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Le Rane: Il Nobel cinese Mo Yan racconta i drammi della politica del figlio unico

Grande successo editoriale per l’ultimo romanzo di Mo Yan, premio Nobel per la letteratura 2012, che parla della politica di controllo delle nascite nella Cina del dopoguerra, restituendo un quadro umano complesso e inquietante.
A cura di Luca Marangolo
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Wa (Le Rane) è il titolo dell’ultimo romanzo di Mo Yan, ed è anche il suono su cui si regge la fitta rete di allusioni semantiche intessute dall’opera. Wa vuol dire sia rana che bambino, è il verso delle rane e il vagito dei bambini appena messi al mondo.

Come narra Mo Yan, le rane erano, nella provincia di Gaomi, un simbolo di povertà, perché se ne nutrivano le famiglie dei villaggi rurali nei lunghi periodi di carestia. Ma sono anche degli ovipari i cui piccoli, i girini, rischiano la morte per nascere. Un tessuto semantico, questo, che si perde ineluttabilmente nella traduzione, di Patrizia Liberati, proposta da Einaudi, ma che restituisce abbastanza bene l’impianto storico di questo libro del celebrato e discusso autore cinese Mo Yan, “non parlare” od anche “colui che non parla”. Possiamo provare a trovare un senso a questo ambiguo pseudonimo per un talento brillante, che ha ottenuto il Nobel per la letteratura nel Dicembre scorso?

Mo Yan, da molti accusato di essere un autore prono al governo cinese, ignavo e troppo disinvolto nell’accettare le cospicue facilitazioni economiche che Pechino gli ha fornito, scrive un romanzo sulla tragica politica delle nascite, una pratica avviata per volere del presidente Mao, volta a regolare le nascite tramite aborti e vasectomie di regime e che sarà abbandonata, in Cina, forse solo fra due anni.

Mo Yan a Stoccolma, a margine della consegna del premio Nobel.
Mo Yan a Stoccolma, a margine della consegna del premio Nobel.

Il romanzo di “colui che non parla”, fa parlare i suoi personaggi, ed è un libro dalla notevole capacità atmosferica che avvolge il lettore e questo è il pregio, forse, dei bei romanzi storici, che permettono di penetrare con l’immaginazione un contesto, disegnare tutt’intorno allo sguardo immaginario del lettore una sfera, un ambiente, da lui a volte lontanissimo. E’ proprio il caso de Le Rane che ci fa immergere nella provincia di Gaomi, in Cina, negli anni ’50.

È la storia di Xiaopao, giovane ufficiale dell’esercito, e soprattutto di sua zia Wan Xin, terrore delle campagne di contadini, ostetrica votata alla causa degli aborti di stato che insegue, controlla ossessivamente, a Gaomi, le coppie di sposi perché rispettino i rigidi protocolli di nascita.

Mo Yan accompagna dunque il lettore facendo emergere l’animo dei personaggi contadini il cui temperamento si confonde fra una devozione quasi sacrale nei confronti diMao, da cui emerge una visione dell’ordine politico radicata nella coscienza dei contadini di allora, ed una radicale, sofferta, disperata opposizione verso la pratica dell’aborto forzato. Quadri vividi e violentemente grotteschi emergono dal racconto, come lo sradicamento di una casa popolare con un trattore alla caccia di una puerpera fuggiasca.

L'autore ci propone insomma un racconto che incrocia registri diversi: dal romanzo storico alla commedia popolaresca, con punte comiche e ritratti ilari e bonari, così come momenti di riuscito realismo tragico. Ma l’interesse de Le Rane sta prima di tutto in ciò che narra, rimanendo la migliore espressione della conoscenza particolare che ci offre il romanzo storico: è l’evocazione di un contesto, le cui radici sono disparate, lontane da noi eppure concretamente visibili sulla carta. In questo Mo Yan è assolutamente capace ed è da lì che emerge il punto di vista: la voce dell’autore si mimetizza dietro la sofferenza –quotidiana- dei contadini.

Sorgo Rosso (1986) è forse il libro che più di ogni altro ha dato risonanza alla penna di Mo Yan.
Sorgo Rosso (1986) è forse il libro che più di ogni altro ha dato risonanza alla penna di Mo Yan.

Ne emerge la denuncia di uno dei più imponenti fenomeni di controllo di tutti i tempi messi in campo da un regime, ma con accenti molto lontani dall’invettiva politica o dall’analisi oggettiva, che lasciano il posto alla forza (ma anche, a tratti, all’ambiguità) della forma romanzesca, così immersa nel male da guardarlo con l’occhio del vivere quotidiano.

I salti temporali del romanzo, l’impianto strutturale del racconto che va dagli anni cinquanta all’ultimo decennio, si impone anche attraverso una svolta drammaturgica: Wan Xin, l’implacabile ostetrica, temuta nella contea di Gaomi, fa emergere d’improvviso il fondo traumatico, ambivalente, del proprio vissuto, dapprima celato dietro una maschera da commedia popolaresca, un demi-caractère, per dar sfogo a un monologo che oscilla vistosamente fra il rimpianto e la fantasmagoria, in cui prende corpo l’ossessione visiva e linguistica del libro: Wa, le rane, la cui presenza simbolica diventa ingombrante.

È problematico dire se questo romanzo di denuncia (declinato nel modo consueti di Mo Yan, il cui unico punto di vista è interno alla storia, è interno alla vita del popolo di cui narra) possa in qualche modo redimere l'autore dalle accuse di quieto e silenzioso assenso al regime cinese, forse non può. Ed anche se Le rane non è certamente il romanzo migliore con cui poter apprezzare la natura visionaria della scrittura di Mo Yan, la sua lettura è comunque consigliata perché è un ottimo modo per far rivivere le qualità conoscitive di cui è pregna la forma del romanzo, che meglio di altre è in grado di farci entrare nel mondo che racconta, abbattendo pregiudizi conoscitivi nel suo modo peculiare: coglie ciò che è talmente ovvio da risultare assolutamente sfuggente e misterioso, se non lo si vive, ovvero la quotidianità.

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