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L’America scoperta 150 anni prima di Colombo. La rivelazione che potrebbe riscrivere la storia

Un progetto dell’Università Statale di Milano scova la prima menzione del Nuovo Mondo, da parte dell’Europa mediterranea, in un’opera inedita medievale scritta attorno al 1340 da Galvano Fiamma. Si fa menzione di una “terra situata al di là dell’Oceano Atlantico” di nome Marckalada. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Usa “Terrae Incognitae” dedicata alla storia delle esplorazioni.
A cura di Redazione Cultura
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Una terra oltre l'Atlantico, nell'estremo Ovest, abitata da giganti: sarebbe questa la menzione più antica di quella che poi sarebbe diventata l'America riportata in un testo del 1340, oltre 150 anni prima della spedizione di Cristoforo Colombo (datata 1492). Un gruppo di studenti dell'Università Statale di Milano ha individuato il riferimento in un'opera inedita medievale del frate domenicano milanese Galvano Fiamma. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista statunitense "Terrae Incognitae" dedicata alla storia delle esplorazioni.

Dai vichinghi a Milano

Si è già detto che molto prima delle tre note caravelle (la Santa Maria, la Pinta e la Niña) erano già state compiute esplorazioni sulle coste settentrionali dell'Atlantico da navigatori vichinghi che avevano lasciato sporadiche tracce nei racconti semileggendari di alcune saghe norrene. Ma l'esistenza di terre al di là dell'Atlantico non era mai stata documentata fuori dalla Scandinavia. Quindi come ha fatto Galvano Fiamma a sapere di questa terra lontanissima senza spostarsi dalla sua Milano nel XIV secolo? Probabile che la notizia gli sia arrivata da Genova, città con cui l'autore intratteneva contatti, e che i marinai menzionati nel testo siano navigatori locali che commerciavano coi vichinghi.

America? No, Marckalada

Un progetto attivo da alcuni anni presso il dipartimento di Studi Letterari Filologici e Linguistici dell’Università Statale di Milano, coordinato dal professore Paolo Chiesa, docente di Letteratura latina medievale e umanistica, ha dunque fatto luce su questa menzione di terre oltreatlantiche. Se ne parla, dunque, in “Cronica universalis” di Galvano Fiamma. L'autore di numerose cronache scritte nel periodo visconteo fa riferimento alla cosiddetta Marckalada, che gli studiosi hanno identificato come la latinizzazione del Markland citato nelle saghe norrene.

Il testo di Galvano Fiamma

Ecco di seguito la traduzione italiana del passo scritto dal milanese Galvano in latino: "I marinai che percorrono i mari della Danimarca e della Norvegia dicono che oltre la Norvegia, verso settentrione, si trova l'Islanda. Più oltre c'è un'isola detta Groenlandia. E ancora oltre, verso occidente, c'è una terra chiamata Marckalada. Gli abitanti del posto sono dei giganti: lì si trovano edifici di pietre così grosse che nessun uomo sarebbe in grado di metterle in posa, se non grandissimi giganti. Lì crescono alberi verdi e vivono moltissimi animali e uccelli. Però non c'è mai stato nessun marinaio che sia riuscito a sapere con certezza notizie su questa terra e sulle sue caratteristiche".

"Sorpresa clamorosa"

La menzione dell'America "è solo una delle sorprese che riserva la Cronica universalis di Galvano Fiamma, anche se probabilmente è la più clamorosa", spiega il coordinatore della ricerca, il professor Paolo Chiesa. "Si tratta di un'opera inedita, sulla quale abbiamo costruito un progetto didattico cui hanno collaborato parecchi studenti con le loro tesi, dividendosi la trascrizione del manoscritto e la resa in pulito del testo". La parte del manoscritto contenente la menzione del Nuovo Mondo è stata trascritta da Giulia Greco, ora dottoranda di ricerca presso l'Università di Trento, la quale afferma: "Il manoscritto è redatto in una scrittura gotica dell'Italia settentrionale, non sempre facile da decifrare. Oltre alla trascrizione della parte del testo che gli era assegnata, ogni studente doveva individuare le fonti impiegate da Galvano per le notizie contenute. Per la frase ‘americana', in particolare, non sono state individuate fonti libresche, e si deve perciò credere a Galvano quando dice che riportava informazioni orali".

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