Capuzzelle e “anime pezzentelle”: il culto dei morti a Napoli è molto più antico di Halloween
Napoli ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la morte. Dall'importanza reverenziale riservata allo schiattamuorto alla venerazione delle anime pezzentelle, la vita del popolo partenopeo si è sempre in qualche modo dovuta confrontare con la morte: ed è in particolare con le anime dannate, dimenticate perché “pezzenti”, che Napoli si è identificata di più, quasi a condividere la stessa sorte di miseria e speranza. Sono queste le ragioni che hanno fatto nascere e crescere proprio il culto delle capuzzelle che, in questa giornata, non possono non affascinare per il loro legame con la ben più nota e forse meno sentita festa di Halloween.
Se infatti gli inglesi vantano una lunga tradizione fatta di zucche intagliate e leggende macabre, Napoli non è da meno: anzi, la storia del culto riservato ai morti è ben più antica e affascinante, legata com'è alle origini pagane della città e allo stesso tempo ad una spiritualità forte e viscerale. Esistono luoghi simbolo delle pratiche devozionali riservate ai morti che non sono, per inciso, morti qualunque: è alle anime dimenticate, quelle che per molti motivi sono rimaste imprigionate in Purgatorio e non hanno avuto l’occasione di riscattarsi in vita, che per esempio la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco è dedicata.
E ci sono altri luoghi, meno “sacri” almeno apparentemente, che per secoli hanno celato nelle viscere della città le preghiere sussurrate ai teschi dei morti senza famiglia né identità: come il Cimitero delle Fontanelle, che ancora oggi nasconde gelosamente molti dei suoi segreti. Qui riposano “Pascale”, il teschio capace di far vincere al lotto, o “donna Concetta, a’ capa che suda”: si ipotizza che sotto gli strati portati alla luce dagli studiosi ci siano ancora quattro o cinque metri di teschi minuziosamente impilati dal Tempo, protagonisti dell’affascinante “culto delle capuzzelle”.
Il culto dei morti a Napoli, una religiosità profana
Questa particolare forma di devozione per i morti ha origini antichissime e, nel tempo, si è confusa ed intrecciata con le miserie e le catastrofi che hanno scritto la storia di questa città: da un lato sopravvive, celata nei meandri di un’affascinante sacralità profana, l’antica religiosità greco-romana legata al culto dei Lares familiares, vere e proprie divinità protettrici della famiglia. È profondamente pagana, infatti, l’usanza di rendere omaggio a piccole statuette o immagini dei defunti che avevano la funzione di “vegliare” e “proteggere” i vivi. Non è un caso che a Napoli i luoghi più celebri legati al culto dei morti, come il Cimitero delle Fontanelle o la chiesa del Purgatorio ad Arco nascano, geograficamente, in luoghi che anche in epoca greco-romana erano riservati a funzioni sacre e misteriche.
Dall'altro lato, la venerazione delle anime dei defunti è diventata, in un certo periodo della storia partenopea, l’unico rifugio per i vivi di fronte all'incombenza della morte e della disperazione: fu soprattutto a partire dal Seicento, quando una terribile epidemia di peste si portò via quasi trecentomila persone, che il rapporto con la morte divenne fonte di vita e speranza per coloro che sopravvivevano. Ragione di espiazione e pentimento, per lo più: si ritenne infatti che la terribile pestilenza si fosse abbattuta sulla città a causa dei peccati della popolazione. I vivi decisero che era giunto il momento di venerare la morte.
Le anime “pezzentelle”: un legame fra vita e morte
Alle capuzzelle era infatti attribuito il potere di esaudire le preghiere di chi le aveva prese a cuore: speranze grandi o piccole che fossero, come anche vincere qualche numero al lotto, adornano ancora gli altarini messi su da secoli di devozione e speranza. Nell'antico Cimitero delle Fontanelle, il luogo forse più emblematico e suggestivo di tutta Napoli, si conservano ancora i segni del passaggio di centinaia di persone devote alla propria capuzzella. In alcuni dei teschi conservati nelle catacombe sono stati rinvenuti messaggi e richieste, come quella della famiglia Lista: il loro figlio Ciro, partito come soldato durante la Seconda Guerra Mondiale, a seguito dell’Armistizio non aveva fatto ritorno. Il messaggio è datato 3 aprile 1944:
La famiglia dell'Aviere Lista Ciro trovandosi senza notizie di suo figlio da pochi giorni dopo l'Armistizio e quindi sono otto mesi ed essendo devota di voi aspetta con tanta fede da voi la bella grazia.
È in questo modo che nasce il culto delle anime “pezzentelle”: nel caos generato dalla pestilenza e dai successivi provvedimenti che vietavano l’inumazione nelle chiese per ragioni di igiene e, secoli dopo, nello sgomento provocato dalla guerra, tantissimi furono i morti che non ebbero degna sepoltura. Per lo più, coloro che in vita non erano stati abbastanza ricchi o importanti da guadagnarsi un posto di rilievo anche dopo la morte: anime “pezzenti”, abbandonate, dimenticate.
Nella religiosità impregnata di superstizione che consolava i vivi, tale pezzenterìa creò una forte empatia fra quei morti alla soglia della dannazione e i vivi, altrettanto dannati: nasce così la credenza che pregando per loro, per i defunti senza identità, un giorno chi se n’era preso cura avrebbe ricevuto il perdono, o la grazia, o a sua volta il regalo di un ricordo affettuoso dopo la morte. Adottare una “capuzzella” diviene un rituale centrale nella vita del popolo napoletano: adornarle con merletti e fiori, portare saltuariamente piccoli doni e preghiere a questi volti senza identità, e praticare una pietà che molto probabilmente questi morti in vita non avevano avuto è un modo per riscattarle dall'oblio e per sperare di ottenere, chissà, qualcosa in cambio.