La vera storia di Paolo e Francesca, gli amanti lussuriosi nel V canto dell’Inferno di Dante
Uno degli eventi principali del Dantedì, giornata nazionale dedicata alla figura di Dante Alighieri, con cui si celebra l'autore della Divina Commedia nel 700esimo anniversario dalla morte, è la lettura del Canto V dell'Inferno di Roberto Benigni su Rai1. Questo Canto, uno dei più celebri dell'opera dantesca, in cui Dante e Virgilio si addentrano nel girone dei lussuriosi, è dedicato alle figure di Paolo e Francesca, personaggi storicamente esistiti, che da sempre affascinano i lettori nei secoli per la storia vera che, secondo le poche informazioni storiche, si sarebbe svolta al Castello di Gradara. Complesso che sorge sulla sommità di una collina a Gradara, in provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche, costituito da un castello-fortezza medievale e dall'adiacente borgo storico.
La storia vera di Paolo e Francesca al Castello di Gradara
Paolo e Francesca, come dicevamo, sono due personaggi esistiti. Si tratta di Francesca da Rimini e Paolo Malatesta. La prima fu figlia di Guido Minore Signore di Ravenna e Cervia. Costui, nel 1275, decise di dare la mano di sua figlia a Giovanni Malatesta, detto Giangiotto. L'unione tra i due fu dunque combinata. Per evitare il possibile rifiuto da parte della giovane Francesca, i potenti signori di Rimini e Ravenna tramarono l’inganno. Mandarono infatti a Ravenna Paolo Malatesta, detto il Bello, fratello di Giovanni, di cui Francesca si innamorò e che lei credette di sposare in un matrimonio-farsa, poiché Paolo in realtà la sposava per procura, cioè a nome del fratello.
Ma l'amore tra i due era ormai sbocciato. Paolo, che aveva possedimenti nei pressi di Gradara, spesso faceva visita alla cognata, per incontrarla in segreto e leggere insieme la storia di Lancillotto e Ginevra, finché mentre leggevano si diedero un casto bacio, ma in quel momento Giovanni Malatesta li sorprese e li uccise con la sua spada per vendicarsi del tradimento.
Il mito di Paolo e Francesca secondo Dante nel Canto V dell'Inferno
Dante mette gli sventurati amanti all’Inferno, tra i lussuriosi, raccontandoceli con sguardo di compassione: ecco uno dei motivi per cui il Canto V dell'Inferno è così noto e amato da tanti lettori. Superato Minosse, sempre nel giorno del 25 marzo 1300, l'Alighieri chiede spiegazioni a Virgilio e il poeta latino indica al discepolo i nomi di alcuni dannati, che sono tutti lussuriosi morti violentemente: tra questi ci sono Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena (moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime.
Dopo aver sentito tutti questi nomi, Dante nota che due di queste anime volano accoppiate e manifesta il desiderio di parlare con loro: sono un uomo e una donna, quest'ultima si rivolge a Dante ringraziandolo per la pietà che dimostra verso di loro. Poi si presenta, dicendo di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita da un amore indissolubile con l'uomo che ancora le sta accanto nella morte.
Francesca, chiamata da Dante per nome, rievoca la sua storia. Così la donna narra che un giorno, lei e Paolo leggevano per divertimento un libro, che parlava di Lancillotto e della regina Ginevra. Più volte la lettura li aveva indotti a cercarsi con lo sguardo, ma quando lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti, anch'essi si baciarono e interruppero la lettura del libro "galeotto", da qui la scoperta degli amanti da parte di Giangiotto e la loro uccisione.
Paolo e Francesca in letteratura, opera lirica, teatro
Nel corso dei secoli gli "sventurati amanti" la storia di Paolo e Francesca è stata ripresa da poeti, musicisti, scrittori, pittori e scultori. Da Silvio Pellico a Gabriele D'Annunzio, passando per Boccaccio e la sua celebre difesa dei due amanti, che racconta come alla base del matrimonio tra Giangiotto e Francesca da Polenta ci fu un terribile inganno. Anche l'opera lirica si è interessata alla vicenda, da parte di autori come Gounod, Thomas, Rachmaninov o Prokof'ev nel balletto. Particolarmente conosciuta, apprezzata ed amata è la versione che ne ha dato nel 1914 il compositore italiano Riccardo Zandonai nella sua Francesca da Rimini.