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“Le lettere di Babbo Natale”: la favola senza tempo, raccontata da J. R. R. Tolkien

Per vent’anni, a casa Tolkien arrivano delle lettere con il timbro postale del Polo Nord. È Babbo Natale in persona che scrive: un gioco serio, inventato dallo scrittore per insegnare ai suoi figli a sognare. Un’opera che, a distanza di anni, racchiude ancora tutta la magia di una delle favole più antiche del mondo.
A cura di Federica D'Alfonso
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J. R. R. Tolkien nel dicembre 1955, nel suo studio
J. R. R. Tolkien nel dicembre 1955, nel suo studio

“Com’è fatto Babbo Natale?”: questa semplice ed ingenua domanda di un bambino di tre anni può trasformarsi in poesia. Accadeva oltre settant’anni fa, per merito di uno degli scrittori più famosi al mondo: J. R. R. Tolkien. Soltanto un uomo come Tolkien avrebbe potuto rispondere ad una domanda del genere. Soltanto un sognatore come lui avrebbe potuto trasformare una domanda che nella maggior parte dei casi getta nel panico i genitori in un’opera d’arte: una fra le più belle, anche se poco conosciute, sul Natale.

Accade nel dicembre del 1920: a casa Tolkien arriva la prima di una lunga serie di lettere firmate da Babbo Natale in persona, che racconta di sé, della sua vita al Polo Nord e di tutti i personaggi fantastici che popolano il suo mondo. John Ronald Reuel Tolkien inizia così, quasi per gioco, un’avventura letteraria che andrà avanti per oltre vent’anni e che nel 1976 diventa un libro. Un gioco serio, inventato dallo scrittore per insegnare ai propri figli che sognare, credere alle storie e viverle, anche se per breve tempo, aiuta a crescere.

L’ultima lettera è datata 1943: trascorrono molti anni, ma John, Priscilla, Michael e Christopher Tolkien hanno aspettato ogni anno con impazienza di leggere le nuove mirabolanti avventure di Babbo Natale, che di volta in volta Tolkien inventava per loro. Sono anni di crescita, una crescita che grazie all'immaginazione del padre de "Il Signore degli Anelli" avviene attraverso il gioco e l’immaginazione: perché in fondo, nel mondo reale, sono gli anni della Seconda guerra mondiale, e c’è tanto, tanto bisogno di credere nelle favole.

Anche quando si è diventati grandi, e bisogna necessariamente abbandonarle:

Penso che quest’anno appenderai la tua calza per l’ultima volta: spero proprio che lo farai, dato che mi sono rimasti ancora alcuni regalini per te. Dopo questa lettera dovrò dirti più o meno “addio”: voglio dire che ovviamente non mi dimenticherò di te. Qui noi conserviamo sempre i numeri dei vecchi amici e così le loro letterine; e più avanti negli anni speriamo di tornare una volta che loro saranno cresciuti e avranno delle case tutte proprie con dentro dei bambini.

Il mondo di Babbo Natale, attraverso gli occhi di Tolkien

"Lettere di Babbo Natale", di J. R. R. Tolkien, Bompiani
"Lettere di Babbo Natale", di J. R. R. Tolkien, Bompiani

Ogni dicembre, poco prima di Natale, una busta bianca ornata di disegni, con un francobollo proveniente dal Polo Nord, arrivava a casa Tolkien. Storie illustrate, poesie, indovinelli e giochi per i suoi piccoli figli: Tolkien inventa, come solo lui ha saputo fare con i suoi grandi successi letterari, un mondo nuovo, tutto da scoprire, fatto di fantasia che cade a grossi fiocchi fatti di parole, proprio come la neve la notte di Natale.

Non soltanto storie: Tolkien inventa anche personaggi bizzarri, che ogni tanto compaiono nelle lettere. Non è soltanto Babbo Natale a scrivere, con la sua grafia energica e tremolante, ma anche l’Orso Polare, sgrammaticato, o l’elfo Ilbereth, che non a caso compare per la prima volta nella lettera del 1936, proprio quando Tolkien sta ultimando la stesura dello Hobbit.

Tolkien ha costruito a misura dei suoi ragazzi una vera e propria epopea: Babbo Natale vive al Polo Nord, nella grande Casa di Roccia. È un simpatico uomo barbuto, ironico, che all’epoca ha già millenovecentoventi anni. Con lui vivono l’Orso Polare e i suoi nipotini Paksu e Valkotukka, gli Uomini-di-neve e i loro bambini, gli Gnomi Rossi e gli Elfi.

L’Orso Polare è il suo aiutante più fedele, che lo aiuta a confezionare i pacchi con i doni, ma goffo com'è, combina sempre qualche guaio. E Babbo Natale, tra un fuoco d’artificio dell’Aurora Boreale e una visita dell’Uomo della Luna passa il tempo, oltre che a consegnare doni, a descrivere e a disegnare il disordinato ordine del suo mondo:

Quest'anno sono più tremolante del solito. Tutta colpa dell'Orso Polare! E' stato il più grosso scoppio che mai si sia visto al mondo, e il più pazzesco fuoco d'artificio. Adesso il Polo Nord è NERO, le stelle sono finite tutte fuori posto, la Luna è stata spaccata in quattro, l'Uomo della Luna è piombato nel giardino sul retro di casa mia. I regali erano già impacchettati per la partenza, spero che i vostri doni non siano troppo malconci! E quello scemo dell'Orso Polare non si mostra neanche un po' pentito. E dire che è tutta colpa sua: vi ricordate che l'anno scorso ho dovuto traslocare, sempre a causa sua? Il rubinetto con cui si fanno partire i fuochi d'artificio dell'Aurora Boreale è rimasto nella cantina della mia vecchia casa. Ora, l'Orso Polare sapeva che mai e poi mai doveva toccarlo. Io lo aprivo solo in giornate particolari come Natale. Dice che pensava che non funzionasse più da quando ce ne siamo andati; sta di fatto  che stamane, subito dopo colazione, è andato a ficcanasare attorno alle rovine (ci nasconde roba da mangiare) e ha acceso in una volta sola le Luci del Nord che dovevano servire per due anni. Non s'è mai visto nè udito nulla di simile. Ho cercato di ridarne un'immagine; ma ho la mano troppo tremante per farlo bene, e mica si possono dipingere luci effervescenti, vi pare?

Nel leggerle, a distanza di oltre settant’anni, si scopre un Tolkien affettuoso, premuroso, un padre, oltre che un raffinato scrittore anche quando si tratta di parlare renne e regali di Natale. Un’opera che anche a distanza di tempo non perde il suo fascino, per la ricchezza di particolari sui quali tutti, almeno una volta, hanno indugiato da bambini, e soprattutto per il grande insegnamento nascosto dietro ognuna di esse: “Il legame tra padre e figlio non è costituito solo dalla consanguineità: ci deve essere un po' di ‘aeternitas'. Esiste un posto chiamato ‘paradiso' dove le opere buone iniziate qui possono venire portate a termine; e dove le storie non scritte e le speranze incompiute possono trovare un seguito”.

Un insegnamento che, soprattutto a Natale, è bene ricordare. Perché è questo, in fondo, uno dei significati celati dietro la figura di quell'uomo barbuto e gioviale che si cala giù dal camino per regalarci qualche istante di gioia.

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