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“Lazzarone”: un’offesa ai napoletani che è diventata un’ingiuria comune

Alcune parole nascono con intenti spregiativi diretti verso specifici gruppi di persone, ma col passare dei decenni vengono ripulite e astratte. Vediamo il caso di “lazzarone”: coniato durante la dominazione spagnola a dileggio dei popolani napoletani inclini alle rivolte, in italiano si è ricavato lo spazio di un’ingiuria che si può rivolgere a chiunque.
A cura di Giorgio Moretti
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La buona salute di una comunità passa anche per la comunione degli insulti; quando certi spregi che prima erano mirati su una categoria precisa si generalizzano diventando patrimonio comune, potendo essere rivolti a tutti gli appartenenti alla comunità, ecco che s'intuisce un profilo patriottico. Magari non è il raduno sotto la bandiera, ma magari è anche meglio.

"Lazzarone" è ovviamente un accrescitivo di "lazzaro", mutuato in napoletano dallo spagnolo "lázaro", il cui significato di pezzente nasce da quello di lebbroso: si capisce che il riferimento è evangelico, ma non è a Lazzaro di Betania, quello che fu resuscitato da Cristo, bensì a Lazzaro della parabola (appunto) di Lazzaro e il ricco Epulone. Egli è un mendicante pieno di piaghe che si ciba degli avanzi della mensa del riccone, e così non è difficile intendere perché il nome comune lazzaro abbia sposato i caratteri dell'appestato e del poveraccio. (Il "lazzaretto" dove erano sistemati i lebbrosi c'entra: è la storpiatura del nome, sovrapposto giusto a quallo di Lazzaro, di una celebre quarantena veneziana, il Nazaretto, posta sull'isola di Santa Maria di Nazareth.)

Pare che "lazzarone" sia stato affibbiato come nomignolo dapprima ai seguaci di Masaniello, che guidò la celebre rivolta contro il governo vicereale spagnolo a Napoli nel 1647, ma si trova attestato con un certo successo solo nel Settecento, con significati che specializzandosi rispetto agli originali si imperniavano sul dileggio del popolano napoletano: come citano diversi dizionari, per "lazzarone" si considerava nientemeno che il plebeo rozzo e insofferente, insieme difficilmente governabile e facilmente manovrabile, preda delle passioni. Per un certo periodo è stato usato da molti autori con una certa larghezza e un certo compiacimento, estendendolo in modo lusinghiero anche a colleghi di altre città del sud; ma non è con questi significati che ha visto la fine dell'Ottocento.

A partire dagli scritti di autori celeberrimi come Cattaneo e Carducci si può apprezzare lo spostamento di senso: il riferimento ai lazzaroni perde i connotati geografici. Il lazzarone resta in modo equanime il poveraccio scansafatiche e un po' canaglia, il diseredato mascalzone e vagabondo, e pure volgarotto. Una sintesi di significati molto ricca, che coglie caratteri non di rado compresenti, disegnando un tipo efficace. Infatti è in questa veste che arriva fino ai giorni nostri, usato da autori del calibro di Gadda. Peraltro si sono fatti strada anche usi di una certa ironia: volentieri diventa un appellativo scherzoso, innocuo. Anche mia nonna, quando mio fratello restava a dormire fino a tardi, gli dava del lazzarone.

Un bell'esempio di come un nome pensato per aggredire una città in un momento di repressione possa essere digerito dalla comunità nazionale con un respiro ampio. Chi anche in caso come questo volesse gridare allo scandalo del politically correct sarebbe fuori di centocinquant'anni. E poi oh, è per tutti, ma resta un'ingiuria.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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