“Le voci di dentro”: il successo di Servillo arriva a Napoli
Toni Servillo ritorna ad Eduardo, dopo la rivisitazione di "Sabato, domenica e lunedì" del 2002.
Lo spettacolo ha già riscosso un enorme successo sia all'estero che in Italia prima di approdare a Napoli, in scena dal 2 al 12 gennaio proprio nel teatro San Ferdinando costruito da Eduardo, chiuso per tanti anni e oggi parte del Teatro Stabile di Napoli. La vendita dei biglietti, esauriti due mesi prima del debutto partenopeo, ha generato scene di panico al botteghino e pare che molti si siano abbonati alla stagione teatrale pur di vedere lo spettacolo; la fama del testo e quella ormai in continua crescita dell'attore casertano, grazie ai suoi successi teatrali ma anche cinematografici, hanno creato un perfetto trampolino per dare slancio all'opera. In scena, al fianco di Toni, il fratello Peppe Servillo, Chiara Baffi, Betti Pedrazzi, Marcello Romolo, Gigio Morra, Lucia Mandarini, Vincenzo Nemolato, Marianna Robustelli, Antonello Cossia, Daghi Rondanini, Rocco Giordano, Maria Angela Robustelli, Francesco Paglino.
"Le voci di dentro" è un testo che indaga la società scavando nel profondo dell'animo umano, una drammaturgia in cui Eduardo intuisce quello che sarà il grande problema di tutto il Novecento: i conflitti non vengono più dalla realtà esterna, ma dall'interno, è l'uomo stesso a generare i mostri che possono divorarlo. Così succede ne "Le voci di dentro", a cominciare dal celebre racconto del sogno della cameriera e proseguendo nei meandri dei sentimenti umani di una famiglia la cui apparenza serena crolla rovinosamente difronte alle accuse irreali di un vicino. Se il primo merito di un regista o un capocomico come Servillo è scegliere il testo giusto, non c'è dubbio che portare in scena Eduardo sia una carta a proprio favore. Il piacere di risentire le battute ripetute mille volte, di guardare gli attori della compagnia e ricordare i volti celebri che hanno interpretato in passato gli stessi personaggi, si uniscono allo stupore che alcune frasi ancora riescono a portare; Le vicende ambientate nel dopoguerra sembrano contemporanee, le frasi del testo riecheggiano spesso a svelare verità dei nostri giorni, della crisi morale in cui il mondo più o meno si trova sempre.
Servillo dirige una visione più tagliente del testo, anche più amara dell'originale, coadiuvato da una compagnia di attori di talento che in parte hanno già lavorato a lungo con lui e in parte sono stati invece meritevolmente selezionati proprio per questo spettacolo. Le battute, la comicità, appartengono al testo originale, ma non si lascia spazio alle sbavature, ai rallentamenti di attori d'altre epoche; anche i veterani della compagnia di Servillo seguono un tempo moderno. Il testo scorre con un ritmo preciso, Alberto Saporito (Toni Servillo) è il perno di un ingranaggio che gli ruota attorno in maniera sempre meno gestibile, Carlo Saporito rimane un personaggio che non possiamo non assolvere, nell'interpretazione a tratti infantile e arcaica che ne dà Peppe Servillo. Il pubblico partecipa al ritmo dello spettacolo senza soste, Servillo infatti ha eliminato gli intervalli condensando i tre atti in un'unica spirale nella quale il pubblico non può non cadere, invogliato da un palco che metaforicamente si sporge oltre i limiti divisori tra sipario e platea e sul cui bordo, in momenti di tensione, il protagonista cammina, in bilico tra interpreti e pubblico come tra realtà e sogno, quasi a volersi tuffare o a coinvolgere completamente anche gli spettatori nell'azione dei personaggi, nella perdita della morale di chi vede l'omicidio come qualcosa da mettere nel bilancio della vita di tutti i giorni.
La ricerca di un'essenzialità diversa dal passato si riconosce anche nell'impianto scenografico ideato da Lino Fiorito (storico scenografo di Falso Movimento e poi tra i fondatori di Teatri Uniti). Un enorme spazio bianco sporge sul pubblico; sul palco solo pochi elementi essenziali al racconto, che automaticamente assumono un forte valore simbolico. Nel primo atto l'armadio, il tavolo e le sedie, in sfumature di bianco più o meno acceso, occupano il centro della scena. Il secondo atto fa da contraltare al primo e sembra essere costruito, proprio come il testo, per indagare i recessi oscuri dell'animo umano. La luce abbagliante del primo atto si perde nella penombra del deposito di sedie sistemate a creare un'installazione artistica quasi astratta, oltre la scenografia funzionale. Zi'Nicola, intepretato da Daghi Rondanini (anche fonico e fondatore di Teatri Uniti), si aggira nello spazio come un'ombra; i peggiori sentimenti umani, le urla di disperazione quasi vere, sono avvolte dai colori ambrati, cupi, del deposito (scolpiti anche dalle luci di Cesare Accetta). Il terzo atto torna poi a una luce abbagliante, lo spazio bianco, accecante, è protagonista del finale; quando le grida delle donne, i litigi degli uomini, le guardie scompaiono, lentamente nell'aria rimane solo il vago rumore di un uomo che russa e i due fratelli – sia in scena che nella vita – rimangono soli, seduti l'uno difronte all'altro, circondati da un nulla che scredita completamente il valore di tutto ciò che è avvenuto, a rimarcare, così come ha voluto Eduardo nell'inventare il personaggio di Zi'Nicola, che non c'è più niente da dire.
Toni Servillo mette in scena con pulizia e capacità un testo che funziona perfettamente. Ciò che principalmente risulta evidente e nuovo, ma per chi segue l'attore casertano è il frutto di un lungo percorso, è l'atteggiamento che Servillo ha nei confronti della compagnia e dello spettacolo. Gestisce molto bene un ruolo di capocomico che però assume sempre più la funzione di regista, sintetizzando definitivamente un percorso di lavoro trentennale, suo e di tanti suoi colleghi più o meno giovani. Le linee precise degli attori, i movimenti prospettici, la posizione degli oggetti, delle sedie, i punti scelti perchè si pronuncino determinate battute, sono evidentemente scelti con un gusto contemporaneo. Le interpretazioni degli attori asciugano in molti casi (non sempre) quella recitazione che ovviamente poteva funzionare cinquant'anni fa ma non oggi e danno un colore diverso, più duro in molti casi, alle vicende. Il pubblico risponde con un calore e un entusiamo incondizionati, qui come all'estero, dove il nome di Servillo ma anche quello di Eduardo vengono sempre più rispettati ed elogiati, e fa piacere vedere un tale successo in un'epoca in cui il teatro spesso vive di grandi difficoltà. Certo alla fine ci si trova sempre di fronte "Le voci di dentro", ma essendo un'ottima commedia, non ci si può proprio lamentare.