Sullo sfondo un anfibio prende fuoco trasformando tre soldati in torce umane. Intanto un militare cerca tra i cadaveri l’avambraccio sinistro che gli è stato staccato dallo scoppio di una bomba, lo prende e continua ad avanzare verso la collina portandolo con sé come un sacco. Miller si riprende, calza l’elmetto e incita la sua squadra ad andare avanti. Un ragazzo urla di dolore cercando di mantenere le viscere, ormai completamente squarciate, con le mani.

La telecamera si muove nella battaglia immergendoci nell’atrocità della guerra. Il nemico, i tedeschi, non hanno volto. Si vede solo la canna delle loro mitragliatrice e al massimo qualche soldato di spalle.

L’esito è ignoto ma gli americani avanzano come sospinti da una forza soprannaturale e magica che li rende messaggeri di libertà e democrazia. L’abnegazione, il coraggio, lo spirito di sacrificio sono ancora più evidenti se consideriamo che la potenza tecnologica dell’esercito americano viene messa in secondo piano. Qui sono gli uomini e le loro virtù a contare.

Il D-Day è a tutti gli effetti un mito della grandezza americana. Quel giorno infinito è una specie di riedizione contemporanea della battaglia di Troia con eroi positivi e negativi che si confrontano su fronti opposti. La sua rievocazione, da un lato, è fondamentale per comprendere un passaggio cruciale del Novecento, grazie al quale gli Usa divengono a tutti gli effetti la guida dell’occidente industrializzato; dall’altro serve a salvaguardare i luoghi e a tramandare la memoria (con testimonianze audiovisive, materiali bellici, documentazioni militari e ricostruzioni multimediali) dell’epopea angloamericana che è parte integrante dell’affascinate retorica contemporanea della nazione a stelle e strisce.

Grazie al contributo degli americani, il tratto di costa dove si è consumata la battaglia, che si estende per 240 km da Cherbourg a Deauville, è diventato un itinerario turistico di rilievo mondiale. In ognuna delle 21 cittadine della Normandia coinvolte nelle operazioni militari, accanto ai cimiteri dalle grandi croci bianche, sono sorti musei che approfondiscono i diversi momenti dello sbarco.

In occasione del settantesimo anniversario del D-Day la regione della Normandia ha realizzato un opuscolo per accogliere milioni di turisti eccitati dalla possibilità di rivivere in prima persona la liberazione europea.

I reduci stanno scomparendo ma i loro familiari o semplici curiosi sono attratti dal fascino della guerra e dal racconto eroico dei suoi protagonisti.

Il sistema museale francese è una vera infrastruttura di public history la cui organizzazione logistica, disseminazione sul territorio e coinvolgimento di uomini e mezzi, con un ragguardevole indotto commerciale, possono essere paragonati solo alla rete di esposizioni permanenti della guerra civile americana.

L’Europa ha riconquistato la libertà e i francesi ne hanno guadagnato in turismo. Anche gli Inglesi hanno il loro museo della sbarco in Normandia a Portsmouth, realizzato nel 1984, ma è poca cosa.

Intervistato da una rivista cinematografica in occasione dell’uscita del film, Spielberg ebbe a dire: “la Seconda guerra mondiale è l'evento più significativo degli ultimi 100 anni”. Basta dare uno sguardo al portale realizzato sul D-Day per comprendere il senso delle parole del regista statunitense. Gli ultimi settant’anni di pace e prosperità del nostro continente sgorgano dalle vene dei soldati americani e dei loro alleati.

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