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Leonardo, Raffaello, Caravaggio: insieme, a Napoli, per una “mostra impossibile”

Per la rubrica “divulgare la cultura” abbiamo visitato la “mostra impossibile” di Napoli e intervistato la curatrice per conto dell’Associazione Pietrasanta Polo Culturale Pina Capobianco nelle sale del Convento di San Domenico Maggiore, tra le 117 magnifiche riproduzioni in formato reale dei capolavori di Leonardo, Raffaello e Caravaggio, esposti eccezionalmente insieme.
A cura di Gabriella Valente
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Nei prestigiosi spazi da poco ristrutturati del Convento di San Domenico Maggiore, nel cuore della Napoli antica, fino al 21 aprile 2014 si assiste a una “sorta di prodigio”.

17 opere di Leonardo, 37 di Raffaello, 63 di Caravaggio: sono in tutto 117 immagini che riproducono in altissima definizione e nelle dimensioni originali i capolavori dei tre maestri dell’arte moderna italiana, eccezionalmente racchiusi nella medesima sede espositiva in una mostra altrimenti impossibile. Ci sono persino le riproduzioni di due affreschi, l'Ultima Cena di Leonardo e la Scuola di Atene di Raffaello; quasi l’opera omnia di ciascuno dei tre pittori, un catalogo di dipinti in formato reale, una tripla mostra monografica completa che raccoglie opere normalmente distanti migliaia di chilometri, disseminate tra musei, chiese, abitazioni private di tutto il mondo. Senza l’intenzione di istituire nessi tra gli artisti, le immagini sono raggruppate in tre nuclei e ordinate cronologicamente. Le proiezioni di film e spettacoli dedicati ai maestri permettono di ampliarne la conoscenza, mentre una sala musicale offre l’esperienza unica dell’ascolto della musica dipinta da Caravaggio negli spartiti dei suoi quadri.

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Una mostra dinamica, dunque, ravvivata inoltre da numerosi eventi ed attività collaterali organizzati presso il Convento, come concerti, visite guidate, percorsi a tema o teatralizzati. Curata da Pina Capobianco, l’esposizione in corso a San Domenico Maggiore nasce dall’impegno dell’Associazione Polo Culturale Pietrasanta, la Rai e il Comune di Napoli, che collaborano allo scopo di attuare il prodigio delle mostre impossibili, il rivoluzionario progetto ideato da Renato Parascandolo 10 anni fa e realizzato in più edizioni sotto la direzione scientifica di Ferdinando Bologna. Dal 2003 sono state allestite più volte e in molte città le mostre digitali dedicate a Caravaggio, a Raffaello o a Leonardo, ma oggi, per la prima volta e nella città che per prima accolse il progetto, le tre mostre sono riunite insieme in un’edizione assolutamente unica.

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Senza il rischio della mostra-bluff, dove il titolo rimanda a un artista di cui poi non si ritrova che una sola opera esposta, quella impossibile può tutto: può riunire la produzione completa di un autore, presentare opere inamovibili, essere allestita in più sedi contemporaneamente, costituendo in questo senso un’originale risposta alla crisi dei musei, senza però proporsi come loro sostituto.

L’idea di Parascandolo si concentra sull’opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità digitale, come indica il sottotitolo dell’esposizione che cita e attualizza Walter Benjamin: essa sfrutta la tecnologia per divulgare la cultura, per ridurne i costi, per avvicinarla al pubblico. Lungi dal voler rimpiazzare una più tradizionale mostra possibile, la mostra impossibile “opera come una sorta di trailer di grande efficacia e filologicamente impeccabile”, esibendo in maniera suggestiva i capolavori dell’arte riprodotti e invogliando così ad ammirare quelli autentici. Con la riproduzione, tecnica o digitale che sia, la famosa aura benjaminiana si dissolve, è vero, ma, se in cambio si ottiene una maggiore conoscenza dell’arte, allora si tratta di una valida strada da percorrere.

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Le riproduzioni hanno un’altissima risoluzione, sono stampate su un supporto trasparente delle stesse dimensioni dell’originale, esposte poi senza cornice (a sottolineare la distanza tra l’opera riprodotta e quella autentica) e retroilluminate. Il formato in scala 1:1, l’estrema definizione dei dettagli, la giusta illuminazione, il fatto che riescano a osservarsi tutti i particolari, che ci si possa avvicinare alle immagini e finanche toccarle – senza teche né “distanze di sicurezza” da museo, senza luci soffuse e angolazioni improbabili da cappelle di una chiesa –, tutto questo fa delle mostre impossibili un progetto di enorme valore, oltre che di enorme successo, teso com’è verso una lodevole istanza di democrazia culturale.

È appunto in un’ottica divulgativa e didattica che la riproduzione diventa imprescindibile, perché “una diffusione veramente capillare e di massa delle opere d’arte può essere garantita soltanto dalle riproduzioni”. In più, come sostiene incontestabilmente Ferdinando Bologna, “dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti gli storici dell’arte lavorano su pacchi di fotografie. Oltretutto, questa nuova generazione di riproduzioni d’arte, ad altissima definizione e a grandezza naturale, consente un approccio agli originali che gli originali stessi, nelle condizioni in cui normalmente si trovano […], non consentono”; d’altra parte, “da quando esiste la fotografia il pubblico non ha mai perso il gusto di guardare l’opera originale”. Sempre Bologna, sempre incontestabilmente, alle critiche poste inizialmente contro le mostre impossibili e le copie esposte, rispondeva così: “Quando si afferma […] che la mostra spoglierebbe l'arte della sua sontuosità e del suo mistero, si dicono soltanto delle banalità. L'arte non è mistero, è conoscenza arricchita di poesia”.

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