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La vita straordinaria di Tullio De Piscopo: “Ho dato il mio sound a tutti ma io non guadagnavo niente”

Sono passati 40 anni da Stop Bajon, ma Tullio De Piscopo ha vissuto una vita che non sta in poche righe: lo abbiamo intervistato in occasione del Polifonic Festival per farci raccontare la sua musica e i suoi incontri.
A cura di Francesco Raiola
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Tullio De Piscopo alla batteria
Tullio De Piscopo alla batteria

A volte non ci rendiamo troppo conto dei musicisti che hanno attraversato la vita musicale del Paese. Tullio De Piscopo è considerato uno dei maestri italiani della batteria, un musicista conosciuto in tutto il mondo, che ha suonato, oltre che con tantissimi Big della musica italiana, anche con tutti i più grandi jazzisti contemporanei (da Dizzie Gillespie a Wayne Shorter, Max Roach, Chet Baker, Billy Cobham, Gerry Mulligan, oltre a essere spina dorsale della superband di Pino Daniele e aver dato il suono al tango più conosciuto al mondo, ovvero Libertango di Astor Piazzolla. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente mentre era in preparazione del Polifonic Festival per parlare dei 40 anni di Stop Bajon – brano che scrisse con Daniele, il suo fratello in blues -, ma anche di una carriera straordinaria e irripetibile. Cominciamo ricordandogli di una jam session di tanti anni fa, in un locale al centro di Napoli dove si riunirono per improvvisare alcuni tra i musicisti che avevano scritto la storia della musica napoletana contemporanea. "Ah, lo ricordo, come no! – dice con la sua risata caratteristica – quella sera ci eravamo riuniti e stavamo suonando per un'artista esordiente, che avrebbe trovato tanto spazio in futuro: Serena Autieri".

Senta, sono passati 40 anni, cosa ha rappresentato Stop Bajon nella tua carriera?

Sono i 40 anni di Stop Bajon, ma che significa Stop Bajon? Il bajon è un ritmo sudamericano: io da bambino ascoltavo la radio, ma non c'era la quantità di radio che c'è adesso, c'era un solo canale della Rai e un programma che si chiamava "Ballate con noi" e di cui mi piaceva tantissimo la sigla. Chiesi a mio padre cosa fosse quel ritmo e lui rispose che era il bajon, me lo insegnò e io lo feci di diventare quel ritmo nostro, delle strade e dei vicoli di Napoli, e assieme a Pino Daniele creammo questa grande magia nera. La presunzione di Stop Bajon era dire "Basta col bajon, adesso beccatevi questo".

Nella piena tradizione della musica a Napoli c'era questa continua commistione con suoni di altre parti del mondo, dall'America, grazie al Porto, fino all'Africa, si voleva unire Napoli col mondo.

La grande etnia! Abbiamo sempre avuto influenza di tutti i popoli, soprattutto del Mediterraneo. Noi avevamo la Nato a Bagnoli, quindi nel porto di Napoli arrivava la flotta americana e si crearono tanti club, locali, in cui si ospitavano questi militari americani e c'era l'orchestra che suonava. Quella per noi è stata una grande palestra perché abbiamo imparato il repertorio mondiale.

Ma materialmente come nacque l'idea di Stop Bajon?

La volete sapere? Ma è un po' lunga.

Abbiamo tempo.

Ve la dico, allora. Nel 1983 andiamo in Europa per far conoscere la nostra musica, ma soprattutto la musica del nostro fratello in blues Pino Daniele e iniziamo questo tour da Dortmund, poi andiamo un po' in giro dappertutto, tipo a Zurigo da cui dove poi venne fuori quel grande dvd live che ha fatto successo in tutto il mondo. Quando rientrammo io gli dissi: "Pino, devo abbandonarti, devo andar via, a Milano, perché devo consegnare un disco, come da contratto, alla casa discografica. Sono stato fermo tutto questo tempo, se no vado nei guai. Lui mi disse (imitando la voce di Pino Daniele, ndr) "No, ma arò vaje?", si preoccupò, disse "Aspetta, chiediamo la liberatoria" e io risposi: "Ma figurati se un colosso come la Curci ti dà la liberatoria". Ebbene, ci diedero la liberatoria. Così gli dissi: "Allora vado a Milano, prendo tutti i provini e vengo giù" e tra i provini c'era il ritmo famoso che mi insegnò mio padre e che io arrangiai. Però non sapevamo ancora come si chiamava il pezzo, capisci, così riportai tutti i brani che poi abbiamo ascoltato nel LP, Acque e viento – dove sta pure Namina in cui suona il clarinetto anche il grande Lucio Dalla – e così nacque il brano Stop Bajon, brano del cui sound si sono impossessati tutti i più grandi DJ del mondo, quasi tutti di estrazione francese, l'ultimo è stato Michael Gray.

Lo ha rifatto anche lei, però.

Sì, da poco ho fatto questo questo remix di cui sono orgoglioso perché l'ho fatto io, non un dj.

Non le piacciono?

Ma no, non ce l'ho con loro, però a volte li stravolgono i pezzi, quindi ho messo il mio ritmo, l'originale, e ho fatto veramente un bellissimo remix.

Pensa mai a tutte le persone che ha incontrato sulla sua strada?

Quello che ho fatto io? C'è da mettersi le mani nei capelli, però.

La sua batteria è iconica e conosciuta in tutto il mondo…

Io ho fatto dischi un po' per tutti, se vai a vedere la mia biografia. Un giorno mi hanno fatto vedere la pagina Wikipedia e mi sono quasi spaventato, mi sono detto: "Ma se ho fatto tutto questo non ho mai riposato, non ho mai dormito, non sono mai stato in vacanza". Ho fatto dischi per tutti, ho dato il mio sound a tutti, addirittura c'è gente che non sa che io ho messo la batteria nel Tango, perché non c'era.

Questa cosa chiariamola, perché non tutti sanno che in Libertango, il pezzo più conosciuto e amato di Astor Piazzolla, c'è la sua batteria.

Certo, io ho dato il groove, il ritmo, a Libertango. Piazzolla era un musicista straordinario, aveva capito e voleva solo me, lo dice anche nella sua biografia. E con lui ho fatto dieci long playing, mica uno, però a volte la gente non si informa.

Ogni tanto mi capita di rivedere la sua "sfida" in tv con Billy Cobham (presentata da Pippo Baudo), una cosa che oggi sarebbe impossibile…

È impensabile, è una cosa che non ha mai fatto nessuno, però la gente fatica ad ammettere che uno con due pezzi di legno può fare successo, preferiscono i fotoromanzi e così al bello da fotoromanzo gli danno il successo, mentre un musicista fa più fatica. Però alla fine se c'è, viene fuori, capito?

Su TikTok gira molto un video in cui ci siete lei, James Senese, Enzo Avitabile e altri che provate in una stanza, a dimostrazione che questi ritmi sono amati anche dai giovani. A proposito di prove e stanze, uno dei miti della Napoli tra i 70 e gli 80 è quello delle jam session che facevate al centro storico, ne ho parlato con Senese, Gragnaniello, De Vito…

Era un periodo veramente straordinario, in cui suonavamo continuamente, addirittura quando eravamo in tour con Pino – anche durante il primo, che era Vai mò – arrivavamo alle cinque del pomeriggio, sotto il sole, e suonavamo per tre ore, non ci fermavamo mai. Adesso è difficile, ti dicono: "Me la fai una batteria e me la metti su una chiavetta?". ‘A chiavetta? ‘A batteria ‘ngopp ‘a chiavetta? È pazzesco, non ci si incontra più, non si suona più assieme, invece negli anni '80 si suonava continuamente, si andava nelle cantine, nelle sale prove dei musicisti. Era un continuo scambio di idee, di emozioni, di interplay con gli altri musicisti, non solo italiani, eh!

Era uno scambio tra grandi che portavate avanti tutta la notte, no?

Quando finivamo eravamo stanchi, però contenti, felici, inventavamo anche delle cose che poi ognuno di noi metteva nel proprio bagaglio personale. E ognuno di noi ha usato poi nella sua carriera, nel suo repertorio.

Se le dico Chet Baker cosa ricorda?

Chet Baker era meraviglioso, ho fatto un tour europeo con lui nel 1980: lui aveva sempre questa tristezza dentro, era molto dolce anche se molto triste, e oltre a essere un trombettista di livello pazzesco, come cantava! Che voce che aveva. Ricordo questo tour europeo, eravamo in Svizzera, al Festival Jazz di Lugano, e quando toccò a noi accompagnarlo, sotto al parco ad ascoltarlo e ad ascoltarci c'erano musicisti incredibili come George Coleman, Kenny Washington, Ray Drummond, tutti che ascoltavano in silenzio Chet Baker.

Quincy Jones, invece?

Mamma mia, Quincy, nu scugnizzo, troppo forte! Ho fatto delle collaborazioni nel '73, mi ricordo che la convocazione in studio era alle 21, era fine giugno, finimmo abbastanza presto, alle 23, e lui mi fece dire dal direttore di produzione di non andare via, di rimanere lì. Andarono via tutti i musicisti, io rimasi lì però dissi: "Vado un attimo a casa a prendere i dischi del maestro, me li faccio firmare", tornai in studio, me li autografò, ma voleva che io restassi là con lui: fece ordinare le pizze da una pizzeria che stava aperta tutta la notte, a Milano, nello studio di via Ludovico il Moro fino alle 5 del mattino, non so come mai, però forse aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino, un musicista, e lui scelse me, era proprio uno d'animo, appunto, uno scugnizzo.

E per capire quanto era ampio il suo spettro, lei ha collaborato con Dizzie Gillespie, Whayne Shorter, Vinicius De Moraes…

Tanto tempo con Gerry Mulligan, considerato un grande pioniere del Jazz, un grande arrangiatore.

Nel suo curriculum c'è pure Max Roach, a proposito di batteristi immortali…

Max Roach, il papà di tutti i batteristi del Jazz Club, che esperienze! Mi ricordo che da bambino fantasticavo la notte, quanti anni avevo? Boh, forse 12-13 anni, guardavo il disco "Percussion Bitter Sweet" di Roach, lo guardavo e lo baciavo, era bellissimo, un disco straordinario e poi nel 1989 mi sono trovato sul palco a suonare con lui: incredibile, la vita è incredibile, quante cose belle!

Infatti è bello pensare a questo passaggio da Porta Capuana, suo quartiere natìo al centro di Napoli, a una vita come la sua, benché venisse da una famiglia di batteristi… Come è stato incontrare tutti questi miti non da fan ma da collega?

Come colleghi, beh, ma io avevo un rispetto enorme, sono cresciuto con loro, davanti ai miei occhi avevo in casa i dischi di mio fratello Romeo, che era anche lui batterista, di tutti questi grandi musicisti. Io amavo Roach, amavo Art Blakey, che ho conosciuto e pure ci ho suonato assieme, addirittura in un tour in Italia, sempre negli anni 70, capitò che gli portavo la batteria, gliela montavo, la sistemavo, facevo il sound check, gli facevo trovare tutto pronto. Sono cose che ti porti dentro con amore.

Senza contare Mina, Lucio Dalla, Pino Daniele…

Praticamente non ho mai riposato.

Cosa ne pensa, invece, di questo nu funk napoletano che si ispira a voi, facendola restare sempre un punto fermo della scena.

Sì, ho ascoltato delle cose, però non c'è niente di personale da quello che ho ascoltato, hai capito?

È troppo derivativo? Non trova l'originalità?

C'è qualcosa che mi sfugge, però già è importante che si vadano a trovare delle cose che hanno un ritmo ben preciso, facendo quel tipo di musica, devi avere per forza swing, se no non lo puoi fare.

Non so quanto chiederle del rap, allora…

E io aggio fatto ‘o primmo rap con Stop Bajon… Ma noi ci divertivamo, quando stavamo sul pullman in tour ci mettevamo a fare il rap, quello che vedevamo in giro per le strade: ci attaccavamo a un ritmo con Tony (Esposito), James (Senese) che suonava le mie spazzole, e poi improvvisavamo con Pino (Daniele), insomma rappavamo.

Una generazione di musicisti che forse non si è mai più replicata, perché eravate un gruppo incredibile: lei, Senese, Esposito, Amoruso, Zurzolo…

Beh, Zurzolo, Amoruso, musicisti straordinari, io li amo, mi viene una tristezza nel cuore quando penso a quello che è successo in pochi anni (la scomparsa di entrambi tra il 2017 e il 2020, ndr) con la scomparsa di tre protagonisti di quel gruppo (anche Pino Daniele nel 2015, ndr).

Quella con Pino Daniele è stata una bella amicizia…

Mi ricordo che Pino diceva sempre: "Voglio stare con Tullio, perché non c'è bisogno di provare". Difatti gli ultimi anni sono stato con lui in tour in tutto il mondo, abbiamo fatto quel tour stupendo in America, in Canada, bellissimo e ci siamo veramente divertiti, suonavamo tanto, non facevamo mai la stessa cosa, c'era il feeling.

Possiamo dire che è riuscito a ottenere tutto quello che desiderava?

Ma io non è che lo desideravo, era un progetto che avevo nella testa fin da bambino, ne fantasticavo e in gran parte si è avverato. Solo che durante il percorso del progetto mancavano ‘e sorde (mancavano i soldi, ndr), tutti a dirmi: "Bravo Tullio, bravo, ma ‘e sorde addò steveno, nun ce stev ‘na lira" ("Ma dov'erano i soldi, non c'era una lira").

Quelli arrivarono con Andamento lento, giusto?

E se non arrivava Andamento lento stavamo inguaiati!

Perché fare il turnista all'epoca non ti dava molte possibilità…

Ma no, niente, quando mai! Io vedevo questi cantanti che guadagnavano l'ira di Dio col mio sound, col mio groove, ma le case discografiche ci pagavano poco. Andamento lento mi ha dato la possibilità di poter comprare una casa alla mia famiglia, la casa che la mia famiglia meritava: c'era una stanza in più per le mie figlie, ognuna aveva la propria scrivania e la sua stanza, capito? Questo è stato importante, come è stato importante suonare. Io ho fatto suonare tutti i più grandi jazzisti, per esempio nell'album Bello carico ci sono dentro musicisti incredibili come Billy Cobham, Omar Hakim, Mike Miller e Chester Thompson, ho voluto sempre grandi musicisti al mio fianco.

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