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Le 7 opere imperdibili della Biennale 2013

Le 7 Meraviglie della Biennale, ovvero i 7 lavori più affascinanti e suggestivi quest’anno in mostra, raccontati in un utile video + guida.
A cura di Luca Iavarone
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Varia, articolata e poco clamorosa la Biennale di Venezia 2013. “Il Palazzo Enciclopedico”, tema scelto dal curatore di quest’edizione Massimiliano Gioni, non vuole destare scalpore, ma preferisce piuttosto condurre i visitatori per sentieri nascosti, intimi, intentati. Un pregio d’austerità, si dirà. Può darsi. Ma non è sempre doveroso, di contro, l’accanimento terapeutico, né è un imperativo riportare a galla il sommerso.
Ma al di là delle beghe di “palazzo”, la Biennale di quest’anno non ha comunque nascosto i suoi tesori. Molti i padiglioni di gran pregio e numerose le sorprese, anche tra i paesi neopartecipanti.

Ma quali sono le opere davvero irrinunciabili di quest’anno? Vi invitiamo a scoprirle in questo servizio intitolato “Le 7 Meraviglie della Biennale”, corredato (qui sotto) di un’utile e pratica guida alla visita virtuale.

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7. Vadim Zakharov, Danaë
Nel mito di Danaë si narra che il re di Argo avesse rinchiuso la sua bellissima figlia in una prigione sotterranea a seguito di un vaticinio che gli aveva predetto la morte per mano del suo futuro nipote. Così, un gruppo di sentinelle venne messo a guardia della cella di Danaë con l’ordine di non permettere mai a nessun uomo di entrarvi. Ma il Destino volle che Zeus, sotto le sembianze di una pioggia d’oro, riuscì a penetrare fin sotto la terra e a bagnare il corpo addormentato della giovane. Da quell’unione nacque il grande eroe Perseo.
L’opera di Zakharov per il padiglione russo è strutturata come una performance teatrale continua su due livelli. Lo spazio inferiore è interdetto agli uomini. Solo le donne possono avervi accesso se munite di un ombrello. Al centro della sala una pioggia di monete d’oro scende a ritmi cadenzati. Le visitatrici sono invitate a raccoglierne una manciata e a riporla in un secchio, che, una volta colmo, sale su per una fessura e poi ridiscende svuotato. Salendo al piano superiore si svela la macchina teatrale: un uomo dal fare militaresco prende il secchio e lo svuota in un sistema che fa ridiscendere le monete al piano inferiore sotto forma di pioggia. In un’altra sala un uomo a cavallo di un traliccio mangia noccioline e getta giù le bucce. Sullo sfondo una enorme scritta: “Uomini, è giunta l’ora di confessare la nostra mancanza di rispetto, lussuria, narcisismo, demagogia, menzogna, banalità, avidità, cinismo, rapina, speculazione, spreco, gola, seduzione, invidia e stupidità”.

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6. Piero Golia, Untitled, My gold is yours
L'artista napoletano, trapiantato da tempo in America, ha collocato un grande cubo impastato con un misto di cemento e 60.000 euro d’oro zecchino nel giardino laterale del Padiglione Italia all'Arsenale. Il pubblico è autorizzato dall’artista a prelevarne parti o pezzi, e dunque a scalpellare con materiali di fortuna l’opera d’arte fino al suo completo esaurimento. Una riflessione sul tempo e sul valore dell’arte.

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5. Pawel Althamer, Venetians
La scultura di Althamer è un’indagine sulla vulnerabilità del corpo umano per mezzo di materiali organici, inorganici e loro surrogati. "Venetians" è un teatro di strutture-corpi-calchi disposti in una grande sala de “Il Palazzo Enciclopedico”. La disperazione e la mutilazione del movimento saltano all’occhio in uno scenario tragico, tra distruzione post-atomica e intima cessazione di ogni speranza. Le ottanta sculture sono state forgiate nella piccola azienda di prodotti plastici del padre dell’artista e rappresentano, a detta di Althamer, un ritratto spettrale della città di Venezia con i suoi abitanti visti come una folla di anime in attesa perenne.

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4. Elisabetta Benassi, The Dry Salvages
L’opera è un grande pavimento dissestato, composto da circa 10.000 mattoni d’argilla del Polesine, regione in provincia di Rovigo colpita dalla disastrosa alluvione del 1951. Ogni tessera di questo mosaico è marchiata con i nomi e i codici alfanumerici di catalogazione dei più grandi detriti spaziali ancora in orbita intorno alla Terra. “Un cielo capovolto” come lo definisce l’artista, che dialoga perfettamente con il tema “enciclopedico” della Biennale, riflettendo sulla potenza distruttiva e irrazionale di una Natura che sfugge dirompentemente ad ogni catalogazione umana.

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3. Ai Weiwei, Bang
Una struttura di 886 sgabelli in legno occupa l’intero padiglione francese (prestato in quest’occasione alla Germania). Lo sgabello a tre gambe è oggi un pezzo d'antiquariato in Cina. Con la Rivoluzione Culturale e la modernizzazione del paese, infatti, la produzione di questi oggetti d’uso comune è andata estinguendosi cedendo il passo all’industria degli oggetti in alluminio e plastica. Ai Weiwei ha creato, così, un rizoma tentacolare che ricordi l’espansione sfrenata del mercato e delle megalopoli cinesi. Pur nella complessità e nella stratificazione, però, ogni singolo sgabello dell’installazione mantiene la sua unicità.

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2. Berlinde De Bruyckere, Kreupelhout – Cripplewood
L’intero padiglione belga è occupato da un enorme olmo sradicato, nodoso, anche perché pieno letteralmente di nodi che legano il fusto ai rami e i rami a una serie di stracci, coperte, cuscini e stampi colorati con cere blu e rosse e poi riempiti di fogli di cera bianchi. Queste semplici lavorazioni fanno apparire i rami come delle ossa o degli arti spezzati e ricuciti alla buona. Grande corpo adagiato al suolo, pieno di ferite curate a malapena, come in un primo soccorso di guerra, l’albero appare in fin di vita. Una metamorfosi da uomo ad albero o viceversa è in corso, ma non è prevedibile il risultato finale.

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1. Anri Sala, Ravel Ravel Unravel
Tre stanze con tre video diversi costituiscono il percorso di questo poetico trittico di proiezioni dal titolo polisemico. Se il verbo “ravel” significa “complicato, aggrovigliato“ e il suo contrario “unravel” significa “svelare”, un terzo significato è associabile al nome di Ravel, il compositore del “Concerto in re per la mano sinistra”, leitmotiv dell’opera. All’ingresso ci imbattiamo nel primo piano di una donna, completamente assorta in un lavoro per il momento indecifrabile, al ritmo di suoni elettronico-orchestrali non ben identificabili. Nella seconda sala, una gigantesca camera insonorizzata, assistiamo al dettaglio di due mani che indipendentemente eseguono il suddetto concerto pianistico. Solo nell’ultima sala avviene il disvelamento. Scopriamo che la donna, Chloé, è una Dj, e la vediamo, in un’altra inquadratura più larga, intenta nell'arduo compito di far coincidere, missandole in tempo reale su due giradischi, le due esecuzioni del Concerto di Ravel.

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