Launeddas, il futuro di una grande ed antichissima tradizione
Tra le tante preziose tradizioni artistiche che il nostro paese ha l'onore di conservare, certamente le Launedda-s occupano una posizione privilegiata per diversi motivi. In primo luogo perché questo triplo clarinetto, tipico della Sardegna meridionale, ricorda i doppi flauti che venivano suonati nell'antichità e di cui numerose raffigurazioni ci hanno restituito il ricordo, anche se purtroppo non il suono; in secondo luogo a causa della loro tormentata storia che le vide quasi minacciate dal rischio di scomparire negli anni '50 sotto i colpi di una crisi della cultura che nasceva, soprattutto, dalla crescente diffusione della nuova realtà dei mezzi di comunicazione di massa.
Il termine Launedda-s indica un aerofono ad ancia costituito da tre canne: la canna di bordone, più lunga e priva di fori chiamata Tumbu, e la canna intermedia denominata mancosa manna sono legate assieme e vengono suonate dalla mano sinistra, mentre con la destra si suona la più piccola delle canne, la mancosedda. Mancosa Manna e Mancosedda hanno cinque fori quadrangolari; il rapporto tra i suoni delle tre canne determina il tipo di Launeddas, di cui esistono diverse varietà, a seconda del modello scalare.
Certamente una delle caratteristiche di maggiore interesse di questi strumenti, che affondano le proprie radici in epoche antichissime di cui hanno conservato un aspetto per lo più invariato, è la particolare tecnica utilizzata della respirazione circolare che i giovani suonatori di Launeddas imparano dai loro maestri: accumulando una grossa quantità d'aria nelle guance che viene espulsa lentamente mentre il suonatore inspira col naso, diviene possibile insufflare aria in maniera ininterrotta all'interno dello strumento; la pressione è così costante, rendendo impossibile a chi ascolta percepire il momento in cui si prende fiato. Mesi di intenso esercizio volti all'apprendimento del metodo di respirazione, preparano il musicista che voglia approcciarsi alle Launeddas. Il vasto repertorio musicale, frutto della secolare tradizione legata allo strumento soffre di alcune difficoltà legate alla trascrizione.
Andrea Corona ci spiega quali sono.
In passato, intorno agli anni '50 del secolo scorso, il giornalista danese A.F.W. Bentzon, fu il primo a sperimentare una prima trascrizione della musica per launedda-s. Il suo tentativo è, a tutt’oggi, l’unico compiuto, nonostante le enormi carenze tecnologiche e metodologiche che lo contraddistinguono. Il Bentzon ricorse all’ausilio di un rudimentale registratore a bobine e ad un microfono. Le trascrizioni, riportate su pentagramma, le realizzò ad orecchio: trascriveva ciò che riusciva a distinguere. Per cui, queste partiture risultano alquanto approssimative e grezze: difficile curare in dettaglio la qualità della registrazione e la qualità della trascrizione.
Il problema da porsi, per cominciare, riguarda il tipo di trascrizioni che si vogliono ottenere. Bisogna scontrarsi con una tipologia di musica particolare, estremamente rapida nelle sue evoluzioni e, da un punto di vista acustico, densa: le singole sonorità delle tre canne si fondono in un unicum di difficile comprensione. In altri termini, è difficoltoso comprendere, ad orecchio, quale strumento stia suonando e cosa stia eseguendo. Alcune note, come gli arrefinus (le note più basse eseguibili dalle due canne melodiche, mancosa e mancosedda), quasi spariscono del tutto, sovrastate dalla forza sonora del tumbu. Questi problemi uniti alla grande quantità di esecutori ed al numero di varianti di questo strumento, rendono il lavoro di trascrizione particolarmente complesso.
Potrebbe, a questo punto, illustrare in che modo il suo lavoro si è approcciato al problema, come ha pensato di "risolverlo" e a quali strumenti ha fatto ricorso nello sviluppare nuove possibili tecniche di notazione?
Per risolvere i problemi di cui ho accennato, ho pensato di rivolgermi al mondo scientifico ed in particolare all’elettronica ed all’informatica. Il primo passo è stato realizzare un apparato hardware che permettesse di ottenere delle trascrizioni con un coefficiente di errore minimo: delle trascrizioni ad “alta risoluzione”. In collaborazione con Sardegna Ricerche, nel 2008, ho realizzato il brevetto: un sistema hardware che consiste in una serie di sensori capacitivi, collocati in prossimità del foro: la stessa tecnologia che troviamo sui touch screen dei nostri telefonini, tanto per capirci.
L’idea di base era quella di non utilizzare il solo campionamento audio per ottenere delle trascrizioni. L’apparato è concepito per monitorare il movimento delle dita sui fori della launedda-s e per riconoscere lo stato di On\Off del foro. Parallelamente ho messo a punto un sistema software in grado di trattare questo segnale e di incrociarlo con i dati audio. In sostanza, ad un foro occluso corrisponde una nota, l’apparato hardware invia il dato al PC, quindi al software. Dopodiché si avvia un confronto tra il segnale di apertura o chiusura del foro con il suono emesso dalla launedda-s in quel particolare momento. In questo momento stiamo lavorando anche ad altri sistemi di campionamento che porteranno le “tracce” dei dati a 4, per un confronto che permetterà di ottenere una partitura estremamente dettagliata e precisa.
Anche alla luce della sua pubblicazione e dell'impatto che potrebbe avere sul modo di percepire l'intera tradizione musicale, non più del tutto effimera ma in grado di essere preservata dall'usura del tempo e della memoria, riesce ad immaginare quale sarà il futuro delle Launedda-s rispetto all'ambito tradizionale sardo?
Inutile dire che il lavoro sulla musica etnica sarda è un lavoro sulla musica in generale e su tutti i suoi problemi, nel mio ultimo libro, Nuove tecnologie e metodologie nell’analisi della musica per launedda-s (TG Book Editore), si parla proprio di questo. Per citarne uno: l’uso del pentagramma. Proprio con questo lavoro mi sono reso conto che questo sistema di notazione non è adatto ad accogliere tutte le sfumature di una musica che non è concepita su pentagramma. Il sistema a righi musicali è un impianto pensato per scrivere la musica ma non per trascriverla, tanto meno se si tratta di musica folclorica.
Per quanto riguarda il suo futuro, tutto è legato a questo progetto ed ai suoi risultati. Ciò nonostante ha già riscosso molto interesse soprattutto all’estero. Tra i collaboratori che stanno lavorando attivamente su tutti gli aspetti hardware e software cito l’ing. Lera dell'Illinois Student Senate ed il prof. Sergio Fantini della TUFTS University di Boston. Si è dimostrato molto interessato, speriamo di poter collaborare presto anche con lui, il dott. Alberto Diaspro capo del dipartimento di nano fisica dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Nel concludere, è doveroso sottolineare come, ormai, il tema della continuità delle tradizioni non sia più un argomento di nicchia per gruppi di singolari studiosi, accademici dagli interessi particolari ed appassionati di bizzarrie di ogni tipo; i mutamenti in atto nella nostra società meritano un'accurata riflessione da parte di tutti, soprattutto per la cultura italiana che vantava e, come in questo caso vanta ancora, un patrimonio immenso, probabilmente uno dei più ricchi, vasti e variegati del mondo, grazie alla sua storia così particolare e all'abbondanza di risorse che da sempre ha contraddistinto il nostro territorio. Per questa ragione, il lavoro difficoltoso di rendere trasmissibile questa mole di sapere anche alla posterità deve essere tenuto nella massima considerazione anche da parte delle istituzioni: la grandiosità del nostro paese non è solo quella, che in verità da sola già basterebbe, chiusa nei musei, nelle Chiese, nei palazzi e nelle riserve ambientali. È anche e soprattutto ciò che ancora vive nelle strade, nelle piazze e nelle case delle città o dei piccoli borghi, più nascosti e, dunque, meno soggetti al fluire del tempo; che si annida tenace nell'anima dei nostro paesi, portando avanti memorie che affondano le radici nella notte dei tempi e costruendo su queste la nostra identità ed il nostro futuro. Senza passato saremmo tutti perduti ed ogni piccolo sforzo per conservarne, per quanto è possibile, i più preziosi tesori, come mirano a fare le ricerche e gli studi di Andrea Corona, merita il giusto riconoscimento che va tributato al valore di un'iniziativa.